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La Stampa - Il Foglio - La Gazzatta dello Sport Rassegna Stampa
07.06.2018 Minacce BDS, l'Argentina cancella la partita in Israele: i commenti che informano
Di Giordano Stabile, Andrea Marcenaro, Giulio Meotti, Filippo Maria Ricci intervista Ofer Sachs, Ambasciatore di Israele in Italia

Testata:La Stampa - Il Foglio - La Gazzatta dello Sport
Autore: Giordano Stabile - Andrea Marcenaro - Giulio Meotti - Filippo Maria Ricci
Titolo: «La paura di Messi e Higuain fa saltare Israele-Argentina - Andrea's Version - Pecunia olet - 'II boicottaggio è sempre la scelta sbagliata'»

Riprendiamo oggi 07/06/2018, dalla STAMPA, a pag. 12, con il titolo "La paura di Messi e Higuain fa saltare Israele-Argentina", il commento di Giordano Stabile; dal FOGLIO a pag. 1, "Andrea's Version" di Andrea Marcenaro; con il titolo "Pecunia olet", l'analisi di Giulio Meotti; dalla GAZZETTA dello SPORT, a pag. 20, con il titolo 'II boicottaggio è sempre la scelta sbagliata', l'intervista di Filippo Maria Ricci a Ofer Sachs, Ambasciatore di Israele in Italia.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Giordano Stabile: "La paura di Messi e Higuain fa saltare Israele-Argentina"

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Giordano Stabile

La nazionale argentina cancella l’amichevole con Israele che doveva tenersi sabato a Gerusalemme e l’evento sportivo si trasforma in uno scontro globale. La decisione dei campioni biancocelesti, a cominciare dalla star Lionel Messi, viene vissuta come un trionfo dai palestinesi ma il governo israeliano ribatte che è nata da «minacce terroristiche», in particolare al calciatore del Barcellona. La notizia viene anticipata dal canale argentino TyC Sports, quando in Israele è notte fonda, e rimbalza su tutti i media mondiali dalla prima mattinata di ieri. È l’attaccante della Juventus Gonzalo Huguain a confermare che «alla fine» il match non si farà, perché è la «cosa giusta da fare, e prima vengono la ragione e la sicurezza, è meglio non andare in Israele».

Parole che lasciano intendere che ci sono state pressioni e forse minacce. Da giorni i palestinesi, a partire dal presidente della Federcalcio Jibril Rajoub, incalzavano i giocatori argentini. Rajoub era arrivato a chiedere ai fan di Messi in tutto il mondo musulmano di «bruciare le sue magliette» e ritirare il loro sostegno se la partita si fosse tenuta. In Cisgiordania erano apparsi enormi poster con la foto del campione e l’invito a non entrare in «territorio occupato», cioè a Gerusalemme. Quando i calciatori hanno cominciato a vacillare lo stesso premier israeliano Benjamin Netanyahu ha chiamato il presidente argentino Mauricio Macri per cercare di salvare il match.

Secondo il quotidiano argentino Clarín il caso è stato esaminato in persona da Macri e ufficiali governativi hanno rivelato che «i giocatori non volevano giocare in Israele a causa delle minacce a Messi». Macri si è scusato con Netanyahu e assicurato che le motivazioni dei calciatori «non erano politiche». Lo stesso presidente avrebbe dovuto assistere alla partita assieme a una delegazione di uomini d’affari. Interveniva poi il presidente della Federcalcio argentina, Claudio Tapia, con le scuse «a tutti gli israeliani che hanno comprato i biglietti e avrebbero voluto assistere ad una partita che era un messaggio di pace: non abbiamo nulla contro Israele, ma dobbiamo salvaguardare la sicurezza dei nostri atleti».

Una versione negata dai palestinesi, che parlavano di «vittoria dei valori, della morale e dello sport: con la cancellazione del match Israele ha ricevuto un cartellino rosso». I calciatori avevano seguito «la loro coscienza» e da tutta la Palestina arrivava un «Grazie Messi». Per Abdel-Salem Haniyeh, dell’Alto consiglio per lo Sport, l’annullamento era un «duro colpo all’occupazione» e aggiungeva: se la partita si fosse giocata ad Haifa, come previsto in un primo momento, «non avremmo mai pensato di contestarla». Account Twitter filopalestinesi pubblicavano una frase del campione argentino, mai confermata: «Non potevo giocare in un Paese che uccide bambini palestinesi».
Ma l’esultanza palestinese scatenava le polemiche anche all’interno del mondo politico israeliano. Sotto tiro da parte del centrosinistra finiva il ministro dello Sport Miri Regev, e la sua decisione di spostare il match da Haifa a Gerusalemme. Per il quotidiano liberal Haaretz era un «autogol» destinato a favorire il boicottaggio di Israele. Era la stessa Regev a replicare in una conferenza stampa dove mostrava foto di magliette di Messi insanguinate, pubblicate sui social palestinesi. «Gerusalemme non c’entra nulla, Messi e la sua famiglia hanno ricevuto minacce alla loro vita - ribatteva -: è un atto di terrorismo come alle Olimpiadi di Monaco».

IL FOGLIO - Andrea Marcenaro: "Andrea's Version"

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Andrea Marcenaro

 

 La Nazionale argentina di calcio ha cancellato la partita con la Nazionale israeliana programmata per il 9 giugno a Haifa, in un primo tempo, e spostata poi a Gerusalemme. I calciatori argentini erano stati fatti oggetto di odiose minacce da parte di gruppi organizzati palestinesi e di lettere minatorie in cui venivano minacciati di morte loro stessi e i loro familiari. Hanno avuto paura, hanno deciso di rinunciare all’incontro, la loro Federazione li ha coperti e lo stesso presidente argentino, raggiunto al telefono da Netanyahu perché respingesse il ricatto, non si è sentito di farlo. Chi si aspettava un atteggiamento eroico contro Hamas e i suoi epigoni è rimasto comprensibilmente deluso, mentre Hamas si è orribilmente congratulata con Messi e i suoi, dopo averli terrorizzati fino a un attimo prima. Il nome di Messi viene ora entusiasticamente scandito per le strade, non solo di Gaza e della Cisgiordania, laddove pronunciato con qualche disgusto da chi si sarebbe aspettato un atteggiamento più coraggioso. Forse era giusto chiedere più coraggio a Messi e ai suoi ragazzi. Forse. Ma è utile ricordare, in momenti del genere, come lo stesso ricatto venne subìto per interi decenni da una grande nazione i cui capitani non vestivano in mutande e maglietta per correre su un prato, bensì in severi completi grigi. Era l’Italia del lodo Moro.

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Pecunia olet"

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Giulio Meotti

Roma. Con la cancellazione dell’amiche - vole fra Argentina e Israele, il movimento per il boicottaggio dello stato ebraico ha ottenuto il suo scalpo più pregiato, il suo “successo più ambizioso” come lo definisce il Washington Post. “Bruciamo le maglie di Lionel Messi se va a giocare a Gerusalemme”, aveva detto Jibril Rajoub, il capo della Federcalcio palestinese. Le minacce (“anche di morte” ha detto Messi) hanno funzionato. Ma la stampa argentina castiga la Nazionale. Sul quotidiano Clarìn, il giornalista Miguel Winazki ha detto che è il momento di “sollevare la Coppa del Mondo dell’ipocrisia”. Per essere coerente nella decisione di evitare controversie all’estero, ha scritto Winazki, la Nazionale “non dovrebbe giocare in Russia, perché il Cremlino è dietro la decisione di lanciare incursioni militari in Siria”. Non dovrebbe giocare contro la Spagna, “per le sue enclave coloniali a Ceuta e Melilla”. Winazki ha una soluzione: “Aboliamo il calcio, diventiamo un faro morale e innalziamo la Coppa del Mondo dell’ipocrisia”. Messi, ha notato lo scrittore Daniel Lagares, vive a Barcellona, dove solo l’anno scorso 13 persone sono state uccise in un attacco dell’Isis. Altri membri della squadra argentina giocano in Inghilterra “dove c’è stato un attacco sul ponte di Londra”, e a Parigi, dove lo Stade de France era uno degli obiettivi degli attacchi del 2015. “Ora sono stati avvertiti che Gerusalemme è pericolosa. Ma è più pericolosa di altre città?” si chiede Lagares. Difficile credere che le “minacce” fossero talmente serie da spingere una nazionale a boicottare un altro paese e a scatenare una crisi politica con telefonate fra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente argentino Mauricio Macri. Anche se è vero che Buenos Aires nel 1992 fu teatro di due spaventosi attentati terroristici contro la comunità ebraica e l’ambasciata israeliana (la matrice era iraniana con Hezbollah a fare da tramite). Ma la spiegazione, forse, è più banale: il vile denaro. Uno dei principali finanziatori del boicottaggio di Israele è il Qatar, che è anche uno dei primi sponsor di Hamas a Gaza. Il Qatar nel 2022 ospiterà i Mondiali di calcio e, come farebbe giustamente notare Winazki, in quel caso l’Argentina ci sarà, anche se Doha è una satrapia islamista dove gli operai ( tutti stranieri) impiegati nella costruzione degli stadi da calcio sono trattati come schiavi. Israele è soltanto l’ottava destinazione mediorientale delle esportazioni argentine, dopo Qatar, Iran, Turchia, Iraq, Arabia Saudita, Yemen ed Emirati Arabi Uniti. E col Qatar, l’Argentina ha appena stretto uno dei più copiosi patti economici nella storia del paese sudamericano. La Qatar Petroleum, il più grande fornitore al mondo di gas naturale liquido, il 3 giugno ha acquistato il trenta per cento della Exxon Argentina. E lo stesso Lionel Messi è la star del Barcellona, il cui sponsor guarda caso era la Qatar Airways. Si vendono più maglie a un miliardo di musulmani che a diciassette milioni di ebrei.

LA GAZZETTA dello SPORT - Filippo Maria Ricci: 'II boicottaggio è sempre la scelta sbagliata'

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Filippo Maria Ricci

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Ofer Sachs, Ambasciatore di Israele in Italia

Un mese fa il Giro d'Italia partiva da Gerusalemme, e dopo 3 tappe vissute in un clima di grande festa e senza alcun tipo d'incidente lasciava Israele. Cos'è cambiato da allora, ambasciatore Sachs? «Niente. La decisione dell'Argentina di non venire a giocare l'amichevole a Gerusalemme è molto triste. Il Giro è stato in Israele e chi l'ha accompagnato ha potuto apprezzare i luoghi che ha visitato. Io penso che gli argentini con questa decisione abbiano perso di vista il ruolo dello sport, che è quello di creare ponti, di unire la gente. Nella nostra nazionale di calcio giocano tranquillamente insieme cristiani, musulmani ed ebrei».

Cos'è successo? «Il movimento BDS (acronimo della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, ndr) è relativamente forte in Argentina e ha potuto influenzare la decisione. Il punto però è un altro: boicottare, e parlo in generale, non solo in relazione a questo episodio, è lo strumento che si oppone al dialogo. Se boicotti qualcuno o qualcosa non sarai mai capace di costruire un ponte che unisca le parti. Puoi essere in disaccordo, pensarla diversamente, litigare, ma alla fine deve sempre prevalere il dialogo, l'incontro, l'interazione. E con la decisione presa, generata dalla pressione di cui parlavo prima, gli argentini in questa partita hanno preso le parti della squadra sbagliata».

Nemmeno l'intervento del Primo Ministro Benjamin Netanyahu col presidente argentino Mauricio Macri ha potuto cambiare le cose. «So che hanno provato a trovare una soluzione per rovesciare la decisione, ma col Mondiale alle porte apparentemente era troppo tardi per tornare indietro».

Qual è il suo dispiacere maggiore? «Sono due. Il fatto che l'Argentina, un Paese con una grande tradizione sportiva, si sia arreso di fronte a questioni politiche senza senso. E la delusione e la frustrazione di tanti tifosi di Messi pronti ad accoglierlo con incredibile entusiasmo»

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