Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/06/2018, a pag.II, la recensione di Alessandro Litta Modignani al libro "Capire il Corano", di Farid Adly (Tam Editore).
Più che il libro, interessante e utile il commento.
Alessandro Litta Modignani
Al fine di costruire una società multiculturale, Farid Adly auspica “una possibile interpretazione laica del Corano”, che sia “coerente con i cambiamenti della modernità”. Giornalista libico, collaboratore di Corriere della Sera, Radio Popolare e il manifesto, l’autore ammonisce che “la questione jihadista è un oscurantismo che uccide la vitalità delle società arabo-islamiche” e che “l’islam politico – nato dopo la caduta del Califfato ottomano – si fonda sulla contrapposizione alla modernità occidentale. (…) Da queste tendenze fondamentaliste sono nate tutte le deviazioni jihadiste”. Adly presenta con cura la struttura del testo sacro: i 114 capitoli – le “Sure” – i problemi linguistici legati alla redazione dei versi, le questioni teologiche derivanti dalle varie interpretazioni, gli sviluppi storici e filosofici successivi fino ai giorni nostri.
La copertina
Maometto era notoriamente analfabeta, dunque la sua predicazione è legata alle capacità di recitazione e memorizzazione dei suoi seguaci. Il fatto che egli sia interprete e strumento del volere di Allah, scrive Adly, è sicuramente “un dato dogmatico, che si può razionalmente ammettere soltanto per un percorso di fede”. Il Corano è dunque “luce e libro chiarissimo, sublime e glorioso, ma soprattutto è anche il criterio del bene e del male”. Qui cominciano i problemi. In realtà, il libro è tutt’altro che chiarissimo, poiché i suoi versi si suddividono appunto in “chiari” o “solidi”, e “oscuri” o “allegorici”. Questi ultimi ammettono più interpretazioni, che sono “frutto di una lunga e lenta rielaborazione e sistematizzazione”. Lo sforzo di analisi (“ijtihad”) da parte dei giuristi più autorevoli, alla lunga si esaurisce: “Con la decisione di dichiarare chiusa la porta dell’ijtihad al X secolo (…) la legge si è fortemente inaridita, ridotta a rimasticare dei compendi ereditati, con notevoli dubbi sulla loro affidabilità e con un’assoluta certezza del loro anacronismo, di fronte alle problematiche che il musulmano vive nelle società moderne”. Con onestà intellettuale, l’autore apertamente riconosce che si rende perciò necessaria “un’interpretazione riformata, per superare leggi e decreti che oggi non hanno più motivo d’essere, rispetto alla società nomade della penisola arabica di 14 secoli fa”. Due esempi per tutti: la questione della schiavitù, definita “un tabù per il mondo arabo-islamico”, per essere stata sempre considerata lecita dal punto di vista teologico; e l’oppressione della donna. Nel Corano vi è un capitolo, intitolato “Le Donne”, dove è scritto: “Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre”. E ancora: “Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele”. Da questa condizione di inferiorità, consegue una serie di disparità normative e giuridiche, elencate con precisione dall’autore. “La questione del velo assume così un suo valore simbolico di sottomissione della donna”, ragion per cui – conclude Adly – “il Corano è antifemminista”.
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