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Il 5 giugno 1967 e la menzogna che ha trasformato il Medio Oriente (Traduzione dal francese di Yehudit Weisz) http://www.jforum.fr/5-juin-1967-le-mensonge-qui-a-transforme-le-moyen-orient.html
Ogni anno i palestinesi e i loro alleati commemorano la catastrofe che fu per loro la Guerra dei Sei Giorni. Catastrofe che, secondo loro, aveva implicato una nuova ondata di oltre 300.000 rifugiati, e la perdita della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Ma loro, semplicemente, “dimenticano" come tutto era cominciato. All'inizio di giugno del 1967, la guerra tra Egitto e Israele era diventata inevitabile. Nasser aveva proceduto a bloccare lo stretto del Mar Rosso che controlla l'accesso al porto israeliano di Eilat, a cacciare le Forze delle Nazioni Unite di stanza nel Sinai, nel quadro degli accordi di cessate il fuoco del 1956, e ad ammassare le sue truppe nella penisola. Nelle strade del Cairo e nelle grandi città del Paese una folla isterica urlava "Hitbach hitbach el yahoud - massacriamo, massacriamo gli ebrei “. Mentre lo Stato Maggiore israeliano stava elaborando la propria strategia, il governo con tutti i mezzi possibili aveva informato re Hussein, che non aveva alcun contenzioso e che l'imminente conflitto riguardava solo l’Egitto. Eppure, a me ed alle centinaia di migliaia di israeliani che allora vivevano nella parte occidentale di Gerusalemme, il 5 giugno risveglia il ricordo della tempesta di fuoco che si era abbattuta sulla città, per nulla preparata alla guerra. Tutto ebbe inizio con spari sporadici, probabilmente per iniziativa individuale dei soldati giordani lungo la linea di demarcazione, che volevano dimostrare la loro solidarietà ai "fratelli egiziani". Allora in città c’era un contingente israeliano assai limitato - meno di duemila uomini. Fu loro ordinato di non rispondere. Era necessario, ci verrà spiegato più tardi, consentire al re di salvare la faccia. Hussein si sarebbe accontentato di questo disperato tentativo di salvare l’onore? Non lo sapremo mai. Quel che si sa per certo è che il Presidente egiziano poi lo chiamò su una linea che pensava sicura, esortandolo ad aprire un nuovo fronte. " Stiamo vincendo, unisciti alle nostre truppe vittoriose! ". La tentazione era troppo forte: alle 10.45 il re annunciò su Radio Amman che “la battaglia decisiva è iniziata”. Poco prima questa stessa radio aveva incitato: "Sparate, sparate più che potete. La fine di Israele è nelle nostre mani”. Il dado era tratto. Alle undici non si sentivano più solo spari di armi automatiche, ma i cannoni giordani che tuonavano, che avrebbero continuato a colpire senza tregua fino a notte fonda. Furono centrati seimila edifici, ci furono un migliaio di feriti e una ventina di morti. Nascosti nei rifugi, gli abitanti - specialmente donne, bambini e anziani, perché gli uomini validi erano stati mobilitati - aspettavano impotenti l'arrivo dei rinforzi. Un'attesa che sarebbe stata molto lunga. L’eco di ogni colpo di cannone da una collina all'altra, rinnovava l'angoscia. Non si poteva fare a meno di pensare alle urla della folla di egiziani di qualche giorno prima. I giordani riusciranno a forzare l’avamposto in difesa e si riverseranno sulla città? Sappiamo come andò a finire: il presidio resse bene, i rinforzi arrivarono, i giordani cominciarono a ritirarsi e furono costretti ad indietreggiare fino al Giordano. La Storia ricorderà - o avrebbe dovuto ricordare - che se Re Hussein non si fosse lasciato tentare da Nasser, non avrebbe perso Gerusalemme Est e la Cisgiordania . A proposito, prima della Guerra dei Sei Giorni, nessuno - e certamente non i palestinesi - reclamava la creazione di uno Stato palestinese su quei territori, fin dal 1948 sotto il controllo giordano.
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