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La Stampa Rassegna Stampa
04.06.2018 Giordania: rivolta in piazza contro tasse e austerità
Cronaca di Rolla Scolari

Testata: La Stampa
Data: 04 giugno 2018
Pagina: 14
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «In piazza contro tasse e austerità. La rivolta infiamma la Giordania»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/06/2018, a pag.14, con il titolo "In piazza contro tasse e austerità. La rivolta infiamma la Giordania" l'analisi di Rolla Scolari.

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L’austerità che ha diviso l’Europa è arrivata nel mondo arabo. Dopo Tunisia, Egitto, Algeria, Sudan e potentati del Golfo, ha toccato anche uno dei Paesi più stabili della regione. La Giordania, che ha superato indenne l’età delle rivolte arabe del 2011, è attraversata in queste ore da un dissenso per ora controllato. Ogni sera, da mercoledì, alla rottura del digiuno del mese sacro di Ramadan, migliaia di persone scendono in strada in diverse città: Aqaba, al-Karak, Maan, ArRamtha e nella capitale, Amman, dove sabato la folla ha cercato di raggiungere il palazzo dove lavora il primo ministro Hani Mulki. La polizia di Amman ha lanciato gas lacrimogeni e bloccato le strade per bloccare i manifestanti.

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Tumulti in Giordania ieri


Le perenni inquietudini
La Giordania è stata finora garanzia di stabilità in una regione di perenni inquietudini. Nel conflitto siriano, come nei disequilibri israelo-palestinesi, è alleato imprescindibile della comunità internazionale, che guarda in queste ore con preoccupazione alle proteste in corso, le più vaste da anni nel regno. Le immagini in arrivo riportano alla memoria i giorni delle rivoluzioni che in Tunisia, Egitto e Libia hanno fatto crollare antichi regimi. L’episodio che aveva scatenato le rivolte in tutta la regione aveva d’altronde la sua origine nella frustrazione economica e sociale di un’intera generazione: il venditore di verdura Mohamed Bouazizi, 27 anni, si era dato fuoco a Sidi Bouzid nel cuore povero della Tunisia dopo che la polizia aveva confiscato la carriola con cui vendeva i suoi prodotti. Le proteste giordane sembrano essere per ora differenti. A partire dagli slogan gridati dalla piazza.

La ragione delle proteste
Se in Tunisia, Egitto e Libia i manifestati chiedevano «la caduta del regime», i giordani non reclamano la fine del regno del popolare sovrano Abdallah II, ma la sostituzione del governo Mulki. Il primo ministro ha rifiutato sabato di cancellare una riforma fiscale, ancora non approvata dal Parlamento, che prevede l’aumento dell’imposta sul reddito. Ad agitare la popolazione, provata dall’aumento dei prezzi nei supermercati e mercati di tutto il Paese, c’è anche la cancellazione dei sussidi sul pane, un tabù in medio Oriente dopo il 1977, quando in Egitto, durante le rivolte innescate dalla loro soppressione, morirono 79 persone.

Il canale di comunicazione
Re Abdallah, che nomina il governo e forma il Parlamento, è in queste ore il canale di comunicazione tra manifestanti, sindacati e governo. Ha ordinato venerdì di congelare l’aumento del prezzo del carburante, e nelle ultime ore si irrobustisce la possibilità che, per andare incontro alla popolazione, il sovrano possa dare l’incarico a un nuovo primo ministro, mentre quasi 80 deputati su 130 si preparano a votare contro la riforma fiscale.
I leader sindacali e della piazza accusano i politici di accettare le imposizioni del Fondo monetario internazionale, che dopo aver aperto alla Giordania una linea di credito triennale da 732 milioni nel 2016 chiede al Paese austerity e riforme per arginare un debito pubblico di 37 miliardi di dollari, il 95 per cento del Pil.

La crescita bassa
Per anni, il regno ha vissuto oltre le proprie possibilità, senza varare leggi di bilancio, senza affrontare la profonda corruzione delle istituzioni, sopravvivendo grazie ai milioni di dollari di aiuti in arrivo dagli Stati Uniti e dal Golfo (che nell’era dell’austerità globale ha però tagliato i finanziamenti). In un Paese con un tasso di crescita economica basso, una disoccupazione in aumento, la guerra nella vicina Siria ha inoltre incrinato i fragili equilibri, togliendo ad Amman il suo mercato più solido per le esportazioni e aprendo il confine a 600 mila profughi.

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direttore@lastampa.it

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