Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 04/06/2018, a pag. 1, con il titolo "Non si può fischiettare di fronte al progetto eversivo dei gialloverdi", l'analisi di Claudio Cerasa; dalla STAMPA, a pag. 10, con il titolo "L’usato sicuro delle frasi fatte gialloverdi", l'analisi di Mattia Feltri.
Ecco gli articoli:
Luigi Di Maio, Matteo Salvini
IL FOGLIO - Claudio Cerasa: "Non si può fischiettare di fronte al progetto eversivo dei gialloverdi"
Claudio Cerasa
Si può chiudere un occhio su tutto? La politica italiana ci insegna che quando nasce un governo la luna di miele che si viene a creare tra i nuovi padroni del paese e la volatile opinione pubblica tende sempre a mettere in secondo piano i difetti di chi governa e tende a mettere in rilievo solo gli elementi di qualità. L’amore più o meno implicito e più o meno inconfessabile che una parte consistente dell’opinione pubblica sta già manifestando dinnanzi al governo CoMa-SalDi (Conte-Mattarella; Salvini-Di Maio) porterà molti osservatori a concentrarsi più sulla forma (la storia dei ministri) che sulla sostanza (la storia del contratto) come se la maschera presentabile di alcuni tecnici fosse sufficiente a nascondere la faccia impresentabile del programma di governo. Ci sarà tempo e modo di raccontare nel dettaglio la pericolosità del contratto firmato da Salvini e Di Maio e i possibili punti che per fortuna potrebbero essere traditi rispetto alle premesse di governo. Ma se fosse necessario dover segnalare un ministero, spaventoso, che più degli altri merita di essere seguito con attenzione, e intorno al quale si potrebbero addensare il numero maggiore di nuvole antidemocratiche, quel ministero non potrebbe che coincidere con quello affidato venerdì pomeriggio all’onorevole Riccardo Fraccaro, ministro dei Rapporti con il Parlamento e, prima di tutto, per la democrazia diretta.
La prospettiva che la diciottesima legislatura possa coincidere con il passaggio da una democrazia rappresentativa a una diretta è uno degli elementi di criticità più importanti, e più sottovalutati, del contratto gialloverde e ci sarebbero già oggi buoni elementi per cominciare a organizzare presidi democratici sotto il ministero di Riccardo Fraccaro. La democrazia rappresentativa, ovvero il principio inviolabile che gli elettori eleggano dei parlamentari per rappresentare non un interesse di parte ma l’interesse della nazione, è da tempo uno degli obiettivi del progetto sfascista del Movimento 5 stelle, e oggi anche della Lega di Salvini. In campagna elettorale, ogni candidato grillino, compreso l’onorevole ministro Riccardo Fraccaro, ha sottoscritto un contratto anticostituzionale, con penale estorsiva da 100 mila euro, per promettere al capo di una srl privata, Davide Casaleggio, di presentarsi in Parlamento con l’idea di violare esplicitamente l’articolo 67 della Costituzione e di rappresentare così non l’interesse nazionale ma l’interesse di una parte: se fai quello che ti passa per la testa e non quello che chiede il tuo partito verrai multato, segato. Nel corso delle consultazioni, come se non fosse già chiaro il messaggio, la Lega e il Movimento 5 stelle hanno promesso poi di voler andare al governo anche per “introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari” (punto diciannove del programma) e ha perfettamente ragione il segretario dei Radicali italiani Riccardo Magi quando si chiede come sia possibile per un capo dello stato nominare ministro un parlamentare vincolato da un contratto privato che risulta in aperto contrasto non solo con l’articolo 67 della Costituzione ma anche con lo stesso contenuto del giuramento prestato dal ministro di fronte al presidente della Repubblica un attimo prima di entrare in carica: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.
Può un ministro che ha sottoscritto un contratto per esercitare le sue funzioni nell’interesse esclusivo del suo partito essere credibile quando giura di esercitare le sue funzioni nell’interesse esclusivo della nazione? In questa accezione, il totem della democrazia diretta è direttamente collegato alla fine della democrazia rappresentativa e se davvero il Movimento 5 stelle e la Lega riusciranno nell’impresa di cancellare come promesso l’articolo 67 della Costituzione potranno vantarsi di aver fatto quello che non riuscì neppure a Benito Mussolini nel Ventennio: eliminare il potere di delega, distruggere l’idea della rappresentanza, trasformare gli eletti in marionette dei partiti, premiare nel proprio gruppo parlamentare solo utili idioti privi di personalità critica, spacciare una democrazia diretta da un server per una democrazia diretta dal popolo. “A cosa serve avere un Parlamento – ha scritto sul suo blog Claudio Messora, un grillino della prima ora oggi pentito almeno su questo punto – se tutti i parlamentari di una intera forza politica sono vittime dello schiaffo di una dirigenza di partito? Tanto varrebbe allora ci fosse un solo parlamentare: il segretario di quello stesso partito, in rappresentanza di tutti, che magari fa le leggi insieme ai soli segretari degli altri partiti”. Basterebbe questo a far tremare le gambe ma nel progetto eversivo di democrazia diretta sognato dal movimento 5 leghe c’è qualcosa di più che dovrebbe allarmare almeno quanto l’idea, per fortuna eliminata dal programma ma che prima o poi salterà fuori ancora, di uscire dall’euro. Qualcosa in più contenuta in una proposta di legge presentata nel 2015 dallo stesso Fraccaro. Titolo: “Modifiche agli articoli 73, 75, 80 e 138 della Costituzione, in materia di democrazia diretta”.
Svolgimento: “L’abolizione del quorum di partecipazione è il primo passo indispensabile per consentire ai cittadini di concorrere attivamente al processo decisionale democratico. Con l’abolizione del quorum si avrebbe il sicuro effetto di vedere sbocciare la democrazia diretta accanto a quella rappresentativa, determinando l’indispensabile evoluzione verso la democrazia integrale”. Il Movimento 5 stelle, come già più volte segnalato, sogna di esportare in Italia il modello delle esperienze referendarie compiute in molte parti della California e le ragioni per cui la presenza di una democrazia referendaria rappresenta un pericolo per la nostra democrazia è stata spiegata bene dal professor Sabino Cassese in un libro appena ripubblicato da Mondadori (“La democrazia e i suoi limiti”). “La tentazione dell’illimitata democrazia – scrive Cassese – corre il rischio di corrompere la stessa democrazia. Il fondamentalismo democratico e le smisurate ambizioni democratiche rischiano di favorire la tirannia di piccoli gruppi, oppure di favorire decisioni popolari ma dannose. Si pensi soltanto al ricorso ai referendum in California, dove sono stati revocati rappresentanti eletti, diminuite imposte, rigettate leggi e scritte nuove leggi.
Ciò ha provocato periodiche crisi finanziarie di uno Stato peraltro ricco. Più democrazia, osservano alcuni studiosi tedeschi, può voler dire favorire gli interessi di breve periodo o quelli di singoli gruppi più attivi e minare la democrazia rappresentativa, oppure il Gemeinwohl, quello che potremmo chiamare l’interesse comune sul lungo periodo”. Avere la democrazia rappresentativa alle dipendenze della democrazia diretta non rischia solo di rovesciare il principio su cui si fondano le democrazie più mature del mondo ma rischia di portare il percorso della nostra repubblica su un binario non lontano da quello dell’eversione. Il ministro Riccardo Fraccaro, portavoce in Parlamento degli interessi non degli italiani ma del capo di una srl privata, nel 2013 quando Giorgio Napolitano accettò il secondo mandato da presidente della Repubblica scrisse su Facebook, salvo poi rimuoverlo dopo poche ore, un messaggio di questo tipo: “Oggi è il 20 aprile, giorno in cui nacque Hitler. Sarà un caso, ma oggi muore la democrazia in Italia”. Noi, nel nostro piccolo, cinque anni dopo potremmo affermare senza problemi che oggi è il 4 giugno, che il governo che sta per ricevere la fiducia del Parlamento italiano è un governo che promette di superare la democrazia rappresentativa e che l’ultimo governo che provò a descrivere la democrazia rappresentativa come un mero formalismo borghese da sostituire il più presto possibile con una democrazia della piazza ci fu nel momento più buio della storia italiana (avete capito quale). Ieri fascisti, oggi sfascisti. E speriamo davvero che qualcuno vigili.
LA STAMPA - Mattia Feltri: "L’usato sicuro delle frasi fatte gialloverdi"
Mattia Feltri
Roberto Fico (M5S) saluta con il pugno chiuso, simbolo del totalitarismo comunista
«Lo Stato siamo noi», ha detto Luigi Di Maio e, santo cielo, se lo avesse sentito Jean-Jacques Rousseau. Quella frase, che declinata al singolare è «lo Stato sono io», attribuita al Re Sole e diventata nei secoli lo slogan dell’assolutismo monarchico, al vecchio Rousseau gli avrebbe fatto venire un colpo apoplettico. O forse, come tutti noi, ormai sarebbe abituato a questo frasario dell’ammazzacaffè, per cui salta su Danilo Toninelli e dice che vuole «creare uno Stato etico», categoria filosofica abbondantemente fraintesa, e nel fraintendimento molto amata dalle dittature: è lo Stato a separare il bene dal male. Ma, come ha già fatto notare Guido Vitiello sul Foglio, forse Toninelli voleva solo mettere in bella copia l’idea dell’onestà, dove il bene coincide con la fedina penale pulita. E nemmeno così è tanto rassicurante, fa venire in mente le luci bianche dei sotterranei della Lubjanka, o anche la dittatura della virtù di Maximilien de Robespierre. Ma con questo non si intende sostenere chissà che. Probabilmente Toninelli non conosce per la morale metri alternativi al casellario giudiziale, e difficilmente si può supporre che Di Maio progetti di traslocare a Versailles. Soltanto che fa un po’ impressione sentire cose così, che appartengono al disastro recente dell’uomo, pronunciate nella più giovanile inconsapevolezza. E probabilmente è peggio.
Il Duce
Matteo Salvini, per esempio, ormai attinge dal massimario di Benito Mussolini. «Chi si ferma è perduto», ha detto nei giorni della trattativa coi cinque stelle. «Tanti nemici tanto onore», ha detto in polemica col fumettista Zerocalcare. Anni fa il portiere della Juve, Gianluigi Buffon, fu accusato di ricostituzione del Partito fascista, o giù di lì, per una maglietta con su scritto «boia chi molla». In fondo sono motti evoluti a modi di dire. Certe coincidenze sono più interessanti. «Le frontiere ci sono, si difendono» e «Le frontiere non si discutono, si difendono» sono due sentenze, una pronunciata dal capo leghista, l’altra dal capo fascista. Ecco il postulato del bravo oppositore: vietato affiancare i nuovi governanti al fascismo, è stato fatto troppe volte e a vanvera negli anni scorsi. Tenderemo a pensare che non è una riproposizione, che sono solamente spettacolari coincidenze, e tuttavia restituiscono un’idea di che cosa frulli nelle teste del bipartito al governo.
Infatti, a proposito di spettacolari coincidenze, il lettore analizzi la frase: «Gli stati capitalisti utilizzano le menzogne, la truffa e il raggiro per negare ai loro popoli i diritti vitali più basilari e si preoccupano esclusivamente dei propri interessi finanziari». A chi appartiene? A Beppe Grillo, a Stalin, a Salvini o a Adolf Hitler? Difficile capirlo, vero? A Hitler.
Walking dead
O questa: «I gruppi industriali e finanziari nel loro folle egoismo ci temono e ci odiano come il peggior nemico». Di chi è? Di Salvini o di Mussolini? Del secondo. Valutate la differenza fra «il partito non è un circolo di discussioni» (Stalin) e «se qualcuno non si riconosce nel Movimento è liberissimo di andarsene» (Grillo). Attribuite la paternità di quest’altra: «Un movimento che si propone di rinnovare il mondo non serve all’attimo che passa ma al futuro». E di quest’altra: «Siamo costretti a pensare a un mondo nuovo. Dobbiamo riprogettare il mondo». Una è di Grillo e una di Hitler, accoppiate voi sentenza e sentenziante. Tracciate la differenza fra l’opinione che ha Grillo della stampa («I giornalisti sono servi dei partiti, sono i veri walking dead») e quella di Hitler («La cosiddetta stampa liberale è l’opera dei becchini del popolo»). Si potrebbe insistere a lungo, sull’idea di democrazia, di Parlamento, di nemico. Ci si accontenta di un suggerimento: andate su YouTube a vedere il video in cui il Duce, davanti al popolo plaudente, brucia alla fiamma dell’Altare della Patria un foglio con sopra l’ammontare del debito pubblico. E il bello è che tutte queste cose le rivediamo e le risentiamo, sotto forma di spaccio, al tempo nuovo della liberazione.
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