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Avvenire Rassegna Stampa
02.06.2018 L'islam di Sansal e quello di Nawaz: conoscerli e poi decidere da che parte stare
Boualem Sansal e Maajiid Nawaz intervistati da Alessandro Zaccuri

Testata: Avvenire
Data: 02 giugno 2018
Pagina: 23
Autore: Alessandro Zaccuri
Titolo: «Non illudetevi, nessuna tolleranza-Islam: quale dialogo?»

AVVENIRE pubblica oggi, 02/06/2018 a pag. 23, due interviste di Alessandro Zaccuri, la prima a Boualem Sansal, lo scrittore algerino che i nostri lettori conoscono bene, uno dei storici musulmani più coraggiosi nel raccontare l'islam per quello che è. In questa intervista c'è l'islam vero, quello che sta invadendo l'Europa e il mondo intero.

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Alessandro Zaccuri

"Non illudetevi: nessuna tolleranza" intervista a Boualem Sansal

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Boulem Sansal

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Boualem Sansal non è un ottimista, come sanno bene i lettori di 2084. La fine del mondo, il romanzo che nel 2015 lo ha portato alla ribalta internazionale: un incrocio tra distopia orwelliana e cronache del fondamentalismo, nella cui trama l'islam, mai nomi, sarà completata dal nuovo romanzo, in uscita a settembre ». Come si intitolerà{ «Il treno di Erlingen, o la metamorfosi di Dio: se Nel nome di Allah era una ricognizione storica e 2084 una proiezione del futuro, questo libro è il racconto di quanto sta accadendo nel presente». Vale a dire? «Qualcosa di completamente diverso rispetto alle migrazioni del passato, quando le religioni svolgevano un ruolo tutto sommato accessorio. Nell'Ottocento un europeo che arrivava in America, per esempio, portava senz'altro con sé le proprie convinzioni, ma queste non rappresentavano interamente la sua identità. Tedeschi o irlandesi, tutti diventavano abbastanza presto americani. Oggi come oggi non è più così. I migranti provenienti dal mondo musulmano non rinunciano a nulla della tradizione alla quale appartengono e che anzi, molto spesso, si ripresenta con più forza nel passaggio da una generazione all'altra. Vivono in Europa, ma restano algerini, marocchini, pachistani...». E questo rallenta il processo di integrazione? «A mio modo di vedere non soltanto lo rallenta, ma lo impedisce. So di passare per pessimista, ma non credo che l'islam sia riformabile. Parliamo di una mentalità che esclude qualsiasi tentativo di innovazione, perché si basa sul presupposto che il Corano contenga il messaggio divino in forma universale e definitiva. Ogni deviazione dal dettato del Libro viene considerata eretica e può essere passibile di morte. Certo, accade che i musulmani che vivono in Occidente abbiano un qualche commercio con la modernità. In gran segreto, però, e senza che questo produca alcun effetto a livello sociale». Ma alla storia dell'islam appartengono anche correnti più illuminate... «Questa è un'illusione degli occidentali. Per quanto mi riguarda, la varietà delle correnti musulmane è un'invenzione degli orientalisti. E del tutto ingenuo ritenere che possa esistere un islam tollerante. Dio è uno e il Corano non è passibile di interpretazione: tutta la realtà si divide in halal e haram, in ciò che è permesso e ciò che è proibito, qualsiasi possibilità di mediazione è esclusa in partenza». Insisto: l'islam tollerante è un dato storico. «Lei si riferisce semmai a qualche episodio, molto limitato nel tempo e nello spazio. Prenda il caso dei cosiddetti mutaziliti, gli studiosi del IX secolo che, sulla scorta del pensiero greco, cercarono di sottoporre l'insegnamento divino allo scrutinio della ragione umana. Le loro ricerche entusiasmarono i califfi di Baghdad, ma in sostanza questa dottrina straordinariamente conciliante non uscì mai dalle stanze del palazzo e si esaurì nell'arco di pochi decenni. La condanna della teologia ufficiale fu implacabile. Il termine mutaziliti, non per niente, significa "coloro che sono nell'errore"». Sì, ma non è detto che le minoranze debbano restare tali per sempre. «Finora nell'islam è sempre andata così. Gli occidentali si lasciano entusiasmare da confraternite minuscole, come quella dei dervisci in Turchia, e non vogliono accettare la natura monolitica del dogmatismo musulmano. L'unica eventuale evoluzione si potrebbe avere, a mio parere, se l'islam rinunciasse a sé stesso».

"Islam: quale dialogo?" intervista a Maajiid Nawaz

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La biografia di Nawaz chiarisce bene perchè scrive "Dal punto di vista storico, la tolleranza ha sempre costituito una costante per la maggioranza dei musulmani. Dopo di che sono esistite ed esistono le variabili, anche intolleranti e violente.." Da fondamentalista che era, è riuscito ad uscire vivo dalla prigione egiziana, sarà per questo che oggi predica il dialogo. La sua analisi nella quale addossa alle democrazie europee la responsabilità del terrorismo islamico è il rovesciamento di quanto è avvenuto e prosegue ancora oggi.  Se troveranno consensi, le idee di Nawaz sono quelle che segneranno la fine delle società liberali.

"Massimo rispetto per le opinioni altrui - esordisce Maajiid Nawaz - ma non penso che si possa sostenere che l'islam sia per sua natura intollerante. Equivarrebbe a perdere per sempre la speranza".
Di intransigenza dogmatica Nawaz ha un'indubbia esperienza. Nato nel 1977 in Gran Bretagna da genitori immigrati dal Pakistan, ha fatto parte di Hizb al-Tahrir, un'organizzazione fondamentalista per la quale ha anche svolto il ruolo di reclutatore. Per quasi sei anni è stato prigioniero delle carceri egiziane, maturando il profondo ripensamento di cui dà conto in Radical , l'autobiografia scritta in collaborazione con Tom Bromley e da poco pubblicata nel nostro Paese da Carbonio (traduzione di Alberto Cristofori, pagine 318, euro 17,50).
«Quando si parla di islam - aggiunge Nawaz, che in diverse occasioni ha presentato il suo libro in Italia- il dato storico va sempre contestualizzato, anche in senso teologico».
Che cosa significa? «Che oggi l'islam può apparire illiberale e intollerante rispetto ad altre società, ma c'è stato un tempo in cui queste stesse società, a partire da quelle europee, erano intolleranti e illiberali se paragonate all'islam». Sembra un gioco di parole. «Non è così. Dal punto di vista storico, la tolleranza ha sempre costituito una costante per la maggioranza dei musulmani. Dopo di che sono esistite ed esistono le variabili, anche intolleranti e violente, ciascuna delle quali è legata a determinate situazioni sociali, economiche e politiche. Identificare l'islam con il fondamentalismo sarebbe come proporre un'equazione tra l'Italia e il fascismo, che è un'ideologia totalitaria maturata in condizioni particolari. Una varibabile, insomma, e non uan costante». E quali sono le variabili alle quali è soggetto l'islam contemporaneo? «La svolta è venuta con l'invasione sovietica dell'Afghanistan alla fine degli anni Settanta. In quel momento, come sappiamo, gli Stati Uniti cercarono l'appoggio dell'Arabia Saudita e del Pakistan per dare vita alle prime formazioni di mujaheddin, che rappresentano l'embrione di ogni successivo fondamentalismo armato. La variabile più evidente è costituita dai petrodollari, ovvero dalle enormi risorse economiche che sono state messe a disposizione di un disegno tanto semplice nel suo assunto quanto letale nell'esecuzione». A che cosa si riferisce? «All'idea, perseguita purtroppo con successo, di ascrivere alla religione le ragioni della politica. Per l'islam non si tratta di una scelta obbligata. Al contrario, nel corso del tempo l'assenza di un'autorità centrale ha favorito la reciproca tolleranza fra le diverse scuole coraniche, gettando le basi di quella che potrebbe essere considerata la via islamica alla secolarizzazione. Le società occidentali, in un certo senso, sono il territorio più adatto all'affermazione dell'islam non fondamentalista». Ne è sicuro? «Certamente. Quando agivo da reclutatore per Hizb alTahrir, la mia principale preoccupazione consisteva nell'instillare prima il sospetto e poi il rigetto verso valori quali la democrazia e il dialogo tra le culture. Una volta fatta tabula rasa di questi presupposti, l'ideologia del radicalismo attecchiva facilmente, fino a trasformarsi in una forma di dipendenza».
Quali sono le responsabilità dell'Occidente? «L'aver confuso l'integrazione con l'assimilazione, in primo luogo. Non si può pretendere che un musulmano residente in Europa rinneghi completamente se stesso e la tradizione alla quale appartiene. I due modelli principali, il francese e l'anglosassone, hanno entrambi fallito, perché non hanno saputo tenere conto di questa complessità. In Gran Bretagna ci si è concentrati sull'emancipazione economica, senza preoccuparsi di quanto avveniva nella sfera privata, domestica, dove permanevano pregiudizi e comportamenti inaccettabili per una società moderna In Francia, invece, ci si è accontentati di un'adesione formale ai principi della République, alla quale non si è mia accompagnata un'adeguata contropartita economica. I due elementi, però, non possono mai essere separati. D'ora in poi sarà necessario procedere in questa direzione».

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