Rirendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 26/05/2018, a pag.12/13 due servizi di Francesca Caferri e Filippo Santelli, che evidenziano le tecniche di disinformazione che il quotidiano di proprieta debenettiana usa per distorcere i fatti, Caferri prende di mira le nuove allenze dell'Arabia Saudita, senza mai ricordare che il grande nemico della stabilità in MO è l'Iran, non il principe MBS nè, in questo caso ,Moqtada Al Sadr. MBS ha una altroa colpa, sta dalla parte degli USA e ha una buona relazione con Israele.
In quanto al commento di Santelli, per ubbidire all'ordine " attaccare sempre e comunque Trump ", definisce "trattativa diplomatica più pazza della storia "il modo con cui Trump si comporta con il dittatore coreano. Che cosa fa di tanto pazzesco Trump? Invece di bombardarlo cerca prima di convincerlo con le buone. Quando Kim pare accettare le condizioni, Trump fissa la data dell'incontro. Ma poi Kim cambia idea, insulta il vice presidente americano e lo stesso Trump. Il quale, ovviamente, non gradisce. Anche un bambino capirebbe da quale parte stanno torto e ragione. Per Santelli - ovvero pr Repubblica- Trump ha invece sempre torto.
Ecco le due disinformatzia, in perfetto stile UNITA' sovietica:
Francesca Caferri: "Al Sadr e MBS nuova coppi di potere in chave anti-Iran "
Al Sadr con MBS
Sono figli d’arte, con il destino segnato. Giovani, ambiziosi e pronti a tutto pur di affermare le proprie posizioni: compreso calpestare qualche cadavere. Li oppone il credo: alfiere del sunnismo l’uno, estremo difensore della fede sciita, l’altro. Eppure oggi sembra che l’interesse comune debba prevalere anche su questo. Mohammed Bin Salman e Moqtada al Sadr sono la nuova coppia forte del Medio Oriente: il principe saudita e l’erede della dinastia irachena che Saddam Hussein tentò di sterminare, si sono incontrati per la prima volta qualche mese fa in Arabia Saudita per il pellegrinaggio alla Mecca. Quell’incontro segnò l’inizio del ritorno dell’Arabia Saudita in Iraq: «Dopo un quarto di secolo di allontanamento, Riad ha riaperto le relazioni diplomatiche con l’Iraq nel tentativo di controbilanciare la forte influenza iraniana. Il regno cerca un ruolo nella ricostruzione post-Isis e vuole forgiare nuove alleanze politiche», scriveva qualche giorno fa l’International crisis group. Mbs farebbe di tutto per fermare la crescente influenza iraniana nella regione, compreso avvicinarsi a chi, fra gli sciiti iracheni, è più lontano da Teheran. Dunque a Moqtada: che pure, nel bienno 2006-2008 si è reso responsabile degli attacchi più efferati contro gli americani (alleati dei sauditi) e i sunniti in Iraq. Al Sadr ha bisogno di appoggi e di finanziamenti per affermarsi come il più importante fra i leader sciiti in Iraq: ancora più oggi che, con la vittoria conquistata alle elezioni, è l’uomo decisivo per la formazione del nuovo governo.
Filippo Santelli: "Così Trump ha detto non al vertice con Kim (ma ha ricambiato idea)
Trump, Kim
PECHINO, CINA - Il barometro della trattativa diplomatica più pazza della storia ieri è tornato a schizzare verso il sereno. Anziché reagire in maniera scomposta alla cancellazione del summit di Singapore, la Corea del Nord ha replicato con un comunicato tutto miele, in cui Kim Jong-un elogia «la formula Trump» e si dice pronto a trattare «in ogni momento e in ogni modo». Le parole che non ti aspetti, da chi poche ore prima aveva pure distrutto in mondovisione il suo sito per i test nucleari. Parole che il presidente americano ha gradito, regalando al mondo l’ennesima piroetta sull’incontro: «Può essere anche il 12 (giugno a Singapore, ndr). Stiamo parlando, loro lo vogliono molto e anche a noi piacerebbe». A decodificare queste oscillazioni ci ha provato il Washington Post, ricostruendo quanto successo alla Casa Bianca nelle ultime ore. Lo scetticismo di Trump (in foto con il consulente per la sicurezza John Bolton) era già alto, dopo che gli emissari di Pyongyang avevano mancato un meeting preparatorio con gli americani a Singapore. La crisi decisiva però l’avrebbe causata una telefonata ricevuta mercoledì a tarda sera, in cui il consigliere John Bolton, il “falco” della squadra, gli riferiva degli insulti rivolti dal regime al vice Pence. La mattina dopo Trump avrebbe deciso d’impulso di cancellare l’incontro. Ma dopo la risposta conciliante di Kim, eccolo tornare di nuovo possibilista. Una nuova pattuglia di negoziatori americani è pronta a partire per Singapore domani, confermano a Politico fonti dell’amministrazione, segno che la trattativa sarebbe ancora in carreggiata. Al di là delle schermaglie negoziali resta però la distanza di fondo da colmare: misura, modi e tempi della denuclearizzazione. Pur tra mille carinerie, Kim ha ribadito che non tutto può essere risolto nel primo faccia a faccia, che il processo può essere “a fasi”. Sottinteso: ognuna delle quali accompagnata da parallele concessioni. Ma senza la certezza che si arrivi fino in fondo. Mentre Trump non si è mai discostato dalla richiesta di una distruzione dell’arsenale «completa, irreversibile e verificabile» come precondizione iniziale. Trovare un compromesso, anche solo sui termini, è difficile. Che i negoziati procedano di certo non dispiace alla Cina, terzo e silenzioso attore della partita. Xi Jinping può continuare a giocare il suo ascendente su Kim nell’altro tavolo aperto con gli Usa, quello dei dazi.
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