Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/12/2018, a pag.12, con il titolo "Passano dalle banche malesi i soldi per i gruppi ,jihadisti " l'analisi di Rolla Scolari
Matthew Levitt
L'allerta della comunità internazionale su come Hamas e Isis sfruttano i canali del sistema finanziario della Malaysia. Un omicidio riapre la pista.
Kuala Lumpur non ha relazioni con Israele e già nel 2013 il premier promise aiuti a Gaza. Fadi al-Batsh, l'ingegnere ucciso in Malaysia, non sarebbe stato coinvolto soltanto nel programma di sviluppo di droni e razzi per il movimento palestinese Hamas, ma anche in colloqui con i nordcoreani sul contrabbando di armi verso Gaza, come rivelato dal «New YorkTunes». Per Kuala Lumpur e per Hamas, all'origine dell'assassinio di aprile ci sarebbe Israele, intervenuto per bloccare una relazione pericolosa tra Pyongyang e Gaza, controllata dal gruppo islamista. Benché la presenza di Hamas nel Paese asiatico non sia una novità, l'uccisione di alBatsh, che ha esposto una più vasta rete di legami internazionali del movimento, sarebbe stato un allarme per la comunità internazionale politica e finanziaria, spiega Jonathan Schanzer, ex funzionario del Dipartimento del Tesoro americano, esperto di finanziamento del terrorismo. Fonti di intelligence occidentale rivelano come l'episodio abbia rinnovato controlli internazionali sul sistema finanziario malese, innescati già dall'arresto, sempre ad aprile, di una cellula di Isis che pianificava attacchi in Malaysia. Il capo dell'anti-terrorismo malese, Ayob Khan Mydin Pitchay, al Counter-Terrorism Financing Summit di novembre nella capitale ha spiegato come dal 2016 venti membri di Isis siano stati fermati perché coinvolti «nel finanziamento di attività terroristiche» e invio di denaro in Siria e Filippine. Gli arresti sollevano preoccupazioni su possibili attività in Malaysia di altri elementi del jihadismo internazionale. In passato, attori terroristici avevano già sondato l'attrattiva del crocevia malese: nel 2000 si tenne a Kuala Lumpur un incontro dei vertici di alQaeda nel quale sarebbero stati pianificati l'attentato al cacciatorpediniere statunitense Uss Cole in Yemen, e l'11 settembre. La Malaysia, spiega Matthew Levitt, specialista di terrorismo al Washington Institute for Near East Policy, è per Hamas un luogo ideale prima di tutto perché il governo non lo considera un movimento terroristico, come fanno Stati Uniti e Unione europea; poi perché è facile aprirvi commerci o conti in banca, non richiede un visto d'entrata, ci sono buone università, è all'avanguardia nelle tecnologie, l'economia è solida, è ben connesso tra Est e Ovest, è una società islamica. Il gruppo è inoltre in difficoltà: «Il blocco israeliano ed egiziano su Gaza rende il contrabbando quasi impossibile, quindi Hamas deve produrre da solo armi, e per farlo deve agire all'estero, perché in casa mancano i soldi per studi e tecnologie». A dicembre è stato ucciso in Tunisia un altro suo ingegnere: si occupava di sviluppo di droni. In Malaysia, Hamas opera da diverso tempo: nel 2014, Israele arrestò Majdi Mafarja, che ammise d'essere stato addestrato nel Paese in crittografia e hackeraggio informatico. La stampa israeliana rivelò i viaggi di due alti funzionari del gruppo, Maan Khatib e Radwan al-Atrash. La presenza del movimento è sostenuta dal governo, che non ha relazioni diplomatiche con Israele. L'ex premier Najib Razak - una nuova amministrazione si è insediata dopo il voto di maggio - ha visitato Gaza nel 2013, e promesso sostegno finanziario. La Malaysia è sempre stata esplicita nel suo sostegno ai palestinesi, elargendo per esempio borse di studio, spiega
Za chary Abuza, professore al National War College di Washington, esperto di sicurezza nel Sud-Est asiatico. Dopo i fatti di aprile, la preoccupazione della Malaysia, alleato della comunità internazionale nella lotta contro lo Stato islamico che minaccia il Paese, «dovrebbe probabilmente essere quella dei legami finanziari che possono essere tracciati tra Hamas e le banche malesi - ha scritto Jonathan Schanzer -. Con la connessione Malaysia-Hamas sempre più esposta, è difficile immaginare uno scenario dove sanzioni americane» - a singoli individui o piccole istituzioni, non al Paese - «possano non essere prese in considerazione»
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