Riprendiamo dal FOGLIO di ogg, 24/05/2018, a pag. 1, con il titolo "Lost in translation. 'Tutto il mondo arabo pubblica libri quanto Penguin da sola”' E’ la chiusura della mente islamica" il commento di Giulio Meotti.
Giulio Meotti
Roma. Un mese fa, un gruppo di intellettuali francesi aveva pubblicato un manifesto in cui chiedeva al mondo islamico di eliminare dal Corano i versetti antisemiti. L’iniziativa era nata in seguito all’uccisione di Mireille Knoll. Il Consiglio turco degli studi superiori ha risposto con una moratoria sui nuovi dipartimenti di studi francesi. Da anni, sotto Recep Tayyip Erdogan, la cultura turca si sta chiudendo in se stessa. “Entrare in una libreria turca è come passeggiare in un manicomio”, ha detto al New Yorker il giornalista inglese Gareth Jenkins. La Turchia condanna al carcere i giornalisti e gli scrittori, ha messo sotto processo gli editori che hanno pubblicato in turco le opere di Henry Miller, William S. Burroughs, il marchese De Sade, Guillaume Apollinaire o John Steinbeck, e ha incarcerato la sua traduttrice più famosa, Necmiye Alpay. Ma non è soltanto un problema turco. E’ in corso la chiusura della mente islamica. Un nuovo rapporto dell’Atlantic Council scritto da Hossam Abouzahr, il fondatore del Living Arabic Project, dettaglia il declino drammatico della cultura nel mondo arabo, che oggi pubblica fra i quindici e i diciottomila libri all’anno. E’ lo stesso numero raggiunto da sola dalla casa editrice Penguin Random House.
Un solo libro, il Corano
L’Egitto una volta era il più grande produttore arabo di libri con una media tra i sette e i novemila volumi all’anno. La sua produzione è calata di ben oltre il 70 per cento dopo la rivoluzione del 2011. Le grandi librerie sono una rarità ovunque nei paesi del Golfo: il Bahrein ne ha cinque, il Kuwait ne ha sette, l’Oman ne ha tre, il Qatar cinque e gli Emirati arabi altre tre. La Grecia traduce cinque volte il numero di libri di tutte le ventidue nazioni arabe messe insieme. La Spagna traduce più libri in spagnolo ogni anno di quanti l’intero mondo arabo abbia tradotto in arabo dal IX secolo. Secondo un rapporto pubblicato alla Fiera del libro di Francoforte, “il mondo arabo, con la sua popolazione di oltre 362 milioni di persone, ha prodotto lo stesso numero di libri di paesi come Romania e Ucraina da sole”. Non solo. Un altro rapporto del centro Rand rileva che “i libri religiosi costituiscono il 17 per cento di tutti i libri pubblicati nei paesi arabi” (una percentuale notevolmente superiore rispetto agli altri mercati stranieri) e che “il numero di biblioteche pubbliche in Egitto è un decimo di quelle in Germania, che ha una popolazione paragonabile”. “La Siria, un tempo nota per la sua cultura accademica araba per lo studio e lo sviluppo della lingua, oggi è distrutta” spiega l’Atlantic Council. La cosiddetta “primavera araba”, che in realtà fu un inverno islamista, ha messo in ginocchio la cultura in Egitto, oggi in preda a paure censorie e chiusure degli spazi intellettuali. E i grandi scrittori nell’islam sono stranieri in patria. Naguib Mahfouz, il Nobel egiziano, venne quasi accoltellato a morte. Il poeta siriano Adonis vive a Parigi. I più celebrati scrittori algerini, come Kamel Daoud e Boualem Sansal, sono trattati come paria, invisi agli islamisti e al regime. Orhan Pamuk, il più grande scrittore turco, è stato processato e perseguitato. Il Nobel libanese Amin Maalouf è francese a tutti gli effetti. Un detto arabo recita: “I libri si scrivono al Cairo, si stampano a Beirut e si leggono a Baghdad”. Di libri oggi se ne scrivono sempre meno al Cairo, se ne stampano sempre meno a Beirut e se ne leggono sempre meno a Baghdad. La cultura nell’islam è ammalata. E questa sua malattia, questa miseria culturale, ha finito per contagiare anche l’occidente.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5090901 oppure cliccare sulla e-mail sottostante