Riprendiamo oggi 21/05/2018, dal GIORNALE a pag. 21, con il titolo "Addio a Lewis, cassandra dello 'scontro di civiltà' " il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 26, con il titolo "Addio a Bernard Lewis. Ci ha spiegato il suicidio dell’islam", il commento di Elena Loewenthal.
A destra: Bernard Lewis
Ecco gli articoli:
Il Giornale - Fiamma Nirenstein: "Addio a Lewis, cassandra dello 'scontro di civiltà' "
Fiamma Nirenstein
Gerusalemme Bernard Lewis si è spento ieri a Philadelphia, avrebbe compiuto 102 anni fra pochi giorni, il 31 maggio. Quando nel 1976 i lettori di Commentary, il sofisticato mensile americano diretto da Neal Kosodoy, lessero un articolo del professore intitolato «Il ritorno dell'Islam», spalancarono gli occhi: il saggio prevedeva, in tempi in cui ancora non si era avuta la rivoluzione islamica degli Ayatollah, e Osama Bin Laden era solo un giovane sunnita estremista, che l'Islam presto avrebbe rovesciato il tavolo troppo inaccuratamente apparecchiatogli dall'Occidente, e invitava a stare attenti. Fu sempre Bernard Lewis a spiegare - quando nemmeno ci si pensava le intenzioni totalitarie di Khomeini, a quei tempi un chierico in esilio mentre lo Scià era saldamente sul trono iraniano. Col suo tipico understatement inglese spiegò: «Era facile capire cosa avrebbe fatto l'ayatollah leggendo i suoi testi, ma pochi sapevano il parsi».
tutti i libri di B.Lewis sono disponbili in italiano, indispensabili per capire
Bernard Lewis di lingue ne sapeva almeno una decina, e nelle minime sfumature; e le parlava, dall'arabo al turco, con una ironica elegante sfumatura di orgoglio quando citava testi sconosciuti dai più, minimizzando l'accento, rimasto britannico anche dopo che si era naturalizzato americano. Lewis ha scritto un'intera biblioteca, e ha lasciato anche due libri intervista con la sottoscritta: aveva un profondo rispetto per l'islam e quindi anche una severità diretta, da amico a amico, per le sue cattive pulsioni. Non aveva remore a dire che l'attuale violenza dell'islam proveniva dall'interno, dalla sua struttura, dal suo Corano.. eppure i musulmani l'hanno tradotto, invitato, imparato. Lo si definito un «occidentalista» per sfottere il classico termine «orientalista», rovesciato da Edward Said. Lo era? Si può dire che era un amante dell'analisi storica, mal tollerava gli estremismi, frenava sempre persino quello degli amici. Anche nei modi era un maestro: un maestro di stile, spiritoso e che amava la battuta. Su mio invito è venuto in Italia tante volte a spiegare un universo sconosciuto; nel mondo lo si consultava ai massimi livelli: mi ricordo svariate limousine che negli Stati Uniti lo venivano a prendere per portarlo alla Casa Bianca... Israele è sempre stato il suo amore, la sua cura, la sua preoccupazione. Amava l'Occidente e la democrazia, ma con garbo, senza fanatismi e senza illudersi che l'islam potesse adottarne il sistema. E questo fin da quando, ufficiale di Sua Maesta Britannica negli anni Quaranta si avventurava nel deserto, era un giovane Lawrence d'Arabia affascinato dal mondo islamico. Quando fece il suo Bar mitzvah (il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l'età matura) a Londra imparò a leggere la sua porzione biblica in ebraico, e da qui si avventurò per i rami delle lingue semitiche di cui si sarebbe occupato per sempre. Guardava il Medio Oriente da umanista, parlò di tutto quello che vi era connesso: poesia, letteratura, armi, «assassini», antisemitismo, donne, leader.... Che fortuna hanno avuto i suoi allievi, fra cui la sottoscritta, a incontrarlo, a amarlo, a esserne curati come lui sapeva fare senza apparire. Lo incontrai la prima volta a Bologna nel 1991, per una «lettura» del Mulino e lo intervistai. Non capivo quasi niente di quel che diceva, ma ne intuii l'importanza. In Israele mi presentai, non invitata, all'ospedale quando seppi che doveva subire una operazione. Quando si svegliò, c'eravamo io e Uri Lubrani, il governatore israeliano del Libano, a sua volta un grande conoscitore della cultura musulmana, specie dell'Iran. Da allora è stato tutto un ascoltare le sue storie, le sue interpretazioni: me le ha regalate durante lunghe passeggiate, spesso in compagnia della sua compagna, Buntzie Churchill, sul lungomare di Tel Aviv. Bernard adesso se n'è andato, ha lasciato un drappello compatto che dodici anni fa si riunì al Bellevue Stratford Hotel di Philadelphia (famoso per aver ospitato lo zar Nicola II) in una conferenza a cui parteciparono anche grandi leader: il capo dei Sufi sceicco Kabbani, l'ex vice presidente americano Dick Cheney, il grande storico libanese Fuad Ajami, la eroina anti-islam estremista Hirsi Ali, Henry Kissinger... e poi noi, i suoi allievi, che ricevemmo una maglietta con stampata sopra la sua foto. Si discusse della grandiosità di una cultura che ha dato forza e dignità a tanti milioni di persone, ma che - cito Bernard Lewis - «è una religione di potere, e nel mondo musulmano è giusto e ben fatto che il potere sia posseduto dai musulmani, e solo da loro. Altri possono ricevere la tolleranza, persino la benevolenza, di uno stato islamico, ma devono riconoscerne la completa supremazia. Che non musulmani governino i musulmani, è un'offesa alle leggi di Dio. L'islam non è solo una religione, nel senso limitato dell'Occidente, ma una comunità, una fedeltà, un modo di vivere». Ultimamente ci siamo parlati via Skype con l'aiuto del nostro comune amico e compagno di strada Harold Rhode: voleva sapere dov'ero, come stavo... Il suo affetto era un tutt'uno con la sua cultura, anche se non aveva più tanta forza. Ha seguitato a parlare a tutti quelli che hanno voluto capire il Medio Oriente, e seguiterà a farlo con i suoi scritti e la sua voce, nella nostra memoria e nel nostro cuore.
La Stampa - Elena Loewenthal: "Addio a Bernard Lewis. Ci ha spiegato il suicidio dell’islam"
Elena Loewenthal
What went wrong, pubblicato in italiano con il titolo Il suicidio dell’islam: in che cosa ha sbagliato la civiltà mediorientale (Mondadori, 2002) uscì all’indomani delle Torri Gemelle, ma Bernard Lewis, il più grande orientalista dei nostri tempi morto ieri in New Jersey, dodici giorni prima di compiere 102 anni, lo aveva scritto quando quell’evento non aveva ancora cambiato le sorti del mondo. Con il suo libro Lewis spiegò all’America, e a tutto l’Occidente, che cosa era successo l’11 settembre, da dove veniva Al Qaeda.
Il rifiuto della modernità, incarnato da Osama bin Laden, dal sunnita Hassan el Banna, fondatore dei Fratelli musulmani, e dallo sciita ayatollah Khomeini, stava conducendo tutto l’islam lungo la via del fondamentalismo. Questo rifiuto della modernità risale, secondo Bernard Lewis, alla sconfitta di Vienna del 1683: sino ad allora l’islam era stato una civiltà dotata di spinta innovativa. È questa la chiave d’interpretazione di quel che succede oggi: l’islam si è chiuso. L’Occidente studia l’islam, ma l’islam non riesce più a studiare «fuori di sé», è tutto ripiegato in sé stesso.
Nato a Londra nel 1916, Bernard Lewis cominciò a interessarsi alle lingue e alla storia studiando per il bar mitzwah (la cerimonia di maggiorità religiosa ebraica), quando la Seconda guerra mondiale e la Shoah erano ancora lontane e il Medio Oriente non lasciava immaginare ciò che sarebbe diventato. Poi si avviò agli studi di legge, ma ben presto tornò alla vera vocazione. Nel 1936 si laureò in Storia alla School for Oriental Studies dell’Università di Londra, tre anni dopo prese il dottorato. Proseguì gli studi a Parigi con il grande Louis Massignon, orientalista e teologo, «cattolico musulmano», come lo definiva papa Pio IX, e nel 1938 tornò a Londra.
Durante la Seconda guerra mondiale prestò servizio nell’intelligence dell’esercito britannico. Al termine del conflitto si avviò a una feconda carriera accademica, che nel 1974 lo portò a Princeton. È stato tra i curatori della Cambridge History of Islam e autore di una lunghissima lista di testi.
Arabista, grande esperto di Turchia e Impero Ottomano, Lewis credeva fermamente nell’assunto che per guardare al presente ci voglia un approccio storico a largo raggio: non per nulla aveva cominciato le sue ricerche lavorando sulla Siria del Medioevo. E la sua ricostruzione della storia sociale e economica del Medio Oriente si fonda su un sistematico studio degli archivi ottomani. Il passato come strumento di osservazione del presente era per lui non un vuoto slogan, bensì il cuore del suo lavoro e del suo pensiero.
A lui si deve quell’espressione «scontro di civiltà» comunemente attribuita a Samuel P. Hungtington, e che invece fu Lewis a usare già nel 1990, senza però tramutarla in uno slogan politico ad effetto. Le sue prese di posizione erano sempre estranee alla retorica, mai superficiali: quando parlava, lo faceva argomentando piuttosto che lanciando inutili sassi nello stagno. Anche se non di rado era stato accostato a Cassandra, la profetessa di notizie infauste. Era infatti stato Lewis a mettere in guardia dai troppo sbrigativi entusiasmi dell’Occidente per i cambiamenti in atto in Medio Oriente. Nel 1976, tre anni prima della cacciata dello scià e della rivoluzione khomeinista in Iran, aveva previsto l’affermarsi di un islamismo politico e della jihad.
Innamorato del mondo arabo
Ma le sue valutazioni non erano mai disfattiste: Lewis guardava al Medio Oriente e all’islam con la lucidità della sua competenza e credeva nella intrinseca possibilità di cambiamento, a condizione che quel mondo si aprisse, abbandonasse il fondamentalismo, rigettasse gli stereotipi, come scrive nel saggio Il linguaggio politico dell’Islam (uscito in italiano da Laterza nel 1996). Ha puntato il dito anche sull’alquanto spinoso tema dell’antisemitismo nel mondo arabo - Semiti e antisemiti: indagine su un conflitto e su un pregiudizio (Il Mulino, 1990) -, spiegando che la rabbia dell’islam nei confronti d’Israele è sproporzionata rispetto a ben altre tragedie del mondo musulmano, quali ad esempio l’invasione sovietica dell’Afghanistan o la guerra Iran-Iraq.
Proprio a chi, come Edward Said, gli rimproverava un approccio al Medio Oriente in stile colonialista, Bernard Lewis rilanciava la palla: l’orientalismo dell’Occidente veniva dall’umanesimo. Sin dalla prima età moderna la civiltà europea ha studiato il Medio Oriente e l’islam, che erano invece sempre più chiusi in sé stessi, impermeabili al cambiamento. Lui sì che era un vero orientalista: l’occidentale che si immerge in un mondo «altro», lo studia, finisce col conoscerlo e amarlo profondamente - Ian Buruma ha scritto di Lewis che «forse ama troppo il mondo arabo» -, e si rammarica degli errori storici che ne compromettono il presente e il futuro.
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