Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/05/2018, a pag.3 con il titolo "Trump, l'obiettivo in Medio Oriente è un patto regionale anti-Iran", la risposta del direttore Maurizio Molinari a un lettore.
Caro Direttore,
nell’arco di pochi giorni Donald Trump ha prima stracciato l’accordo nucleare con l’Iran e poi ha inaugurato l’ambasciata americana a Gerusalemme, che cosa c’è dietro queste mosse?
Valerio Leoni (Alessandria)
Maurizio Molinari Il nuovo Medio Oriente
Caro Leoni,
le decisioni di abbandonare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015 e di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme descrivono il nuovo approccio dell’amministrazione Trump al Medio Oriente. Nel primo caso l’intenzione è impedire a Teheran di sfruttare quell’intesa per raggiungere l’arma atomica e aumentare la propria influenza politico-militare nella regione: l’accordo negoziato dal predecessore Barack Obama termina infatti nel 2025 consentendo da quel momento in avanti a Teheran di non avere più limiti al programma nucleare, oltre al fatto di permettere da subito all’Iran lo sviluppo di ogni tipo di missili balistici, anche a lunga gittata. Proprio tali vulnerabilità hanno consentito a Teheran di sfruttare l’intesa del 2015 per aumentare la propria influenza politico-militare in Medio Oriente, facendo leva anche su milizie armate sciite che hanno operato con efficacia in più nazioni, dall’Iraq alla Siria fino allo Yemen. Davanti a tale scenario Trump ha scelto di intervenire, facendo propri i timori dei Paesi arabi sunniti - dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti - e di Israele nei confronti della crescente aggressività strategica dell’Iran. Uscire dall’intesa di Vienna sul nucleare dunque ha un significato di largo respiro, destinato ad avere conseguenze: l’obiettivo è contenere l’Iran degli ayatollah creandogli attorno una coalizione di nazioni alleate degli Stati Uniti. Si spiega così il fatto che poche ore dopo il passo di Trump, Israele ha lanciato un massiccio attacco aereo contro le maggiori basi militari iraniane in Siria: al fine di inviare a Teheran un analogo messaggio ovvero il periodo della sua assoluta libertà d’azione nella regione volge al termine. È in tale cornice che è stata inaugurata l’ambasciata Usa a Gerusalemme, presentata da Jared Kushner - genero e consigliere del presidente Trump - come «un passo verso la pace regionale» proprio perché punta a porre le basi per una nuova convergenza negoziale fra Paesi arabi sunniti e Israele, questa volta verso un nuovo approccio alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Le deboli proteste delle capitali arabe per lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme unite alle recenti dichiarazioni di alti dignitari sauditi e di emirati del Golfo sul «diritto di Israele alla propria terra» aggiungono un ulteriore tassello a quanto sta maturando sul terreno. Rovesciando la politica di Obama in Medio Oriente - che aveva scommesso sul patto con Teheran - Trump vuole creare un’architettura regionale basata sull’isolamento dell’Iran, al fine di innescare una nuova dinamica fra Stati sunniti e Israele tesa a risolvere più contenziosi, a cominciare da quello palestinese, ponendo le basi per una convergenza di più ampio respiro fra le monarchie del petrolio e la «Start Up Nation» dell’innovazione tecnologica. Ed è interessante notare come a muoversi in sintonia con tali sviluppi è il Marocco di Mohammed VI, che ha rotto le relazioni con l’Iran accusandolo di sostegno al Fronte Polisario, mentre sul fronte opposto l’avversario più determinato della Casa Bianca è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, sunnita ma non araba.
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