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Il Foglio Rassegna Stampa
15.05.2018 Gli ebrei nella Russia di Putin
Commento di Massimo Boffa

Testata: Il Foglio
Data: 15 maggio 2018
Pagina: 3
Autore: Massimo Boffa
Titolo: «Il rabbino di Putin»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/05/2018, a pag. III con il titolo "Il rabbino di Putin", l'analisi di Massimo Boffa.

L'apertura da parte di Berel Lazar verso il regime di Putin è un'opinione personale. Resta tutto da verificare l'appoggio a Putin da parte della maggioranza degli ebrei russi, e tanto più la riduzione dell'antisemitismo di cui parla Lazar. Almeno in parte le suedichiarazioni sono da interpretare con la volontà di mantenere rapporti buoni con chi gestisce il potere in Russia.

Ecco l'articolo:

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Berel Lazar

Mosca. Tra le non poche novità di grande rilievo che hanno trasformato la società russa durante il quarto di secolo che ci separa dalla fine dell’Unione Sovietica, una delle più significative riguarda la rinascita di una vita spirituale ebraica. Il fenomeno è tanto più notevole, se si considera che parliamo di una nazione in cui tradizionalmente l’antisemitismo aveva trovato un assai fertile terreno e in cui, per settant’anni, ogni identificazione culturale e religiosa con l’ebraismo era stata scoraggiata e mortificata. Proprio per questo oggi i segni del cambiamento balzano agli occhi. Alla fine degli anni Ottanta, a Mosca era rimasta in funzione un’unica sinagoga, la storica Sinagoga Corale, nel quartiere Kitaj Gorod, frequentata per lo più da qualche anziano. Ora le sinagoghe che erano state confiscate dal regime sovietico (solo a Mosca una ventina) sono state restituite alla comunità e intanto nuove ne vengono costruite e, soprattutto, tanti giovani partecipano alle cerimonie. Laddove, prima, tutto ciò che vi era di ebraico era costretto a dissimularsi nel sottosuolo, adesso si esibisce alla luce del sole. Si inaugurano università ebraiche (due a Mosca e due a San Pietroburgo), si aprono scuole, si organizzano centri culturali, fioriscono iniziative editoriali, si moltiplicano i ristoranti kosher, vengono celebrate, con pubblica risonanza, le feste religiose. E oggi l’ebraismo è una delle quattro religioni ufficialmente riconosciute nella Federazione russa (insieme al cristianesimo ortodosso, all’islam e al buddismo) e gode della protezione dello stato. Chi non perde occasione per attirare l’attenzione su queste impressionanti novità è il rabbino capo di Russia, Berel Lazar, testimone e protagonista della rinascita. A volte, però, lo fa con parole sorprendenti, che non sempre convincono i suoi interlocutori in occidente, come quando, per esempio, il 18 marzo scorso, giorno delle elezioni presidenziali, ha dichiarato: “E’ mia opinione che la Russia di oggi sia uno dei luoghi migliori al mondo per lo sviluppo di una vita comunitaria ebraica. Purtroppo, in altri paesi, i valori religiosi tradizionali sono stati indeboliti, con numerosi effetti negativi. Qui in Russia vediamo il processo inverso”. E concludeva, con quella che suonava come una dichiarazione di voto: “Tutto ciò, in larga misura, è merito dell’attuale dirigenza russa”.

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Vladimir Putin con Berel Lazar

Secondo i suoi critici (pochi in Russia, più numerosi fuori), si tratta di giudizi temerari, che sottovalutano l’antisemitismo latente nella società russa e che sarebbero dettati dalla volontà di ingraziarsi chi comanda al Cremlino. I suoi estimatori, invece, gli riconoscono il merito di avere fatto della comunità ebraica un soggetto rispettato e ascoltato da chi sta al potere. Ce n’è abbastanza, insomma, per fare del rabbino capo una figura controversa, che stimola la curiosità di conoscerlo più da vicino. Siamo andati a trovarlo, proprio per capire meglio le ragioni di queste sue ripetute esternazioni. Davvero oggi in Russia l’antisemitismo non è più un pericolo reale? “Ci sono molte preoccupazioni in Russia – risponde Lazar – ma tra queste, per fortuna, non c’è l’antisemitismo. Certo, su internet si trova di tutto e si possono leggere testi aggressivi e violenti: ci sono sempre gruppi estremisti e nazionalisti che attaccano gli ebrei. E, anche nella vita pubblica, capita che qualche funzionario, o perfino qualche deputato alla Duma, si lasci scappare espressioni ambigue (che io e i miei collaboratori censuriamo senza esitazione). Ma la cosa importante è che oggi le autorità sono dalla nostra parte e non lasciano passare manifestazioni di ostilità verso di noi. In Russia, storicamente, l’antisemitismo aveva sempre trovato una sponda tra chi stava in alto, tra i governanti, e veniva tollerato, quando non incoraggiato. Oggi non è più così. Per questo dico che gli ebrei sono più al sicuro in Russia che in tanta parte del resto d’Europa”. Più che nel resto d’Europa? Questo suona davvero come un giudizio un po’ forte. “E’ la verità. In Europa il problema dell’antise - mitismo è cresciuto in seguito all’immigra - zione dall’Africa e dal medio oriente, fenomeno che da noi è quasi assente. Inoltre, in Europa è diffuso l’antisionismo, il quale alimenta sentimenti antiebraici. In Russia no: la Russia ha buoni rapporti con Israele; Israele è l’unico paese democratico che non ha imposto sanzioni alla Russia. La gente lo sa e questo conta”. A confortare la diagnosi del rabbino è recentemente venuta una ricerca dell’autorevole Istituto Levada che, nel 2016, ha condotto uno studio sull’antisemitismo in Russia, i cui risultati sono stati presentati alla Conferenza internazionale russoebraica di Mosca, sponsorizzata dal World Jewish Congress (1-2 novembre 2016): solo l’8 per cento della popolazione, secondo questa ricerca, ha espresso un atteggiamento negativo verso gli ebrei (erano il 26 per cento quindici anni fa); assai più forte oggi è l’ostilità verso gli zingari (47 per cento) o verso i ceceni (33 per cento). Questa nuova situazione ha permesso al presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder, di aprire i lavori della Conferenza di Mosca con parole impegnative: “Mentre il terrorismo globale colpisce gli ebrei in tutto il mondo, mentre vediamo l’impatto dell’intolleranza e dell’odio in ogni continente, qui in Russia la comunità ebraica prospera. Gli asili e le scuole ebraiche sono piene, le sinagoghe sono affollate per il Shabbat (…) Il presidente Putin ha fatto della Russia un paese in cui gli ebrei sono benvenuti. E’ grazie a questo cambiamento senza precedenti che il World Jewish Congress vuole continuare a lavorare con la Russia”. La novità non può certo essere negata. Eppure non mancano le voci, e le ragioni, che invitano alla prudenza. In fin dei conti, la Russia è entrata in una fase critica della sua storia, caratterizzata dall’ina - sprimento del conflitto con l’occidente e dall’emersione di forti sentimenti patriottici e nazionali. Non è che poi, alla fine, a farne le spese saranno i soliti “cosmopoliti”, cioè gli ebrei? “Non sono un profeta e non so se l’attuale favorevole situazione proseguirà in futuro – replica Lazar – Ma c’è una cosa che vorrei far notare e che riguarda proprio il patriottismo russo. Uno degli ingredienti fondamentali di questo patriottismo è l’orgoglio per avere vinto la Seconda guerra mondiale, avere sconfitto il nazismo e avere salvato la vita di tanti ebrei. Sono fattori inscindibili di una stessa fierezza nazionale. E noi ne facciamo parte”. Tuttavia, secondo numerosi dati, è recentemente ripreso, soprattutto tra le classi medie, un flusso migratorio verso Israele, sia pure in quantità assai minore che in passato. Non è, anche questo, un segnale negativo? “Oggi viaggiare è diventato facile, si va in Israele senza visto, ed emigrare non è più una decisione senza ritorno, come era all’epoca dell’Urss. In genere gli ebrei russi vanno in Israele per ragioni economiche, per trovare opportunità professionali o di studio. Ce ne sono anche che fanno l’Aliyah, restano un po’ sul posto, ottengono la cittadinanza e poi tornano in Russia. Un passaporto israeliano può essere un’assicurazione contro le incertezze del futuro”. Ma quanti sono oggi gli ebrei in Russia? “Secondo l’Istituto Levada sono un milione e mezzo. Io penso che siano poco più di un milione. Ma non ci sono dati certi: per decenni, in questo paese, chi era ebreo non ci teneva a farlo sapere”. Il rabbino capo ci parla nel suo quartier generale, il Centro della comunità ebraica di Marina Rosha, nella parte nord-orientale di Mosca. E’ una imponente struttura (composta di vari edifici, una sinagoga, scuole, biblioteche, due ristoranti kosher), dalla quale viene diretta l’attività delle organizzazioni affiliate in tutta la Russia, fin nell’estremo oriente asiatico. Nelle adiacenze sorge il nuovo Museo ebraico, inaugurato nel 2012, uno dei più grandi d’Europa. Il museo, che ha sede in un gioiello dell’architettura costruttivista, disegnato negli anni Venti da Konstantin Melnikov, si impone allo spettatore non solo per l’estrema modernità hi tech del suo impianto, ma anche per l’accuratezza con cui sono state ricostruite e documentate tutte le più importanti pagine della vita ebraica in Russia: i primi shtetl, i tentativi di integrazione, le sanguinose persecuzioni (i pogrom) dell’epoca zarista, la nascita del movimento sionista, la partecipazione degli ebrei alla rivoluzione bolscevica, lo sterminio nei territori occupati dai nazisti, le campagne staliniane contro il “cosmopolitismo”, le aperte e sotterranee discriminazioni dell’epoca sovietica, l’emigrazione verso Israele negli anni di Breznev e Gorbaciov. Il culmine drammatico della visita è naturalmente nella Shoah, ma anche nell’avanzata dell’Armata Rossa verso Berlino: perché la Russia, come dice il rabbino capo, rivendica a gran voce il proprio ruolo a fianco degli ebrei nel momento storico decisivo. Berel Lazar, però, non è di origine russa. E’ italiano, è nato a Milano nel 1964, ha frequentato la scuola ebraica del capoluogo lombardo fino all’età di 14 anni, poi ha proseguito i suoi studi negli Stati Uniti, dove ha sposato la figlia di un rabbino americano, da cui ha avuto la bellezza di tredici figli. Appartiene al movimento Chabad-Lubavitch, una ramificazione dell’ebraismo chassidico. Nel 1989 la decisione che ha cambiato la sua vita: si è trasferito a Mosca, in piena perestrojka, stringendo rapporti con la rinascente comunità locale e diventando il rabbino della sinagoga di Marina Rosha (1990). Oggi Lazar ricorda quegli anni pionieristici. “Ero affascinato dall’ebraismo russo, da quei valorosi che erano riusciti a tenere acceso il fuoco della loro fede negli anni difficili del comunismo. Ma mi appassionavano soprattutto i giovani, che dell’ebraismo non sapevano quasi niente, ma erano animati da un grande desiderio di conoscere. Ho capito che era questa la mia missione: aiutare una nuova generazione a crescere. Oggi nella nostra comunità è pieno di ragazzi e ragazze, studiano, vivono con fierezza la vita ebraica, si sposano tra di loro. Nei nostri campeggi e nelle nostre scuole si fa fatica a trovare posto, tanto la domanda è alta. E la gente ci rispetta proprio per questo, perché siamo una comunità forte, attiva, orgogliosa dei valori in cui crede, e che non si nasconde”. L’ultimo decennio del secolo, quello in cui Lazar si fa strada a Mosca, è però un periodo tormentato nella storia della società russa, e anche la comunità ebraica, con le sue diverse anime, finisce per venire risucchiata nelle lotte per il potere. Gran parte degli oligarchi (Boris Berezovskij, Vladimir Gusinskij, Michail Khodorkovskij, Roman Abramovich) sono ebrei ed è grazie ai loro finanziamenti che l’ebraismo russo in quegli anni si dota degli strumenti per la propria attività. Ne emergono due grandi organizzazioni rivali: il Congresso russo ebraico, che ha dietro a sé Gusinskij, e la Federazione delle comunità ebraiche, che ha tra i suoi mecenati Berezovskij e Abramovich. E’ a questi ultimi che si lega Lazar, che farà una rapida carriera all’interno della Federazione, diventandone il presidente. A cavallo dell’anno 2000, Lazar prende il sopravvento sul suo grande rivale, Adolf Shaevich, l’anziano rabbino della Sinagoga Corale, rappresentante del giudaismo ortodosso, che era alla testa del Congresso Russo Ebraico. Ma il 2000 è anche l’anno in cui Vladimir Putin diventa presidente e inizia la guerra contro i più potenti tra gli oligarchi, primo tra tutti proprio Gusinskij, il protettore di Shaevich. E’ in quel clima torbido, nel quale le rivalità tra le fazioni ebraiche si intrecciano con la lotta politica, che Lazar diventa rabbino capo. Da allora i suoi critici lo accusano di essere diventato il rappresentante ufficiale della comunità ebraica grazie all’appoggio di Putin. Una versione elaborata di questa tesi compare nel maggio 2007 sul Wall Street Journal, che pubblica un ampio articolo in cui si sostiene che il rabbino abbia stretto un “patto faustiano” con il Cremlino: il potere politico consentiva al movimento Chabad-Lubavich di conquistare il primato sull’ebraismo russo, attraverso finanziamenti, appoggi, riconoscimenti dall’alto, e in cambio Lazar garantiva al presidente il proprio sostegno, insieme a una energica attività di lobby in giro per il mondo. Secondo i suoi avversari, insomma, Lazar sarebbe il “rabbino di Putin”. Non lo imbarazza portarsi addosso questa etichetta? “No, anzi. A parte tutte le leggende che circolano a questo riguardo, io sono contento che ci sia un canale diretto con il presidente, per poter portare all’attenzione delle autorità i nostri problemi. Chi critica questa ‘relazione speciale’ non capisce la situazione del nostro paese. E’ la prima volta, nella storia russa, che il capo dello Stato ha un rapporto così buono con la comunità ebraica. Per secoli gli ebrei russi hanno dovuto difendersi dal potere politico: c’era la zona di residenza coatta, c’era la discriminazione nelle università e nei luoghi di lavoro, c’era il grande ghetto del Birobidzhan. Oggi invece il potere politico è sensibile ai nostri problemi ed è pronto ad aiutarci. Non è una novità positiva?”.

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