Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 13/05/2018, a pag.11, con il titolo "Kerry: L'uscita dall'accordo con l'Iran complica le trattative con la Corea del Nord" l'intervista di Paolo Mastrolilli, Alberto Simoni.
compagni di disastri
Riproporre le idee di quel mentecatto del vice di Obama, che di politica estera non ha mai capito un tubo, può essere utile per chi l'avesse dimenticato. Mandare però due giornalisti (2!) per intervistarlo ci pare decisamente troppo. E' comunque un lettura divertente se non ricordassimo a memoria tutti gli errori commessi durante la presidenza Obama. Leggere anche soltanto la titolazione, per rendersi conto del modo di (s)ragionare del signor Kerry: la realtà è l'opposto di quanto lui dichiara, è l'Iran che dovrà far tesoro dell'azione di Trump sulla Corea del Nord. E adeguarsi.
Ecco l'intervista:
Paolo Mastrolill Alberto Simonii
John Kerry, il segretario di Stato americano che ha siglato l’accordo sul nucleare con l’Iran, è quasi incredulo; ripete che quel che Trump ha fatto, liquidando con un colpo di penna il Jcpoa, «non ha senso, perché l’accordo funzionava. Ha reso la regione e Israele più sicuri e ora non sappiamo quel che succederà». Poi allarga lo sguardo sulla Penisola coreana «Ora - prevede alla luce dell’addio al Jcpoa - tutto sarà più difficile». E in un mondo colmo di molteplici e imprevedibili sfide - ragiona - le relazioni transatlantiche devono restare salde, ancorate ai valori di libertà e sicurezza ereditati dalla Seconda Guerra mondiale. Evitare la guerra commerciale, trovare un punto di incontro sui dazi, stare compatti sulle risposta a Putin ma anche aumentare - e qui Kerry si rivolge essenzialmente agli alleati - le spese per la difesa in sede Nato, «sono priorità che vanno oltre la difficile stagione che vivono le relazioni fra le due sponde dell’Atlantico». Segretario Kerry, come ha reagito alla decisione di Trump di rinnegare il trattato con l’Iran? «Più che arrabbiato sono davvero triste, abbiamo gettato un’opportunità pacifica per risolvere il nodo del nucleare». Anche gli europei avevano, seppur cautamente, sostenuto la necessità di fare qualche modifica: era davvero efficace l’accordo? «Credo che abbia reso il mondo più sicuro. E lo stesso vale per il Medio Oriente e Israele. L’intesa impone limiti all’arricchimento, alle centrifughe, al materiale fissile stoccato. C’erano ispezioni e verifiche, occhi che vigilavano su tutto». Come giudica la decisione della Casa Bianca? «Una mossa unilaterale che pone gli Usa in violazione dell’accordo. È la “diplomazia degli ultimatum” emessi prima di fare diplomazia, noi stiamo mettendo nelle mani di altri le scelte che determineranno il nostro futuro. E mai nessun Presidente nel passato ha messo gli Stati Uniti in una tale e così debole posizione». Cosa farà Trump? «Anzitutto ora ha il dovere di spiegare agli americani come intende mantenere il mondo più sicuro». Quali le conseguenze di questa decisione? «Spero, ma non possiamo speculare, che gli europei e gli altri firmatari restino nell’accordo. Certamente la decisione della Casa Bianca rafforzerà anche Cina e Russia, saranno loro ad avere maggior influenza. Senza contare che la scelta di Trump ha dato linfa alla narrativa degli oltranzisti iraniani che vanno ripetendo che degli Stati Uniti non ci si può fidare». Ci sono rischi di un conflitto? «Uscendo unilateralmente si aprono scenari nuovi e pericolosi, le probabilità di uno scontro sono maggiori». Vede un impatto sul dossier coreano? «La partita si complica, la credibilità americana nei negoziati ne esce indebolita». Perché? «I leader ci penseranno due volte in futuro prima di accordarsi con Washington se - come accaduto con il Jcpoa - capiscono che non manteniamo le promesse dopo aver siglato delle intese». Pompeo è stato a Pyongyang per limare i dettagli in vista dell’incontro del 12 giugno fra Kim Jong-un e Donald Trump. Si fida del dittatore nordcoreano? «Non è una questione di fiducia, quel che serve realmente è costruire - e mi riferisco al programma nucleare ovviamente - un sistema intrusivo, solido e forte di ispezioni. Il passato insegna che la Corea del Nord più volte ha ingannato la comunità internazionale firmando patti che poi ha ignorato. Rispetto all’Iran c’è poi una differenza ulteriore. Noi avevamo informazioni accurate sui progetti atomici di Teheran, mentre non abbiamo conoscenze adeguate su quel che avviene nei laboratori di Pyongyang». Washington chiede agli alleati di spendere di più per la difesa e per la Nato. Quel 2% del Pil che i Paesi membri dovrebbero destinare alla difesa è un obiettivo realistico? «Assolutamente sì, è una quota marginale di un bilancio se paragonata ai benefici e ai risparmi effettivi che provengono dalla cooperazione. E poi bisogna fare dei distinguo». Quali? «La difesa ha diverse forme, non è solo carri armati, navi e aerei. Si articola su piani differenti: penso alla cybersicurezza, al pattugliamento dei confini, alla realizzazione di sistemi di visti d’ingresso efficaci, all’intelligence su cosa stanno facendo gli estremisti. Non dimentichiamo che le minacce hanno forme diverse». La Nato è pronta per affrontarle? «Deve essere in grado di affrontare entrambi i pericoli, quelli tradizionali e quelli terroristici, quelli portati da attori statali e non statali. Deve essere rapida, flessibile. Non serve usare solo navi e tank, bisogna fare “countercyber intelligence” per proteggere acquedotti, infrastrutture, trasporti, linee aeree». La Russia ha interferito - è l’accusa che giunge da più parti - nelle elezioni di molti Paesi. Come Usa e Ue devono affrontare Putin? «Anzitutto bisogna restare uniti e non dimenticare tutte le frizioni fra Usa e Russia: dalle interferenze nei processi democratici alla violazione dei confini, come in Ucraina. Le sanzioni a Mosca non possono essere tolte. Tuttavia con Putin bisogna dialogare, poiché senza la Russia certe questioni non possono risolversi». Come in Siria? «Europei e americani senza la Russia non potranno risolvere la crisi. Mosca è sul terreno, ha investito sul governo di Damasco ma è pronta a lavorare per porre fine al conflitto». Un motivo di attrito fra Usa ed Europa sono le politiche commerciali di Trump. Andiamo verso una guerra commerciale? «Dobbiamo assolutamente evitarla. Colpirebbe tutti indiscriminatamente come abbiamo visto già nel passato. Lo scontro commerciale ai suoi estremi porta recessione, depressione, fa aumentare i prezzi, provoca perdite di posti di lavoro alimentando quel malessere sociale che in Europa ha generato populismi e crescita dei nazionalismi. I soldi e il business vanno dove c’è stabilità. Non sto suggerendo che si debba mantenere lo status quo, ma non si può, come è stato fatto, lanciare ultimatum unilaterali. Il rischio è di scatenare una reazione altrettanto forte che si traduce in contromisure eccessive. Ed è un attimo poi scivolare in una guerra commerciale letale per tutti». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI John Kerry, il segretario di Stato americano che ha siglato l’accordo sul nucleare con l’Iran, è quasi incredulo; ripete che quel che Trump ha fatto, liquidando con un colpo di penna il Jcpoa, «non ha senso, perché l’accordo funzionava. Ha reso la regione e Israele più sicuri e ora non sappiamo quel che succederà». Poi allarga lo sguardo sulla Penisola coreana «Ora - prevede alla luce dell’addio al Jcpoa - tutto sarà più difficile». E in un mondo colmo di molteplici e imprevedibili sfide - ragiona - le relazioni transatlantiche devono restare salde, ancorate ai valori di libertà e sicurezza ereditati dalla Seconda Guerra mondiale. Evitare la guerra commerciale, trovare un punto di incontro sui dazi, stare compatti sulle risposta a Putin ma anche aumentare - e qui Kerry si rivolge essenzialmente agli alleati - le spese per la difesa in sede Nato, «sono priorità che vanno oltre la difficile stagione che vivono le relazioni fra le due sponde dell’Atlantico». Segretario Kerry, come ha reagito alla decisione di Trump di rinnegare il trattato con l’Iran? «Più che arrabbiato sono davvero triste, abbiamo gettato un’opportunità pacifica per risolvere il nodo del nucleare». Anche gli europei avevano, seppur cautamente, sostenuto la necessità di fare qualche modifica: era davvero efficace l’accordo? «Credo che abbia reso il mondo più sicuro. E lo stesso vale per il Medio Oriente e Israele. L’intesa impone limiti all’arricchimento, alle centrifughe, al materiale fissile stoccato. C’erano ispezioni e verifiche, occhi che vigilavano su tutto». Come giudica la decisione della Casa Bianca? «Una mossa unilaterale che pone gli Usa in violazione dell’accordo. È la “diplomazia degli ultimatum” emessi prima di fare diplomazia, noi stiamo mettendo nelle mani di altri le scelte che determineranno il nostro futuro. E mai nessun Presidente nel passato ha messo gli Stati Uniti in una tale e così debole posizione». Cosa farà Trump? «Anzitutto ora ha il dovere di spiegare agli americani come intende mantenere il mondo più sicuro». Quali le conseguenze di questa decisione? «Spero, ma non possiamo speculare, che gli europei e gli altri firmatari restino nell’accordo. Certamente la decisione della Casa Bianca rafforzerà anche Cina e Russia, saranno loro ad avere maggior influenza. Senza contare che la scelta di Trump ha dato linfa alla narrativa degli oltranzisti iraniani che vanno ripetendo che degli Stati Uniti non ci si può fidare». Ci sono rischi di un conflitto? «Uscendo unilateralmente si aprono scenari nuovi e pericolosi, le probabilità di uno scontro sono maggiori». Vede un impatto sul dossier coreano? «La partita si complica, la credibilità americana nei negoziati ne esce indebolita». Perché? «I leader ci penseranno due volte in futuro prima di accordarsi con Washington se - come accaduto con il Jcpoa - capiscono che non manteniamo le promesse dopo aver siglato delle intese». Pompeo è stato a Pyongyang per limare i dettagli in vista dell’incontro del 12 giugno fra Kim Jong-un e Donald Trump. Si fida del dittatore nordcoreano? «Non è una questione di fiducia, quel che serve realmente è costruire - e mi riferisco al programma nucleare ovviamente - un sistema intrusivo, solido e forte di ispezioni. Il passato insegna che la Corea del Nord più volte ha ingannato la comunità internazionale firmando patti che poi ha ignorato. Rispetto all’Iran c’è poi una differenza ulteriore. Noi avevamo informazioni accurate sui progetti atomici di Teheran, mentre non abbiamo conoscenze adeguate su quel che avviene nei laboratori di Pyongyang». Washington chiede agli alleati di spendere di più per la difesa e per la Nato. Quel 2% del Pil che i Paesi membri dovrebbero destinare alla difesa è un obiettivo realistico? «Assolutamente sì, è una quota marginale di un bilancio se paragonata ai benefici e ai risparmi effettivi che provengono dalla cooperazione. E poi bisogna fare dei distinguo». Quali? «La difesa ha diverse forme, non è solo carri armati, navi e aerei. Si articola su piani differenti: penso alla cybersicurezza, al pattugliamento dei confini, alla realizzazione di sistemi di visti d’ingresso efficaci, all’intelligence su cosa stanno facendo gli estremisti. Non dimentichiamo che le minacce hanno forme diverse». La Nato è pronta per affrontarle? «Deve essere in grado di affrontare entrambi i pericoli, quelli tradizionali e quelli terroristici, quelli portati da attori statali e non statali. Deve essere rapida, flessibile. Non serve usare solo navi e tank, bisogna fare “countercyber intelligence” per proteggere acquedotti, infrastrutture, trasporti, linee aeree». La Russia ha interferito - è l’accusa che giunge da più parti - nelle elezioni di molti Paesi. Come Usa e Ue devono affrontare Putin? «Anzitutto bisogna restare uniti e non dimenticare tutte le frizioni fra Usa e Russia: dalle interferenze nei processi democratici alla violazione dei confini, come in Ucraina. Le sanzioni a Mosca non possono essere tolte. Tuttavia con Putin bisogna dialogare, poiché senza la Russia certe questioni non possono risolversi». Come in Siria? «Europei e americani senza la Russia non potranno risolvere la crisi. Mosca è sul terreno, ha investito sul governo di Damasco ma è pronta a lavorare per porre fine al conflitto». Un motivo di attrito fra Usa ed Europa sono le politiche commerciali di Trump. Andiamo verso una guerra commerciale? «Dobbiamo assolutamente evitarla. Colpirebbe tutti indiscriminatamente come abbiamo visto già nel passato. Lo scontro commerciale ai suoi estremi porta recessione, depressione, fa aumentare i prezzi, provoca perdite di posti di lavoro alimentando quel malessere sociale che in Europa ha generato populismi e crescita dei nazionalismi. I soldi e il business vanno dove c’è stabilità. Non sto suggerendo che si debba mantenere lo status quo, ma non si può, come è stato fatto, lanciare ultimatum unilaterali. Il rischio è di scatenare una reazione altrettanto forte che si traduce in contromisure eccessive. Ed è un attimo poi scivolare in una guerra commerciale letale per tutti».
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