Medio Oriente in movimento: le buone intenzioni di Trump diventano fatti, la Russia, spinta da Netanyahu non è più così vicina all'Iran.
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/05/2018, a pag.1 l'editoriale di Angelo Panebianco. Dal FOGLIO a pag.1 l'analisi di Daniele Raineri
Corriere della Sera-Angelo Panebianco: "Le facili verità sull'Iran"
Angelo Panebianco
Quanto più complicate sono le situazioni tanto più diventa difficile stabilire quale decisione sia giusta e quale sbagliata. Nell'area più instabile del pianeta, il Medio Oriente, scelte che al momento sembrano buone possono rivelarsi catastrofiche nel medio termine, e scelte apparentemente pessime possono dare luogo, più tardi, a effetti benefici. Tolti i suoi elettori, nonché i «sovranisti» europei, non c'è forse un solo occidentale che si rallegri per il fatto che alla Casa Bianca sieda Donald Trump. Date le propensioni nazionaliste (America First), anziché internazionaliste, del Presidente, è possibile che il mondo finisca davvero nel tritacarne delle guerre protezioniste. Ma ciò non significa che qualunque cosa faccia Trump sia sbagliata. Adesso che, sotto la sua pressione, i cinesi sono stati costretti a mettere in riga il proprio cliente, Kim Jong- un, nessuno, fra coloro che tempo fa accusavano Trump di drammatizzare troppo la questione coreana, ha più il coraggio di fiatare. Comunque la faccenda vada a finire, quella scelta di Trump si è rivelata saggia. Prima di impegnarsi in esecrazioni anti- Trump per la decisione di abbandonare l'accordo nucleare con l'Iran voluto a suo tempo da Obama, bisognerebbe esaminare con freddezza la situazione. Certamente, le imprese europee che hanno visto riaprirsi, a seguito di quell'accordo, le porte del mercato iraniano, sono comprensibilmente preoccupate. pere, , va anche detto che il business è una cosa importantissima ma che le questioni della guerra e della pace, della vitae della morte, lo sono di più. E di questo che qui si tratta. Ci sono due aspetti da considerare. II primo riguarda gli scopi dell'accordo nucleare. Gli scopi originari (per gli occidentali) erano due: in primo luogo, ritardare il più possibile, allontanare nel tempo, meglio se di qualche decennio, il momento in cui l'Iran diventerà una potenza nucleare e in cui, per conseguenza, si nudearizzerà l'intero Medio Oriente (a quel punto, anche l'Arabia Saudita e altri si procureranno la bomba). La denuncia dell'accordo da parte di Trump potrebbe compromettere il raggiungimento del suddetto obiettivo. C'era però anche un secondo scopo: spingere l'Iran a «normalizzare» le proprie relazioni internazionali, ad abbandonare la politica estera aggressiva che ha sempre caratterizzato il suo regime. Questo secondo obiettivo è stato mancato, l'accordo, sotto questo profilo, è risultato un fallimento. L'Iran ha continuato ad essere un destabilizzatore del Medio Oriente come in passato. Anzi, di più (Siria, Iraq, Yemen, Libano, Gaza), dal momento che l'accordo sul nucleare gli garantisce un afflusso di risorse fresche convertibili in influenza politica, armi convenzionali, eccetera. Lungi dal normalizzare le proprie relazioni internazionali, l'Iran, forte anche della sua alleanza con la Russia, è diventato sempre più aggressivo e minaccioso nei confronti di Israele (che ora può colpire — e ha appena colpito — anche dalla Siria) e dei sauditi. Ma oltre a una valutazione dell'accordo sul nucleare in rapporto alle attese che aveva suscitato, c'è anche un secondo aspetto da considerare. Riguarda il modo in cui l'America ha scelto di schierarsi rispetto alla grande divisione del mondo islamico (e, in questo caso, mediorientale) fra sunniti e scilti. L11 Settembre del 2001 mostrò agli americani che quelle potenze sunnite (Arabia Saudita in testa) che erano sempre state loro alleate, avevano contemporaneamente «allevato» un mostro: Al Qaida (così come, in seguito, lo Stato Islamico) non era altro che una filiazione dell'ideologia islamica saudita. Da qui una scelta che in modi diversi (non si sa quanto consapevolmente) caratterizzò le politiche sia di Bush Jr. che di Obama. Due presidenti diversissimi ma accomunati dalla volontà di allentare il legame con i sauditi (sunniti) e aprire un canale con l'Iran, ossia con lo Statoguida del mondo islamico sciita, nemico mortale dei primi. Con mezzi opposti (militari nel primo caso, diplomatici nel secondo) Bush e Obama segnalarono che una svolta era in atto — proprio a causa dell'u Settembre — nella politica americana. Un effetto collaterale della guerra in Iraq del 2003 e dell'abbattimento del regime di Saddam Hussein da parte di Bush fu di spostare l'asse del potere in Iraq dalla minoranza sunnita (in precedenza dominante) alla maggioranza sciita. Ciò favorì proprio l'Iran, ne aumentò potenza e ruolo spostando l'Iraq nella sua area di influenza. E indebolì per conseguenza il peso delle potenze sunnite, sauditi in testa. Con mezzi diversi (anzi, opposti) Obama non si è discostato da quell'orientamento di fondo. L'accordo sul nucleare con Teheran aveva diversi scopi ma confermava anche che l'America non era più disposta a mantenere il tradizionale legame privilegiato con l'Arabia Saudita. L'idea, in sé, non sembrava cattiva ma, come sempre nelle situazioni complicate, le scelte effettuate dalle due Amministrazioni generarono contraccolpi, scatenarono la reazione dei sunniti. La nascita dello Stato Islamico a cavallo fra Siria e Iraq è stata solo la più spettacolare manifestazione del contrattacco sunnita di fronte a decisioni americane che, di fatto, favorivano l'Iran sciita. Dal momento che il Medio Oriente non si è affatto stabilizzato e anzi è oggi ancor più caotico e pericoloso di prima, la scelta di Trump — in controtendenza rispetto a Bush e a Obama — di tornare all'antico, alla tradizionale alleanza privilegiata con i sauditi (e quindi con il mondo sunnita) contro gli iraniani, comunque la si giudichi, ha una sua logica, un suo senso. Ha ragione? Ha torto? Non lo sappiamo. Una sola cosa sappiamo con certezza: nessuno qui ha la verità in tasca. Quando si tratta di Medio Oriente, i giudizi perentori sono sbagliati. Per definizione.
Il Foglio-Daniele Raineri: " Ora Putin volta le spalle al generale Suleimani per placare Netanyahu
Daniele Raineri
La Siria del presidente Bashar el Assad pub prendere due forme nel futuro prossimo. Una è la forma che più piace al generale iraniano Qassem Suleimani, architetto della politica di sicurezza dell'Iran in medio oriente e capo delle operazioni esterne dei pasdaranche a partire dal 2012 ha letteralmente salvato Assad dalle conseguenze della guerra civile. La Siria secondo questa dottrina dovrebbe diventare una parte sempre più attiva e combattiva della Muqawama, che è la parola araba che indica la "Resistenza", quindi quel vasto assortimento di forze militari sparse fra Libano, Siria e Iraq che riconoscono l'Iran come guida e che hanno come obiettivo la vittoria contro Israele e la sua conseguente dissoluzione. Sarebbe uno stato-guarnigione dell'Iran. In questo caso continuerebbero a succedere episodi di guerra come quello avvenuto mercoledì notte, quando i soldati di Suleimani hanno sparato venti razzi dalle alture del Golan contro Israele e gli israeliani hanno reagito con un bombardamento massiccio che ha causato danni agli iraniani in tutta la Siria. La seconda forma è quella a cui puntano i russi: una Siria finalmente stabilizzata, che potrebbe impiegare le sue (non molte) risorse per appaltare i lavori di ricostruzione a Mo- sca e magari anche la ricostituzione del suo esercito, un tempo molto forte e ora logorato dalla guerra civile. Sarebbe uno stato-cliente della Russia. In questa sua seconda forma la Siria non seguirebbe l'avventurismo iraniano, si rifiuterebbe di fare da rampa di lancio per operazioni contro Israele e inoltre concederebbe agli alleati di Mosca l'uso di basi importanti sulla riva del Mediterraneo e in mezzo al medio oriente. Infine, ed è un punto importante, questa Siria sarebbe meno attaccata alla dinastia Assad. Se prima o poi il rais fosse rimpiazzato con una transizione morbida, i russi non ne farebbero un dramma. Ecco, ci sono segni importanti che Israele, dopo non avere ottenuto quasi nulla in più di un anno di richieste di attenzioni e di negoziati, stia riuscendo ad accordarsi con il presidente russo Vladimir Putin per una Siria che sia molto meno a immagine e somiglianza del generale iraniano Suleimani e più simile al secondo modello, anche se è un processo Russia e Iran divergono sul futuro della Siria del presidente Assad e Israele lavora su questa spaccatura strategica "Bashar, molla gli iraniani!" che potrebbe richiedere anni. Ieri il ministro della Difesa Avigdor Lieberman in visita alle alture del Golan che affacciano sulla Siria si è rivolto direttamente al presidente Assad: "Caccia gli iraniani! Non ti stanno aiutando. Fanno soltanto danni e la loro presenza porta soltanto problemi". Poche ore prima era uscita una notizia che è un altro segno: la Russia ha detto-secondo il quotidiano Izvestiache non sta più parlando con il governo siriano a proposito di una fornitura di missili S300 come si era detto poche settimane fa e pensa anche che non ci sia bisogno di mandarne. Gli 5.300 sono un sistema di difesa che renderebbe i raid israeliani controgli iraniani in Siria molto più difficili. Gli S-300 sono anche un termometro politico di quello che pensa la Russia. Quando vuole sedurre o tranquillizzare un alleato mediorientale, Mosca annuncia subito un'imminente fornitura di S-300, quando c'è freddezza ritira la promessa. Ma il segno più chiaro di tutti è stato il tempo passato- dieci ore-dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu assieme al presidente russo Vladimir Putin a Mo- sca durante la parata per la Vittoria, poche ore prima del bombardamento massiccio contro gli iraniani in Siria. Teheran ieri ha rilasciato un comunicato velenoso e vago contro chi "non dice nulla e non critica i raid israeliani in Siria". Israele punta dunque a mettere in crisi il modello Suleimani. E pensare che fu proprio il generale iraniano, con due viaggi a Mosca nel luglio e nel settembre2015, a convincere i russi che l'intervento in Siria per salvare Assad era fattibile. Gli iraniani ci avrebbero messo i soldati al suolo (milizie irregolari perlopiù), i russi gli elicotteri e gli aerei. La combinazione si era rivelata efficacissima (oltre che brutale) e aveva portato alla conquista di Aleppo in pochi mesi. A novembre 2015 Putin era andato a Teheran in visita ufficiale e aveva regalato alla Guida Suprema Ali Khamenei una copia preziosissima del Corano risalente al Settimo secolo, come suggello della partnership in Siria. Allora la presenza degli iraniani era ancora indispensabile nella guerra civile. Ma più si va avanti nella stabilizzazione del paese, e più Israele minaccia di incrementare i bombardamenti (al punto di minacciare di colpire il presidente Assad) e più gli uomini di Suleimani perla Russia diventano un problema invece che un aiuto.
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