domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
11.05.2018 'Israele, l'ultimo Stato europeo': è qui la linea verde della civiltà
Estratto del nuovo libro di Giulio Meotti, lettera di Boualem Sansal

Testata: Il Foglio
Data: 11 maggio 2018
Pagina: 2
Autore: Boualem Sansal - Giulio Meotti
Titolo: «La linea verde della civiltà - Boualem Sansal: 'L’omaggio di Meotti a Israele è un saggio consiglio a tutta l’Europa'»

Riprendiamo dal FOGLIO di ogg, 11/05/218, a pag. II, con il titolo "La linea verde della civiltà" il commento di Giulio Meotti; con il titolo "Boualem Sansal: 'L’omaggio di Meotti a Israele è un saggio consiglio a tutta l’Europa' ", la lettera di Boualem Sansal.

Ecco gli articoli:

Immagine correlata
La copertina (Rubbettino ed.)

Giulio Meotti: "La linea verde della civiltà"

 

Immagine correlata
Giulio Meotti

In una piazza di Teheran, la capitale della Repubblica islamica dell’Iran, c’è un grande orologio che in questo momento conta i giorni che mancano alla distruzione di Israele. La data è settata per il settembre 2040, secondo le istruzioni date nel 2015 dalla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei: “Entro 25 anni non ci sarà più nessun Israele”. Un missile iraniano oggi impiegherebbe dodici minuti per raggiungere le città dello stato ebraico e incenerirle. È come un rumore di sottofondo. È la possibilità che lo stato di Israele possa non sopravvivere. Centinaia di migliaia di persone cantano ogni giorno, per strada e sui giornali, in Europa e in medio oriente: “Morte a Israele”. Ma gli sciacalli che vogliono fare la pelle a Israele occupano anche le stanze del potere. Lo stato d’Israele per miliardi di persone è artificiale e anacronistico, destinato a essere cancellato. Israele è nato con un voto dell’Onu e con la guerra o un altro voto dell’Onu sarà disfatto. “Un Piemonte schiacciato e allungato, che si estende dalle Alpi a Roma”. Così definì Israele Carlo Casalegno su La Stampa. Israele occupa una superficie inferiore a quella del Piemonte (poco più di 20 mila chilometri quadrati) e ha quasi nove milioni di abitanti (il doppio di Roma). In medio oriente, solo alcuni emirati del Golfo sono più piccoli di Israele. Ma nessuno di loro è minacciato di morte ogni giorno. Per questo Israele da anni si prepara al day after, specie da quando l’Iran sta cercando di fabbricare un arsenale nucleare. Le prospettive a lungo termine sembrano sorridere a Israele. È una democrazia vibrante che prospera e mantiene una forte coesione sociale. Dopo la guerra di Gaza del 2012 uscì un sondaggio secondo il quale il 93 per cento degli israeliani è orgoglioso di essere israeliano, e la maggioranza, il 70 per cento, si definisce “molto orgoglioso”. Queste percentuali di coesione sociale non esistono in nessun altro paese al mondo. Tanto meno in un paese da sempre in guerra. Lo stato ebraico è ampiamente riconosciuto come una realtà, anche da molti suoi rivali arabi e musulmani che volevano distruggerlo. Ha costruito una potente macchina militare in grado di rispondere a tutte le minacce regionali. Mentre la pace è desiderabile, non è una condizione necessaria per la sopravvivenza. Eppure, quel martellante rumore di sottofondo, assieme a quello delle centrifughe nucleari iraniane, spinge Israele ad attrezzarsi (…) Saul Bellow, Premio Nobel della Letteratura, colse la condizione di Israele quando lo definì in questo modo: “È sia uno stato-guarnigione che una società colta, sia spartana che ateniese. Non capisco come possono sopportarlo”. A Israele non si chiede di rinunciare a una provincia, ma semplicemente di cessare di esistere. Contro lo stato ebraico è in corso una guerra santa, una guerra totale. Non ci si venga a raccontare di guerra di liberazione (…) Israele è una delle due sole democrazie occidentali che affrontano costantemente un ambiente avverso sin dalla propria creazione (l’altra è la Corea del Sud). Israele è più vecchio di oltre metà delle democrazie nel mondo e appartiene a un piccolo gruppo di paesi – Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada tra loro – che non hanno mai sofferto intervalli di governo non democratico. Nonostante fin dall’inizio Israele sia minacciato incessantemente di distruzione, mai una volta ha ceduto alle pressioni della guerra che spesso sbriciolano le democrazie. Quale altra democrazia darebbe l’immunità ai parlamentari arabi che lodano i terroristi che giurano di distruggerlo? Quasi tutti i resoconti dei media suggeriscono che la democrazia in Israele “è in pericolo”. Nessuno sembra mai riflettere che, mettendo radici in condizioni a dir poco ostili, sostenuta da una cittadinanza proveniente dal mondo arabo estranea al pensiero liberale occidentale, Israele è come spuntato letteralmente dal nulla (…) La volontà israeliana di pace – espressa dai suoi giornali, dai suoi scrittori, dai suoi politici, dai suoi tanti sondaggi – è stata sempre ricambiata con il terrore e la morte. Per questo oggi è inaccettabile l’idea di una pace imposta a Israele sotto attacco e sotto la minaccia di sterminio pronunciata da parte della Repubblica islamica dell’Iran e dei suoi satelliti. Voler spingere Israele a ulteriori concessioni territoriali e politiche senza contraccambio significa consegnarlo nelle mani del nemico senza garanzia. Israele, uno stato grande come il Belize, ha sradicato tutti i 21 insediamenti a Gaza, insediamenti decisivi per la sua sicurezza, e in cambio ha ricevuto la guerra, non la pace. Israele non ha più interesse per la guerra dell’Italia. L’unica ragione per cui Israele va in guerra è difendersi. E deve difendersi perché, a differenza dell’Italia, Israele è circondato da paesi e gruppi armati che vogliono distruggerlo (...) Perché la causa d’Israele dovrebbe scaldare i non ebrei? Israele è uno stato minuscolo. Un jet da combattimento può coprire lo spazio tra i due punti più distanti di Israele in meno di 10 minuti. Se ci si arrampica sulle vette del Gush Etzion, a poche miglia da Gerusalemme, si riesce a vedere Israele da un capo all’altro. È come se dalla Statua della libertà di New York si riuscisse a vedere la baia di San Francisco. Il mondo arabo-islamico occupa 800 volte la terra d’Israele. Di 8 milioni è l’attuale popolazione d’Israele, mentre il mondo arabo, senza contare Iran e Turchia, ammonta a 423 milioni di persone. Cosa rende così speciale questa testarda cimice che si è incuneata nel deserto mediorientale, facendolo fiorire di democrazia, monoteismo biblico e benessere? Israele si trova in medio oriente, ma è la linfa dell’occidente come insieme di valori, tradizione e speranze. “Israele è il fulcro della civiltà occidentale” ha detto l’ex premier spagnolo José Maria Aznar. Oggi purtroppo si deve spesso difendere Israele dall’occidente. Israele non è perfetto; nessuno stato lo è. Ma è molto più vicino alla perfezione di tutto ciò che lo circonda. Stati falliti, dittature oppressive, stati terroristici, stati esportatori di terrorismo e dispotismi orientali. Tutto ciò contribuisce all’instabilità nella regione e nel mondo mentre Israele contribuisce alla stabilità e, cosa più importante, alla sicurezza internazionale. Secondo il compianto studioso americano-libanese Fouad Ajami, Israele è stato indispensabile agli interessi occidentali perché, storicamente, ha spezzato il panarabismo e il panislamismo. Ancora nel 1993, molto prima che il terrorismo islamico lanciasse i suoi attacchi contro tutto l’Occidente, Isaak Rabin disse: “La nostra lotta contro il terrorismo islamico è anche intesa a risvegliare il mondo, che sta dormendo”. Israele è in questo momento il fronte più esposto della civiltà occidentale. Per questo non è più tollerabile la mistificazione elevata a sistema di tanti occidentali che scambiano con perfida leggerezza gli aggrediti per aggressori. George Gilder nel suo libro “The Israel Test” ha parlato dello stato ebraico come di “un leader della civiltà umana, del progresso tecnologico e dell’avanzamento scientifico, bastione del progresso e della prosperità”. Israele è davvero la “linea verde” della civiltà occidentale. I 70 anni di Israele rappresentano fra i maggiori successi democratici e del progresso del nostro tempo. Sostenere Israele significa sostenere questi valori. Ebrei, arabi, drusi e altri siedono nel suo Parlamento e in altri uffici strategici. La legge israeliana è amministrata da giudici imparziali che condannano gli ebrei israeliani per violazioni dei diritti umani contro gli arabi, quando ciò è giustificato. La libertà di parola e di protesta sono tutelate con fermezza e orgoglio. Gli arabi israeliani, sia musulmani che cristiani, sono gli unici di tutto il medio oriente ad aver avuto l’opportunità di vivere in una società democratica e di godere dei benefici dello stato di diritto e delle opportunità che un moderno stato nazionale offre ai suoi cittadini secondo le norme di una società occidentale, compresa l’eguaglianza di genere. Non esiste un altro posto in medio oriente dove in una sola giornata puoi recarti in sinagoga a pregare, andare al lavoro per una grande azienda americana di high tech, incontrare un amico in un gay bar, andare al cinema e fare l’amore la sera con una donna non sposata. E fare tutto questo senza nascondersi e senza rischiare la vita. L’esistenza di Israele è un fastidioso, costante richiamo ai vicini despoti arabi che mantengono la propria popolazione in condizioni odiose: donne e minoranze sessuali trattate come esseri inferiori, cristiani uccisi e sfollati, bombardamenti della popolazione civile, giornalisti e scrittori in carcere o al patibolo, arretratezza economica, repressione politica. Mentre la maggior parte degli israeliani ha cercato di incontrare i vicini arabi a metà strada, la stragrande maggioranza degli arabi, e sicuramente molti dei loro leader, si aggrappa ancora al desiderio di vedere la definitiva distruzione di Israele, un avamposto solitario e resiliente della democrazia e del capitalismo in una regione che finora ha sempre rigettato e combattuto i valori occidentali. Soltanto in Israele la “primavera araba” ha avuto successo (…) Israele è una delle più autentiche democrazie che esistano al mondo, al pari dell’Italia, della Francia e della Germania; ogni problema, tranne ovviamente alcuni problemi militari, sono dibattuti pubblicamente in Parlamento e discussi dai giornali con la più ampia libertà di opinione. L’esercito israeliano ha regole d’ingaggio uniche al mondo. L’economia è passata da un modello socialista a un’economia di mercato. Israele oggi ha 4.000 startup e raccoglie venture capital pro capite a un ritmo due volte e mezzo superiore agli Stati Uniti e 30 volte all’Europa. Tutto questo mentre Israele resisteva alle Intifade, al terrorismo, ai missili, all’ostilità nei forum internazionali. Intanto, l’ombra del settimo giorno continua a stagliarsi nel futuro di Israele. Basta pensare al film “2048” del regista Yaron Kaftori. Israele non esiste più. C’è un bibliotecario a Berlino che cura il memoriale della cultura sionista, c’è una ex israeliana che ha aperto un ristorante in Canada, c’è la profuga che si è fermata a Cipro per essere più vicina a Sion. Si scopre un video girato nel 2008 per le celebrazioni per il sessantesimo anniversario dalla nascita dello stato ebraico. Israeliani davanti al fumo del barbecue il giorno della festa dell’indipendenza, mentre rispondono alla domanda: come sarà il centesimo compleanno?

 

 

 

 

 

Boualem Sansal: "Boualem Sansal: 'L’omaggio di Meotti a Israele è un saggio consiglio a tutta l’Europa' "

Immagine correlata
Boualem Sansal

Pubblichiamo un estratto della lettera aperta che Boualem Sansal, l’algerino autore del romanzo “2084”, ha scritto nel nuovo libro di Giulio Meotti in uscita, “Israele. L’ultimo stato europeo” (13 euro, 172 pp., Rubbettino)

Signor Meotti, complimenti per il suo libro “Israele, l’ultimo Stato europeo”. Ha reso un bell’omaggio a Israele e al suo popolo e ha dato un saggio consiglio a tutta l’Europa. Posso dirle che la sua opera arriva al momento giusto. I tempi sono turbolenti, la gente è inquieta e ha bisogno di chiarezza. Il suo libro dà risposte, dona una visione vivificante di Israele, non solo per le sue incredibili qualità ma anche perché è una sorta di avamposto d’Europa in medio oriente, un bastione inespugnabile dei valori dell’Illuminismo che l’hanno fondata e la sua opera mostra tutto questo. Ma, ahimè per se stessa e per il mondo intero, l’Europa di oggi si sta comportando male, molto male, i suoi Lumi stanno svanendo sotto la pressione di diversi fenomeni. Innanzitutto l’islamismo che la sta sommergendo sotto le tenebre in molti dei suoi territori e la degrada gravemente. L’arrivo in massa di migranti provenienti dal medio oriente, dal Maghreb e dall’Africa che l’Europa non può integrare, né aiutare a tornare nei loro paesi di origine e vengono lasciati vergognosamente ristagnare nella precarietà, fonte di grandi mali. La globalizzazione, alla quale fa difficoltà ad adattarsi pienamente per il semplice fatto che è poco sicura dei propri valori e delle proprie ambizioni di potenza mondiale. Il fatto è che l’Europa, come sostiene il filosofo Michel Onfray, dà dei segnali inquietanti di erosione, di decadenza, e impotente vede lo svilupparsi al suo interno di un antisemitismo violento e di una denigrazione permanente di Israele. Siamo al punto che molti ebrei preferiscono lasciare l’Europa per vivere in Israele. Che passo indietro, gli ebrei fuggono di nuovo dall’Europa per cercare pace e sicurezza in un paese che attorno ha solo nemici, i quali come unico pensiero coltivano la volontà di trovare il modo di distruggerlo e di gettarne il cadavere in mare. Non è nell’interesse di nessuno che quest’aberrazione continui. Anche io, come lei, sono convinto che l’Europa possa solo guadagnarci dal promuovere dei rapporti più sinceri e stretti con Israele. Questo riavvicinamento gioverebbe a tutti, anche ai palestinesi che nell’Europa troverebbero un avvocato ascoltato da Israele. E’ da irresponsabili lasciare che, per avere un futuro, facciano affidamento sull’Iran e sulle dittature arabe. Lo spirito di questi schiavisti è talmente malato che la stessa morte non li vuole. Sono convinto che il loro futuro sia con Israele, in una partnership tripartita Palestina-IsraeleEuropa. C’è un grosso lavoro di pedagogia politica da fare affinché l’Europa integri nel suo processo di rinnovamento una partnership intensa con Israele. Questo paese ha conosciuto e risolto con felicità tutti i problemi che oggi percorrono l’Europa. L’Europa ha tanto da apprendere e molto da dare a Israele, questo sarebbe un importante contributo per la promozione della pace nel vicino e medio oriente. Questo paese è un miracolo, bisogna approfittarne e imparare. Dopo tutti i mali che sono stati inflitti al suo popolo con l’idea di eliminarlo dalla faccia della terra, che Israele ancora esista è un miracolo. Che abbia realizzato, a partire dalla sua creazione nel 1948, tante imprese tecniche, scientifiche, economiche e culturali è un altro immenso miracolo. Che il popolo israeliano resista a tante minacce multiformi e arrivi a mantenere al suo interno una società brulicante di vita, d’inventiva, di creatività, è un altro enorme miracolo. Per riprendere una celebre pubblicità di un lubrificante per automobili che diceva: “Mettete una tigre nel vostro motore”, io consiglierei all’Europa: “Mettete un po’ di Israele nel vostro rinnovamento”.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5090901 oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT