L’equivoco è finito. Il presidente Trump ha annullato la partecipazione americana all’accordo sul nucleare firmato, nel 2015, dall’Iran, dagli Stati Uniti al tempo di Obama e dai leader dei principali paesi europei, oltre che dall’Unione Europea, dalla Russia e dalla Cina, e ripristinato e rafforzato le sanzioni contro l’Iran. Già al momento della firma dell’accordo, alcuni esponenti del governo americano e dell’opposizione repubblicana avevano espresso molti dubbi sulla consistenza effettiva dell’operazione e sulla credibilità di un regime totalitario all’atto dell’adesione. In generale, il problema, fin dall’inizio, presentava questo dilemma: un accordo di cruciale importanza tra una democrazia e un regime totalitario ha senso? Nel caso dell’Iran, poi, si tratta di un totalitarismo teocratico, impegnato a esportare il proprio credo a un livello sempre più ampio. La realtà ha dimostrato ben presto che l’Iran si è posto a capo di un movimento terroristico internazionale, che prescinde da qualsiasi accordo. Così, quello sul nucleare è apparso subito un paravento per continuare, senza intoppi o contestazioni da parte degli altri firmatari, la marcia degli iraniani innanzitutto nel cuore del Medio Oriente. Il ragionamento degli ayatollah è stato il seguente. La firma dell’accordo sul nucleare ha soddisfatto le aspettative degli occidentali, che lo sbandierano come un risultato straordinario della loro politica di contenimento delle pretese nucleari di Teheran. Di conseguenza, per evitare la rottura dell’accordo o svolte improvvise sulla questione da parte dell’Iran, Stati Uniti e Unione Europea hanno evitato qualsiasi interferenza politica, diplomatica o militare nei confronti dell’espansionismo iraniano, alleato di quello di Mosca, anch’essa firmataria dell’accordo. L’avanzata congiunta russo-iraniana nell’inner core mediorientale ha proceduto senza sostanziali opposizioni, approfittando della crisi siriana. Lo sfacelo siriano ha rappresentato la foglia di fico per l’avanzata dello sciismo iraniano, insieme alla Russia, in una regione finora estranea alle mire di Teheran. Il sostegno militare ad Assad, dunque, ha fornito agli ayatollah un eccellente pretesto per inserirsi in un contesto che permette a Teheran di assestarsi in posizioni strategiche fondamentali: il Mar Mediterraneo e i territori che si aprono sulla penisola arabica. Il regime iraniano era convinto, con ragionevole certezza, che la questione del nucleare fosse stata risolta con il trattato firmato con gli occidentali. Dal canto suo, Obama riteneva di aver messo a segno l’unico colpo positivo della sua presidenza. L’Unione Europea, tronfia, era sicura di aver ottenuto un successo di primaria grandezza. Tuttavia, l’ingresso di Trump alla Casa Bianca ha ridimensionato gli entusiasmi e allarmato il regime iraniano. Netanyahu aveva più volte messo in guardia sulla falsità dell’adesione di Teheran agli accordi, avendo ripetutamente sostenuto che la presenza degli hezbollah filo-iraniani in Libano si stava rafforzando ed estendendo. Infine, il colpo di grazia alle sicurezze di Teheran è venuto dall’azione del Mossad che è riuscito a sequestrare il materiale iraniano che dimostra come il regime avesse continuato tranquillamente a sviluppare l’arma nucleare, mentre gli europei continuavano stoltamente a festeggiare. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, il prossimo trasferimento dell’Ambasciata americana a Gerusalemme, il colpo di mano del Mossad e l’esposizione televisiva del trucco iraniano da parte di Netanyahu, il ritiro americano dagli accordi sul nucleare iraniano rappresentano i passi di una nuova, salda connection tra gli Stati Uniti e Israele. L’Iran è ora con le spalle al muro: la falsità delle sue posizioni è evidente. I firmatari europei dell’accordo dovranno trarre le conseguenze e il regime di Teheran dovrà fare i conti con le nuove sanzioni, che metteranno in ginocchio la già fragilissima economia iraniana. Il popolo iraniano è esausto e si spera che alzi la testa contro un regime che lo affama.