Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/05/2018, a pag. 8, con i titoli "L’Iran sfida gli Usa e guarda all’Ue: 'Deve aiutarci a salvare l’accordo' ", "La fine dell’intesa con Teheran è la rivincita di Netanyahu" i commenti di Giordano Stabile, Rolla Scolari.
Ecco gli articoli:
Giordano Stabile: "L’Iran sfida gli Usa e guarda all’Ue: 'Deve aiutarci a salvare l’accordo' "
Giordano Stabile
Gli oltranzisti alzano la voce in Iran e rendono ancora più stretta la strada per Hassan Rohani. Il presidente riformatore ha poche settimane di tempo per salvare quel che resta dell’intesa nucleare e ha ricevuto ieri la telefonata di incoraggiamento di Emmanuel Macron. Rohani spera ancora di sfruttare le divisioni fra Stati Uniti ed Europa per evitare sanzioni troppo dure e conservare la leadership. Ma è sotto una pressione tremenda e ieri sono arrivati i moniti della Guida Suprema Ali Khamenei. L’erede di Khomeini ha cavalcato tutto l’antiamericanismo che caratterizza fin dalla sua nascita la Repubblica islamica. Ha accusato Donald Trump di aver fatto un discorso «stupido e superficiale», di aver mentito «almeno dieci volte». «In nome del popolo, vai all’inferno», ha concluso. Ma Khamenei ha soprattutto ammonito che «fin dal primo giorno ho detto che non mi fidavo dell’America, e non mi fido neanche di Francia, Gran Bretagna e Germania».
Il discorso della Guida Suprema è stato accompagnato da applausi e urla contro gli americani, mentre alcune centinaia di studenti hanno protestato davanti all’ex ambasciata americana e alcuni deputati hanno bruciato in un rito solenne bandiere a stelle e strisce e copie del Trattato. La protesta istituzionale era stata innescata dal presidente del parlamento Ali Larijani, che ha accusato Washington di «bullismo» e avvertito che «l’Ue e altri partner hanno ora la responsabilità di salvare l’accordo». Una responsabilità sentita soprattutto da Macron. Il presidente francese ha chiamato ieri mattina Rohani, ribadito «la volontà della Francia di continuare ad applicare l’accordo in tutte le sue parti», a patto che «l’Iran faccia la stessa cosa». Il leader iraniano ha replicato che «l’Europa deve agire il prima possibile per chiarire le sue intenzioni riguardo le sue obbligazioni». Tradotto, se ha intenzione di sfidare gli Stati Uniti e continuare ad avere rapporti economici che potrebbero innescare sanzioni americane nei confronti delle sue banche.
Rohani ha rivelato di aver «pronto un piano» per proteggere l’economia, ma non può farlo senza Europa, Cina e Russia. Solo che, oltre che con la spallata di Trump, europei, cinesi e russi devono fare i conti con il pressing israeliano. Il premier Benjamin Netanyahu, assieme al saudita Mohammed bin Salman, è il grande vincitore. Ma teme una possibile reazione militare iraniana. Ieri ha avuto un lungo colloquio con Vladimir Putin a Mosca, dopo la parata per la Vittoria contro la Germania nazista. Ha sottolineato come sia incredibile che «a 73 anni dall’Olocausto sia permesso all’Iran di minacciare l’esistenza di Israele», un modo per fare pressione sulla Russia, allora artefice della disfatta del nazismo, e ora principale alleato degli ayatollah, visti da Israele come «nuovi Hitler».
Netanyahu ha ribadito il «diritto di Israele a difendersi dalle aggressioni iraniane» e detto di ritenere «improbabile» che la Russia «limiti le nostre azioni in Siria», dove nella notte l’aviazione israeliana ha compiuto un altro raid contro installazioni militari dei Pasdaran. Putin è il principale garante di Bashar al-Assad e non intende permettere che venga rovesciato, men che mai ora che è a un passo dal vincere la guerra. Ma a differenza dell’Iran, alla Russia non interessa una «vittoria totale» del raiss. Vuole che sia in posizione di forza in modo da trovare un compromesso con l’opposizione. E in questo gap fra russi e iraniani si inserisce Netanyahu per sfruttare al massimo l’opportunità. E un’altra porta molto stretta: se non spinge abbastanza, Putin non premerà sugli iraniani perché si ritirino; se esagera rischia di far scoccare la scintilla di un conflitto sui fronti siriano e libanese.
Rolla Scolari: "La fine dell’intesa con Teheran è la rivincita di Netanyahu"
Rolla Scolari
Sono passati soltanto due mesi da quando la stampa internazionale si interrogava sulla tenuta di Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano è stato ascoltato dalla polizia su diversi casi di presunta corruzione, e per giorni si è parlato di testimoni che avrebbero potuto affossare la sua lunga carriera.
All’indomani dell’annuncio di Donald Trump sull’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, il quotidiano «Washington Post» parla di «momento Netanyahu», ribaltando la posizione del primo ministro. Il presidente americano in un unico discorso martedì ha realizzato quello che da anni predica Bibi Netanyahu: la fine dell’intesa internazionale sul programma atomico iraniano, il ritorno delle sanzioni americane contro Teheran. E fra pochi giorni, il 14 maggio, gli Stati Uniti sposteranno ufficialmente la loro ambasciata a Gerusalemme, in un’altra spinta al potere del primo ministro. Così, mentre il governo israeliano richiama i riservisti, attiva il sistema di difesa Iron Dome e apre i rifugi anti-missile al Nord per timore di attacchi iraniani, le carte dei giudici finiscono in secondo piano.
Anche il quotidiano israeliano della sinistra, «Haaretz», parla di «un momento determinante» per la carriera di Netanyahu, leader della destra. È da 25 anni, da quando era ancora un deputato in ascesa, che Bibi insiste sulla questione nucleare iraniana come «minaccia maggiore» per Israele rispetto a quella posta dai Paesi arabi formalmente nemici. Fino al 2012, un possibile attacco israeliano alle installazioni nucleari in Iran è stato a lungo temuto dalle cancellerie internazionali. Per anni, i suoi detrattori hanno definito quella del premier «un’ossessione», che avrebbe poi prodotto l’esplicito scontro con l’ex presidente americano Barack Obama, promotore nel 2015 dell’intesa con Teheran.
Eppure, la situazione regionale e gli ultimi sviluppi della guerra in Siria hanno portato gran parte del pubblico e della politica israeliani a non ritenere quella di Netanyahu per l’Iran atomico soltanto «un’ossessione». Le milizie iraniane, alleate del regime di Bashar el-Assad, si muovono liberamente su parte del territorio siriano, e l’establishment militare israeliano teme da mesi che la Siria possa diventare una postazione per attaccare il vicino Nord di Israele. Da qui, i presunti raid israeliani a postazioni iraniane oltre il confine, come accaduto poche ore fa vicino a Damasco, la settimana scorsa nei pressi di Hama, e un mese fa a Homs. Il premier Netanyahu, ieri in visita a Mosca, ha parlato con il presidente Vladimir Putin proprio di «coordinamento militare» sulla Siria.
La questione iraniana è ormai al centro dell’agenda politica di maggioranza e opposizione in Israele da anni: è difficile trovare un leader politico nel Paese che non abbia utilizzato la retorica del premier. Il rivale laburista Avi Gabbay ha detto pochi giorni fa che Israele non permetterà mai a Teheran di dotarsi dell’arma atomica. E il suo predecessore Isaac Herzog ha attaccato già nel 2015 l’accordo con l’Iran, dicendo che avrebbe portato soltanto caos in Medio Oriente.
Eppure, se politici e soldati concordano sulla minaccia rappresentata da un Iran sempre più in espansione, soprattutto dopo la vittoria elettorale dell’alleato Hezbollah in Libano, tra i vertici militari esistono divergenze sui destini dell’accordo. Non tutti i generali sostengono il premier: c’è chi avrebbe mantenuto, in assenza di alternative, l’intesa intatta, come provano le recenti parole del capo di Stato maggiore, Gadi Eisenkot, secondo il quale «con tutti i suoi difetti» il deal nucleare «funziona e sta posticipando la realizzazione della visione nucleare iraniana di 10-15 anni».
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