Iran contro Israele, possibile un attacco imminente Analisi di Fiamma Nirenstein, Francesco Bussoletti
Testata:Il Giornale - La Stampa Autore: Fiamma Nirenstein - Francesco Bussoletti Titolo: «Israele e l'allarme Iran: 'Vuole vendicarsi. L'attacco è imminente' - Cyberguerra, tra Israele e Iran la battaglia è già cominciata»
Riprendiamo oggi 08/05/2018, dal GIORNALE a pag. 12, con il titolo "Israele e l'allarme Iran: 'Vuole vendicarsi. L'attacco è imminente' " il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 8, con il titolo "Cyberguerra, tra Israele e Iran la battaglia è già cominciata", il commento di Francesco Bussoletti.
Ecco gli articoli:
Iran, il principale sponsor del terrorismo nel mondo
Il Giornale - Fiamma Nirenstein: "Israele e l'allarme Iran: 'Vuole vendicarsi. L'attacco è imminente' "
Fiamma Nirenstein
L'Iran pianifica di attuare in tempi brevi la sua vendetta dopo gli attacchi delle ultime settimane alle sue postazioni militari in Siria e di lanciare missili sul nord d'Israele. La provenienza militare segreta rende molto affidabili le informazioni affidate a un canale televisivo. Schiere di missili terra-terra vengono armati per colpire soprattutto, sembra, strutture militari, e la cura ne è probabilmente affidata a Hezbollah o a altri amici intimi, presenti in forza, della Repubblica degli Ayatollah. Questo per potere, dopo il colpo, negare la responsabilità di Teheran in prima persona: ma il comando dell'operazione è in prima persona delle «Guardie della Rivoluzione», l'intraprendente braccio armato dell'Iran più deciso a una politica espansionistica. Il capo della forza speciale in loco è Ali Ajiazade, agli ordini dello stratega principe della conquista iraniana del Medio Oriente, il generale della «Forza Quds» Qasem Suleimani. I precedenti dell'operazione di guerra sono nell'operazione israeliana su territorio siriano quando sono state rase al suolo due strutture importanti per il disegno egemonico iraniano. Poi, due settimane fa, vicino a Homs, è stata distrutta la grossa base di missili a lunga gittata sempre operata dagli iraniani, e ci sono stati altri morti. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto subito di essere determinato a prevenire una presenza iraniana in Siria anche a prezzo di un conflitto diretto, concetto ribadito in queste ore dal ministro dell'Energia Yuval Steinitz, secondo cui Israele potrebbe eliminare il presidente siriano Bashar al-Assad «se consentirà all'Iran di trasformare la Siria in una base militare per attaccarci». Perchè Israele parla così? Le ragioni sono due: gli iraniani sono molto preoccupati per la scadenza del 12 maggio che vedrà una decisione di Trump sul mantenimento o meno dell'accordo nucleare, e possono stare meditando azioni di deterrenza molto aggressive. Israele vuole dissuaderli. In secondo luogo, Netanyahu domani avrà a Mosca un incontro fatale con Putin, e sta dispiegando le sue carte. Bibi va in Russia con volto particolarmente amichevole: assisterà alla parata dell'Armata Rossa in ricordo della vittoria su Hitler, e Israele è fra i pochissimi Paesi ad aver costruito sul suo territorio un monumento (a Herzlya) in cui si ricordano i 20 milioni di morti sovietici e il loro eroico contributo alla vittoria sul nazifascismo. Putin venne nel 2012 all'inaugurazione. Da allora Netanyahu e Putin hanno avuto rapporti cordiali: adesso l'alleato iraniano di Putin, coi suoi Hezbollah, minaccia tutta l'area, avendo al centro il suo odio inveterato per Israele. Putin si sentirà ripetere da Netanyahu che siamo sull'orlo di una vera guerra con conseguenze incommensurabili se non viene posto un blocco alla presenza iraniana sul confine dello Stato Ebraico, e gli verrà chiesto di nuovo di non vendere al regime siriano il sistema antimissile S300, uno dei più strategicamente definitivi: se l'Iran lo controllasse, per Israele sarebbe molto dura. Non solo Israele è in una situazione problematica anche a causa, oltre che della Siria, del Libano, dell'Irak e dello Yemen mentre l'Arabia Saudita, l'Egitto, la Giordania e persino il Marocco denunciano come distruttiva di ogni equilibrio la presenza imperialista iraniana. Putin aveva calcolato tutto questo quando ha permesso all'Iran di penetrare in forze in Siria, creandogli così letteralmente un confine con Israele? Probabilmente anche lui oggi è interessato a mettere un freno agli ayatollah e a Qasem Sulemani, non ha interesse a un conflitto diretto con Trump così schierato contro l'Iran. Intanto mentre si avvicina il 12 di maggio, si approssima anche la giornata in cui, il 14, verrà trasferita l'ambasciata a Gerusalemme: oltre a un momento di gioia, per Israele si preparano molta tensione e pericolo di attacchi terroristici da parte palestinese.
LA STAMPA - Francesco Bussoletti: "Cyberguerra, tra Israele e Iran la battaglia è già cominciata"
La guerra tra Israele e l’Iran è già cominciata, passa dai pc e si combatte in tutto il mondo. Lo conferma il secondo presunto raid Usa-Gran Bretagna-Francia in Siria, che non è mai avvenuto. Ma che è stato registrato dai radar di Damasco, i quali hanno attivato le difese anti-aeree. Fonti militari internazionali affermano, infatti, che qualcuno – si guarda a Usa e Stato ebraico - abbia lanciato un’azione di cyberwarfare contro il centro di riporto e controllo di Damasco. La struttura che riceve tutte le informazioni legate alla protezione dello spazio aereo nazionale e le smista alle unità competenti.
Il messaggio La sua compromissione avrebbe generato un falso positivo su un attacco e attivato i sistemi di difesa aerea. Ciò per due obiettivi: saggiare le cyber-difese di Bashar Assad legate soprattutto alla difesa aerea e i tempi di risposta; lanciare un messaggio a Damasco: attenzione alle vostre azioni e al sostegno all’Iran, possiamo colpirvi in qualunque momento e in silenzio. Intanto, Teheran nelle ultime settimane ha schierato il suo esercito informatico per condurre operazioni di cyberwarfare contro Israele. È la risposta alla recentissima conferenza stampa del primo ministro Benjamin Netanyahu, il quale ha presentato una serie di documenti secondo i quali la Repubblica islamica continua a sviluppare in segreto il suo programma nucleare bellico, nonostante il Jcpoa. L’Iran sta impiegando alcuni gruppi hacker: le Advanced Persistent Threats (Apt) Ajax Security Team, Chafer, Infy, Apt33 e 34. L’obiettivo è condurre azioni di cyber-spionaggio (vedi l’operazione Saffron Rose) e infiltrazione per danneggiare le infrastrutture vitali dello Stato ebraico. Per farlo utilizzano attacchi cibernetici tipo «spear phishing». Vengono inviate e-mail a soggetti specifici con vari tipi di esca - da offerte di lavoro a finti documenti di interesse ad altro – affinché siano aperte. Queste, in realtà, contengono link a programmi malevoli (malware), che una volta scaricati e installati permettono all’aggressore di assumere da remoto il controllo del computer della vittima. Poi, progressivamente, gli hacker cercano di arrivare ai network, il loro obiettivo finale. Negli ultimi tempi, gli «incidenti» in Israele causati da formazioni facenti capo all’Iran si sono moltiplicati, anche se senza successo. E ci si attende che il trend aumenti. Lo Stato ebraico, però, contrappone un «cyber army» multiforme. In campo ci sono circa 8200 esperti delle Idf (Israel Defense Forces), che si addestrano in una base high-tech nel Sud; gli specialisti del Mossad e quelli della neo-costituita unità di combattimento cyber dell’agenzia per la sicurezza interna, lo Shabak (ShinBet). Si chiama Shabacking Team ed è nata nel 2017. A loro si uniscono figure dei settori privato e accademico. Ciò ha garantito un’efficiente protezione dei sistemi vitali del Paese e ottime capacità offensive cibernetiche. Lo dimostrano alcuni cyber attacchi che la Repubblica islamica ha subito recentemente e che non sono ufficialmente stati attribuiti. Ma che diverse fonti ritengono siano opera dello Stato ebraico. Tra questi, quello agli switches Cisco (3500), avvenuto solo pochi giorni fa. In Iran ci sono due organismi che proteggono la nazione dalle minacce del cyberspazio: il «Joint Cyber Army», braccio cibernetico dell’intelligence di Teheran, e il Cyber Defense Command (Gharargah-e Defa-e Saiberi). La struttura è posta sotto la supervisione della «Passive Civil Defense Organization», subdivisione del Comando congiunto delle forze armate.
Difesa debole Le capacità difensive della nazione, contrariamente a quelle offensive, sono però medie. Lo confermano diversi episodi avvenuti nel corso degli ultimi anni: partendo dall’attacco col virus Stuxnet alle centrifughe a Natanz del 2006 fino agli «incidenti» degli switches, tutte operazioni riuscite. Inoltre, lo stesso capo della «cyber polizia» di Teheran, il generale Kamal Hadianfar, ha ammesso che la nazione nel 2017 ha subito 296 cyber aggressioni gravi contro le infrastrutture vitali. Senza contare che in più occasioni esperti del settore sono morti misteriosamente. Vedi il caso di Mojtaba Ahmadi, comandante del quartier generale della «Cyber War», ucciso nel 2013 da ignoti.
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