Un popolo che ama la vita
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: un momento della tappa di ieri, da Be'er Sheva a Eilat
Cari amici,
il grande successo popolare del Giro d’Italia in Israele merita una riflessione in più. Non è stato solo un evento sportivo e neppure solo un’affermazione contro il boicottaggio sportivo o un momento di marketing (https://www.jpost.com/Opinion/Giros-lessons-553636) che aiuta a proporre un’immagine dello Stato ebraico diversa da quella che purtroppo continuamente si ripropone sui media, come un luogo di conflitto politico e militare. Anche chi appoggia Israele con tutto il cuore come noi non può non alimentare quest’immagine, riferendo i fatti, perché dalla fondazione dello Stato, anzi da prima, dal momento in cui il ritorno nella terra degli avi è diventata per gli ebrei un fatto di massa, questa è stata la politica dei suoi nemici: creare conflitto intorno a questo insediamento, far sì con ogni genere di attacchi di renderlo precario e conflittuale, cercare di terrorizzare e far fuggire gli israeliani (questo è il senso del terrorismo) o almeno di far sembrare aggressività e ingiustizia la loro autodifesa. Se gli israeliani non hanno mai ceduto alla paura del terrorismo, il mondo è invece caduto nella trappola di mettere sullo stesso piano gli attacchi terroristici e l’autodifesa di Israele, anzi di considerare questa causa di quello. E purtroppo in questa trappola sono caduti anche alcuni ebrei privi di buon senso o deprivati della loro onestà intellettuale da parte dell’ideologia: in Italia e in Europa una piccola minoranza disprezzata dagli altri, ma negli Stati Uniti purtroppo un numero più consistente e legittimato da antiche ambiguità.
I giornali fanno bene a riferire degli attacchi e farebbero meglio a farlo in maniera davvero equanime, per esempio notando in questi giorni che le “pacifiche” manifestazioni di Gaza si vanno concentrando sul tentativo di bruciare campi e case dei villaggi ebraici vicini alla frontiera con mezzi solo apparentemente infantili come gli aquiloni, ma malignamente trasformati in armi incendiarie. E noi facciamo bene a cercare di integrare l’informazione e le analisi con le notizie che i media tacciono. Ma c’è un’altra realtà, più profonda, che il successo del Giro mette in evidenza.
Gli israeliani hanno mostrato una grande passione per l’evento sportivo, come amano altri sport, altri spettacoli, la letteratura, la musica, il cinema, l’innovazione tecnologica. Altri cittadini di Israele, i charedim, sono immersi in un mondo di preghiera e di ritualità antica. Nessuno ama in particolare la guerra, nessuno vuol essere un “martire” o “preferisce la morte alla vita”, secondo quell’ideologia fascista che si estende esplicitamente agli islamisti e ai palestinisti (se non ci credete, leggete questo vecchio articolo di Meotti http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=46992 o guardate questo allucinante filmato: https://www.youtube.com/watch?v=CWIDZ7Jpdqg). Certo, gli israeliani sono grati alle loro forze di autodifesa, che ogni giorno fanno loro scudo dalla furia omicida del terrorismo e inoltre sono composti da loro e dai loro figli. Ma non vogliono affatto avere l’”onore” di vederli morti per la causa, come desiderano i palestinisti. Li vogliono congedati vivi, allegri, sani, intenti a farsi una famiglia e a dedicarsi alle cose che amano. Quando purtroppo qualcuno è colpito, il lutto è grande in tutto il paese.
E’ una vecchia storia. Il popolo ebraico aveva fino a venti secoli fa un piccolo stato in mezzo alle superpotenze del tempo, e avrebbe desiderato essere lasciato in pace, ma fu spesso invaso spossessato, colonizzato e dovette cercare di difendersi pagando un prezzo altissimo. Durante i diciannove secoli della diaspora, gli ebrei furono continuamente attaccati, molestati, uccisi, repressi, perché volevano restare se stessi (e non diventare cristiani, musulmani, marxisti), ma ambivano a vivere in pace, a fare i pochi mestieri che loro erano concessi, a godersi quel poco di vita che era loro lasciata. L’antisemitismo, quando non fu tentativo sistematico di distruzione, genocidio culturale o fisico, puntava a far pagare agli ebrei il fatto di essere ebrei. In condizioni di estrema minoranza, la sola strada era non reagire. Vi sono numerosi racconti di come gli ebrei nel mondo arabo si lasciassero tormentare anche dai ragazzini senza difendersi, perché questo era il solo modo di non morire loro e le loro famiglie - il che succedeva comunque abbastanza spesso, in Europa come nei territori musulmani. Questa è la normalità che rimpiangono gli arabi.
Da settant’anni gli ebrei hanno uno stato, che consente ai singoli la gioia di vivere normalmente secondo le proprie inclinazioni, di fare il tifo al Giro o scrivere poesie, di inventare nuove tecnologie o studiare il Talmud senza essere discriminati per la loro identità. Quel che è represso e discriminato e odiato però ora è il loro Stato. Non c’è altro Stato che venga discriminato, boicottato, denigrato in maniera lontanamente paragonabile a Israele, come on c’era popolo odiato e umiliato per il semplice fatto di esistere, come lo sono stati gli ebrei.
Lo Stato significa anche capacità di autodifesa, ma non è questo lo scopo degli ebrei. E’ solo un mezzo, necessario e sgradevole, per fare quel che il popolo ebraico vuole, cioè vivere in pace, godersi la vita, essere creativi, intraprendenti, studiosi, produttivi, gioiosi. E’ questo che avete visto nei filmati del Giro, un popolo che ama la vita e che però non è più disposto a farsela togliere senza difendersi. Guardate le immagini delle folle festanti intorno agli sportivi (https://www.ilpost.it/2018/05/06/foto-giro-italia-israele/) e un video degli invasati a Gaza che vogliono solo uccidere e farsi uccidere (per esempio https://vimeo.com/267378152). E capite da che parte stare, se non lo sapete già.