Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 30/04/2018, a pag.II, con il titolo "Israele è un muro invincibile", l'analisi tratta da Bloomberg.
Ze’ev Jabotinsky
Alla vigilia del settantesimo anniversario dell’indipendenza di Israele, il capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane, Gabi Eisenkot, ha dichiarato che il paese è ‘invincibile’. Questa è stata una dichiarazione audace. Il paese affronta una crescente minaccia da parte dell’Iran e dei suoi fantocci in Libano e Gaza e la possibilità di uno scontro con la Russia sulla Siria. Eppure, pochi israeliani sono in disaccordo con questa valutazione”. Così Zev Chafets su Bloomberg. “C’è uno stato d’animo di fiducia qui, e la sua origine risiede in una dottrina di difesa strategica di un secolo di guerra intermittente. Quella dottrina fu enunciata per la prima volta in un articolo del 1923 intitolato ‘Il muro di ferro’. Il suo autore era Ze’ev Jabotinsky, un visionario leader sionista e il padre ideologico del Likud. Al momento della sua pubblicazione, gli ebrei di Palestina erano una piccola minoranza combattuta. Erano passati solo tre anni dalle prime rivolte arabe a Gerusalemme contro di loro. I leader socialisti della comunità ebraica speravano di poter placare l’inimicizia araba offrendo cooperazione economica, progresso e prosperità. Jabotinsky li derise come infantili e offensivi per gli arabi, che non avrebbero barattato la loro patria per più pane o ferrovie. ‘C’è solo una cosa che vogliono i sionisti, e questa è l’unica cosa che gli arabi non vogliono’, ha scritto. Se gli ebrei avessero voluto rimanere, avrebbero dovuto fare i conti con una dura realtà, un gioco a somma zero. Non ci potrà essere pace finché gli arabi non avranno accettato il diritto di Israele a esistere. Jabotinsky vide che gli arabi (in Palestina e altrove) erano troppo numerosi per essere sconfitti in una singola guerra decisiva. Gli ebrei avevano bisogno di erigere un muro di ferro di autodifesa e deterrenza – un muro metaforico costruito con determinazione ebraica, immigrazione, progresso materiale, forti istituzioni democratiche e la volontà di combattere. A poco a poco, il nemico sarebbe stato costretto a concludere che questo muro non poteva essere violato. Oggi Israele difende i suoi cieli con un sistema anti-missile il cui primo componente è stato soprannominato ‘cupola di ferro’. E il muro metaforico ha ora raggiunto lo spazio esterno. Nel frattempo, tornando sulla terra, l’esercito continua a costruire e a stabilire le sue tangibili barriere di sicurezza: le difese contro il terrorismo in Cisgiordania e lungo il fronte settentrionale. C’è anche una barriera che separa Israele da Gaza. Hamas intende marciare di nuovo durante il weekend nel Giorno dell’Indipendenza. E’ un gesto inutile. Il muro di ferro non è più semplicemente una metafora. E’ una descrizione dello stato ebraico stesso. E, come dice Eisenkot, è invincibile”.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante