L'intesa cordiale fra le due Coree è la notizia che appare su tutte le prime pagine oggi 28/04/2018, con cronache e commenti. Riprendiamo in questa pagina dalla STAMPA a pag.3 e dal FOGLIO a pag.1, i commenti che riteniamo di particolare interesse, non danno per scontata la buona fede del dittatore del Nord, mettono in guardia con giuste interpretazioni sulle sue possibili intenzioni.
La Stampa-Paolo Mastrolilli: "Ma ora Trump teme di finire in trappola "
Paolo Mstrolilli
«Stanno accadendo cose positive, ma non ci faremo prendere in giro dalla Corea del Nord». I sostenitori del presidente Trump già avanzano la sua candidatura al premio Nobel per la pace, ma lui resta prudente, perché prima vuole vedere la vera mano giocata da Pyongyang. Ieri il capo della Casa Bianca ha celebrato l’incontro fra Kim e Moon, rivendicandone il merito: «Dicevano che c’erano solo due possibilità: accettare le loro armi nucleari, oppure fare la guerra. Ora sembra stia emergendo un’alternativa, a cui nessuno aveva pensato prima». Quindi ha elogiato il collega cinese Xi, che alzando la pressione economica e politica ha favorito la svolta, e ha confermato l’obiettivo del vertice con il leader norcoreano: «Avverrà tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, abbiamo ridotto le possibili sedi a due o tre luoghi». Nello stesso tempo, però, ha avvertito: «Se i colloqui saranno positivi, andremo avanti. Altrimenti mi alzerò dal tavolo». Il primo punto da verificare è la sincerità di Kim. Già in passato i suoi predecessori avevano firmato accordi, ma li avevano usati solo per ottenere concessioni e guadagnare tempo, senza rispettarli. Se Pyongyang fa sul serio, il secondo problema è capire il vero obiettivo. Washington teme che sia quello di dividerla da Seul, offrendo la pace a condizioni inaccettabili per gli americani. Infatti già ieri Trump ha parlato con Moon, per ricevere un briefing sui colloqui di Panmunjom, e assicurarsi che i due siano sulla stessa pagina. Del resto l’armistizio del 1953 era stato firmato dagli Usa, e quindi senza gli Usa non si può siglare il trattato di pace, e nemmeno togliere le sanzioni in sede Onu. Il terzo problema, se i primi due verranno risolti, è il nodo della denuclearizzazione. Non a caso l’unico tema che non era stato concordato prima nel comunicato finale. Il testo di Panmunjom parla di «denuclearizzazione completa», ma mancando i dettagli potrebbe essere una trappola. Questo linguaggio infatti preoccupa gli Stati Uniti, perché sottintende il ritiro anche delle loro armi atomiche e dei sottomarini dal Sud. Trump invece ha detto che per lui denuclearizzazione significa l’eliminazione di tutti gli ordigni del Nord, non solo il congelamento dei test in siti ormai distrutti come Punggyeri, e il riconoscimento di Pyongyang come potenza atomica di fatto. Se su questo punto si trovasse l’intesa, il problema diventerebbe come procedere. Moon favorisce la linea «action for action», cioè un approccio progressivo in cui il Nord compie passi scadenzati, a cui si risponde premiandolo ogni volta con concessioni limitate. Un processo che potrebbe richiedere oltre due anni. Gli Usa invece vogliono una soluzione più rapida, e il consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton ha suggerito il modello del disarmo di Gheddafi. Sul piano delle diffidenze reciproche, c’è poi anche il timore di Seul che Washington si accontenti dell’eliminazione dei missili balistici capaci di minacciare direttamente il suo territorio, lasciando così scoperti gli alleati di Corea del Sud e Giappone, che possono essere colpiti anche dai vettori a gittata ridotta e dalle armi convenzionali. Infine c’è il nodo della Russia e della Cina, che per ammissione dello stesso Trump ha svolto un ruolo positivo. Se gli accordi andranno in porto, per togliere le sanzioni Onu servirà il voto favorevole di Mosca e Pechino, che in cambio pretenderanno il rispetto dei loro interessi nazionali. Tali interessi includono la fine della militarizzazione della regione da parte degli Usa, che negli ultimi tempi hanno usato la scusa della minaccia nordcoreana per potenziare la loro presenza e le postazioni anti missile. La soluzione dunque resta un rompicapo, ma i progressi sono abbastanza concreti per iniziare ad affrontarlo.
Il Foglio-Daniele Raineri: " L'Era del Controllo "
Daniele Raineri Quanto vale la parola di un dittatore?
Roma. Uno dei punti oscuri della nuova (ma in realtà vecchia) intesa tra Corea del nord e Corea del sud è la denuclearizzazione della penisola, che è stata menzionata dal presidente sudcoreano ma soltanto in termini vaghi. La realtà è che il controllo allo stato delle cose è praticamente impossibile, perché vorrebbe dire negoziare nei dettagli un meccanismo rigoroso di ispezioni che potrebbe far deragliare tutto il processo di pace. Del resto il lontano accordo del 2007 prevedeva ispezioni “entro una settimana” da parte di team americani che avrebbero dovuto rendere innocui i siti atomici coreani, di comune intesa con Cina, Giappone e Russia. S’è visto com’è andata: la Corea del nord è diventata una potenza nucleare e oggi detta i termini. Questa volta si glissa dunque, ma “Control - lo” è sempre il termine chiave dei dossier di politica estera più complicati e delle crisi a venire. C’è soltanto un problema: non si sa come effettuarlo davvero. Per esempio: il segretario alla Difesa americano, l’ex generale Jim Mattis, due giorni fa davanti al Congresso ha detto di essersi riletto tre volte le 156 pagine del deal atomico firmato dall’Amministrazione Obama nel luglio 2015 con l’Iran e ha detto anche di essere uscito dalla lettura rassicurato, perché il meccanismo di controllo gli pare rigoroso. Eppure è la sua stessa Amministrazione a dire che il livello di controllo previsto dal deal è insufficiente, e a dire che se non sarà cambiato allora l’accordo atomico sarà revocato e non in un lontano futuro: il 12 maggio, fra due settimane. Insomma, il governo americano dice che il controllo non basta e il capo del Pentagono dice che invece è sufficiente. Chi ha ragione?Il problema è che non c’è nessuno in grado di offrire garanzie sul controllo in queste materie. La Corea del nord sembrava ancora lontana dalla bomba atomica fino a quando, sorpresa, non si è messa a fare test atomici. Il mondo nel 2004 non sapeva nemmeno che la Libia avesse cominciato a lavorare a un programma atomico fino a quando il governo americano non convinse il rais libico a uscire allo scoperto e rinunciare. Il governo israeliano fu così sorpreso dalla notizia che cominciò a indagare se per caso qualcuno dei suoi vicini ostili stesse anche lui lavorando a un programma atomico e scoprì che in effetti la Siria stava costruendo un reattore nucleare sulle rive dell’Eufrate, grazie a tecnologia fornita dalla Corea del nord.
E’ l’Era del Controllo, necessario e richiesto a gran voce ma mai sicuro al cento per cento. Così, nella giornata storica di ieri, i coreani non ci hanno nemmeno provato ad affrontare e definire meglio la questione del controllo, perché sanno che sarebbe un vicolo cieco. L’accordo, anche quello storico del 2015 sul nucleare iraniano, sta per naufragare – in meno di tre anni di nuovo – per questioni di controllo, insufficiente o comunque non percepito come sufficiente. E su entrambi incombe l’esem - pio negativo del grande accordo tripartito del settembre 2013, quando Siria, Russia e America trovarono un’intesa per la rimozione e distruzione dell’arsenale chimico dell’esercito di Bashar el Assad. Doveva essere l’apoteosi dell’Era del Controllo, finì con due stragi di civili con armi chimiche eseguite a distanza di un anno, nell’aprile 2017 e nell’aprile 2018. I siriani avevano mentito e avevano consegnato un inventario incompleto e nessuno era riuscito a esercitare il dovuto Controllo. Forse i siriani sono stati aiutati a eludere il Controllo proprio dai coreani di Kim Jong-un, che ieri sembrava tanto allegro e desideroso di pace ma da anni spedisce navi commerciali con carichi clandestini di armi e di tecnologia militare – inclusa quella per le armi chimiche – verso il medio oriente. Le giornate storiche vengono bene, la parte difficile è tutto il Controllo successivo.
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