Riprendiamo da ITALIA OGGI, a pag. 11, l'articolo "Israele, terra promessa di startup. Il paese, che compie 70 anni, punta risolutamente sullo sviluppo tecnologico".
Israele si conferma la terra promessa delle startup. Il paese, che ha appena festeggiato il 70esimo anniversario della sua creazione, ha sviluppato negli anni un sistema totalmente orientato verso lo sviluppo tecnologico. Non meno del 4,5% della ricchezza nazionale è consacrato ogni anno a ricerca e sviluppo e ben 350 multinazionali, tra cui Intel, Apple, Google, Samsung, General Electric e Orange, hanno nel paese centri di ricerca interconnessi ed efficienti. A riprova della sua vitalità nel settore hi-tech, Israele conta inoltre 6 mila startup (una ogni 1.500 abitanti), localizzate prevalentemente nella regione di Tel Aviv. Ma anche 180 fondi di capital risk, 22 incubatori, 160 acceleratori e 16 università, tra cui la celebre Technion di Haifa, che con il suo campus di 15 mila studenti dà vita ogni anno a un'ottantina di startup in media. Ma come si spiega questo primato? Innanzitutto con le decine di miliardi di dollari investiti ogni anno dall'esercito israeliano per sviluppare tecnologie: gli ingegneri che le inventano (spesso giovani che stanno effettuando il servizio di leva) conservano il brevetto per poi sfruttarlo in seguito nel mondo civile. Poi con la mentalità degli israeliani, ai quali non mancano indipendenza, coraggio, capacità di lavorare in team, e una cultura dello scacco e del rischio che gioca un ruolo fondamentale: Jeremie Kletzkine, vicepresidente di Start-Up Nation Central, una ong di 60 persone con sede a Tel Aviv e dedicata allo sviluppo economico del paese, giura di aver investito milioni di dollari in progetti che non si sono mai concretizzati, senza essersi mai arrabbiato con nessuno, perché l'insuccesso fa parte del gioco. Infine, il denaro non è affatto un ostacolo.
«Se hai un progetto e una squadra, in Israele trovi un finanziamento senza problemi», assicura Kletzkine. Tra gli investitori più influenti c'è Jeremie Berrebi. Impegnato in 320 startup in 26 paesi, Berrebi è anche un talmudista, che consacra quattro ore al giorno allo studio dei testi sacri del giudaismo. «Ne ho bisogno per prendere le giuste decisioni di investimento o di gestione», spiega. L'imprenditore ha appena lanciato il Torah Tech Institute, un programma intensivo (dura quattro mesi) per avviare una carriera tech in Israele e studiare, accanto a coding e programmazione, i testi del Talmud. Dalla domenica al giovedì, gli allievi seguono la mattina i corsi sulla Torah e il pomeriggio le lezioni sullo sviluppo web o mobile. Delegazioni di grandi imprese di tutto il mondo vanno in pellegrinaggio presso le startup israeliane, per trovare o acquistare la pepita che permetterà loro di fare il grande salto tecnologico. «Non c'è mercato locale in Israele. Il nostro mercato è il mondo», sottolinea Kletzkine. Un mercato poco orientato verso soluzioni BtoC (indirizzate al consumatore) ma mirato a processi BtoB (da impresa a impresa) molto tecnologici.
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