Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/04/2018, a pag. 13, con il titolo "Teheran, è l’arsenale missilistico l’arma dell’egemonia in Medio Oriente", il commento di Giordano Stabile; con il titolo "Trump: l’accordo sul nucleare con l’Iran è folle", il commento di Paolo Mastrolilli.
La REPUBBLICA titola, a pag. 10, "Trump minaccia l'Iran e seduce Macron: serve un nuovo patto nucleare". In questo modo Repubblica fa passare Trump come la minaccia per la pace in Medio Oriente ("minaccia" e "seduce"), e assolve il regime teocratico degli ayatollah.
Riesce a fare peggio ancora AVVENIRE, a pag. 14, che scrive nel catenaccio: "Il leader Usa minaccia: 'Pagheranno prezzo mai visto' ". Non una parola, in queste righe, sui crimini del regime iraniano e sulla minaccia nucleare.
Ecco gli articoli:
Paolo Mastrolilli: "Trump: l’accordo sul nucleare con l’Iran è folle"
Paolo Mastrolilli
Emmanuel Macron con Donald Trump
Nel giro di un paio d’ore, siamo passati dal giudizio dell’accordo sul nucleare dell’Iran come «folle, ridicolo, terribile», al tentativo di emendarlo con una nuova intesa per salvarlo. Ora si tratta di vedere quale sostanza avrà l’apertura del presidente francese Macron al collega americano Trump, e se basterà ad evitare che il 12 maggio prossimo Washington si ritiri dal Joint Comprehensive Plan of Action.
Macron è il leader europeo che ha il miglior rapporto personale con Trump, e si è visto. Ieri sera è stato il primo invitato per una cena di Stato, a base di costolette di agnello e jambalaya, e quando si sono visti alla Casa Bianca Donald ha persino allungato la mano per togliergli la forfora dalla giacca. Emmanuel però aveva la missione di usare questa simpatia per parlare delle questioni che dividono Europa e Usa, cioè l’accordo nucleare con l’Iran, i dazi e il clima, insieme a quelle su cui c’è più intesa, come la Siria e la Corea del Nord. Il presidente Usa ha chiarito subito l’insofferenza per le istituzioni multilaterali, dicendo che «i nostri commerci con la Francia sono equi. Io preferirei avere a che fare direttamente con voi, ma in mezzo c’è l’Unione Europea, che è molto dura con noi». Poi ha ripetuto che «voglio ancora tornare a casa dalla Siria, dopo aver completato la sconfitta dell’Isis, e i Paesi della regione dovranno farsi avanti con soldi e soldati». Infine ha espresso speranze per il prossimo incontro con il leader nordcoreano Kim, che è arrivato a definire «nobile. Vedremo come andrà. Io comunque non ho fatto concessioni, e quelli che mi criticano non hanno combinato nulla in anni».
Il blocco europeo però ha serie divergenze con Trump, sui commerci, sul clima, e soprattutto sull’accordo nucleare con l’Iran, dove il presidente deve decidere entro il 12 maggio se restare o abbandonarlo. Durante le parole scambiate prima del vertice bilaterale, il capo della Casa Bianca ha lasciato pochi dubbi sulle sue intenzioni: «È folle, ridicolo, non avremmo mai dovuto firmarlo». Alla fine del colloquio, però, Macron ha annunciato che «vogliamo lavorare ad un nuovo accordo, basato su quattro pilastri. Il primo riguarda le attività nucleari fino al 2025, già regolate dal Jcpoa; il secondo le operazioni nucleari di lungo termine; il terzo il programma per i missili balistici; il quarto il contenimento dell’Iran nella regione». Il presidente francese poi ha chiarito che non intende abbandonare il Jcpoa, che resterebbe al suo posto. In aggiunta, però, vorrebbe negoziare una nuova intesa per vietare lo sviluppo delle armi atomiche a tempo indeterminato, bloccare il riarmo missilistico, e contenere le ingerenze destabilizzanti di Teheran in Medio Oriente. La posizione originaria degli europei non era questa. Durante l’ultimo consiglio dei ministri degli Esteri della Ue, Francia, Germania e Gran Bretagna avevano proposto di imporre nuove sanzioni alla Repubblica islamica per i missili e le ingerenze, sperando che ciò convincesse Trump a restare nell’accordo nucleare. Il capo della Casa Bianca deve aver fatto capire al collega dell’Eliseo che l’offerta non gli bastava, e quindi la discussione si è trasferita sul nuovo accordo aggiuntivo.
Le possibilità che l’Iran accetti di aprire un’altra trattativa non sono molte, anche perché l’Aiea finora ha certificato il suo rispetto del Jcpoa, mentre Teheran accusa gli Usa di essere in violazione dei termini. La Russia poi ha avvertito che intende proteggere l’accordo esistente, senza negoziarne un altro. L’alternativa però è l’uscita degli Usa dall’intesa. La Repubblica islamica ha avvertito che in questo caso riprenderebbe le attività nucleari, e Trump ieri ha risposto così: «Se lo faranno, pagheranno un prezzo mai visto prima», ossia un attacco militare.
Un’ipotesi sul tavolo è anche il «repackaging» del Jcpoa, che però avrebbe gli stessi problemi politici di un testo aggiuntivo. Altrimenti il nuovo accordo potrebbe trasformarsi in un emendamento a quello vecchio, sotto forma di interpretazione, firmata dagli Usa e dagli alleati europei. Ma questo basterà ad evitare che Trump esca dall’intesa il 12 maggio?
Giordano Stabile: "Teheran, è l’arsenale missilistico l’arma dell’egemonia in Medio Oriente"
Giordano Stabile
L’ultima minaccia è arrivata la scorsa settimana dal generale Amir Ali Hajizadeh, il comandante delle Forze aerospaziali dei Pasdaran. «Attenti – ha avvertito – perché le vostre basi sono nel nostro mirino». L’avvertimento era rivolto all’aviazione israeliana e alle installazioni militari Usa nel Golfo. E il mirino è quello dei missili sviluppati negli ultimi trent’anni che, secondo l’alto ufficiale, hanno «un margine di errore di soli otto metri». Non è proprio così ma l’arsenale missilistico iraniano, per quanto basato sulla tecnologia dei vecchi Scud, resta una formidabile arma di pressione, che Teheran adopera per estendere la propria influenza sul Medio Oriente mettendo sulla difensiva i rivali strategici: i Paesi sunniti, Israele e gli Stati Uniti presenti con le proprie basi.
Il programma missilistico è stato lanciato poco dopo la rivoluzione del 1979. Sotto embargo da parte degli ex alleati occidentali, Teheran resta nel giro di pochi anni quasi senza aviazione, con i jet a terra per mancanza di pezzi di ricambio. La guerra con l’Iraq di Saddam Hussein è durissima. Gli iraniani si rivolgono allora alla Libia e ottengono i primi Scud nel 1984, subito lanciati contro Baghdad. Dalla Siria e dalla Corea del Nord arrivano poi i più avanzati Scud B e Scud C, ribattezzati Shahab-1 e Shahab-2. Hanno una gittata attorno ai 500 chilometri. Il primo missile indigeno è il Ghadr-1, basato sul nordcoreano Nodong, con un raggio di azione di 1600 chilometri e una testata di 750 chili di esplosivo.
Questi ordigni hanno il limite di essere a combustibile liquido: devono essere riforniti subito prima del lancio e quindi sono poco reattivi. Per questo dal 2003, con l’avvento di Mahmoud Ahmadinejad al potere, l’Iran si lancia nello sviluppo di un missile a combustibile solido, costruito per intero nel Paese e con una gittata fino a 2000 chilometri, in grado di colpire anche Israele. E’ il Sajjil-2. L’ultimo test, nel 2011, ha completato la fase di sviluppo ma il missile non è ancora operativo. A completare il dispositivo ci sono poi i missili a corto raggio Fateh, con una gittata fino a 250 chilometri.
Il numero di ordigni a medio raggio a disposizione degli ayatollah oscilla, a seconda delle stime, fra i 300 e i 500, ma solo un centinaio sarebbero in grado di colpire lo Stato ebraico. La precisione, secondo analisti occidentali consultati dall’Istituto Sipri, è bassa. Gli Shabab-1 hanno un margine di errore di 1 chilometro, mentre i Ghadr-1 e i Sajjil addirittura di 2,3 chilometri. Un nuovo progetto, l’Emad, punta ad aumentare la precisione con un sistema a guida interna. Il primo test, nell’ottobre del 2015, è stato dichiarato un successo ma lo sviluppo richiederà anni. L’Iran, a differenza della Corea del Nord, non dispone di missili intercontinentali (Icbm), con una gittata di almeno 5500 chilometri, anche se dispone di vettori, come il Safir, in grado di mettere in orbita un satellite.
La pericolosità dell’arsenale iraniano, senza lo sviluppo di testate atomiche, è quindi limitata. Per questo, quando i negoziati per l’accordo sul nucleare sono entrati nel vivo fra il 2013 e il 2014, l’allora sottosegretario di Stato Wendy Sherman, negoziatore capo, ha acconsentito ad ammorbidire la risoluzione Onu che vietava lo sviluppo di missili balistici. L’Iran così oggi può ribattere che i suoi missili «non sono progettati» per essere atomici, in quanto ha rinunciato al programma nucleare. Un cavillo diplomatico che Stati Uniti e Francia vogliono ora mettere in discussione.
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