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La Repubblica Rassegna Stampa
23.04.2018 Nessuno sconto agli ayatollah iraniani,come invece vorrebbe Federico Rampini
e la Repubblica pure

Testata: La Repubblica
Data: 23 aprile 2018
Pagina: 12
Autore: Federico Rampini
Titolo: «La mission del seduttore Macron convincere Trump su Iran e dazi»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/04/2018, a pag. 12, con il titolo "Se La mission del seduttore Macron convincere Trump su Iran e dazi", il commento di Federico Rampini.

Invece di riconoscere la strategia di espansione dell'Iran nell'intera regione - dal Libano alla Siria, dallo Yemen all'Iraq - Rampini descrive con entusiasmo il tentativo di Emmanuel Macron di venire a patti con l'Iran, "salvando" l'accordo voluto da Obama e dall'Europa. Di fatto, quindi, il pezzo di Rampini è un pieno endorsement nei confronti del presidente francese, anziché una cronaca equilibrata che si limita  a riportare i fatti. Endorsement pro-Iran è d'altra parte la linea di Repubblica.

Ecco l'articolo:

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Federico Rampini

 

“Arriva l’Obama francese che governa come Trump”. La definizione, del Washington Post, è sarcastica e feroce. Riassume lo scetticismo americano sulla “relazione speciale” che Emmanuel Macron sta cercando di conquistarsi con gli Stati Uniti. Dal punto di vista formale, c’è già riuscito. Domani Donald Trump lo accoglie riservandogli un privilegio: il presidente francese è il primo leader straniero ad avere l’onore di una visita di Stato in piena regola. Si comincia con una cena da gran cerimoniale, nella dimora che fu di George Washington a Mount Vernon, con vista sul fiume Potomac. Mercoledì Macron avrà un altro onore, quello di parlare al Congresso a camere riunite. Almeno la sua vanità è salva. La pompa magna è il suggello di un rapporto sul quale Macron ha investito molto: invitò Trump alla sfilata della Bastiglia il 14 luglio scorso a Parigi, ispirandogli così l’idea di replicare una parata militare negli Stati Uniti.

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Emmanuel Macron con Donald Trump

Macron è stato il primo leader europeo a essere consultato sulla Siria, e la Francia ha partecipato al lancio missilistico per punire Assad dopo la strage chimica. Per la frequenza e la cordialità dei contatti bilaterali si può dire che Macron ha già “soffiato” la relazione privilegiata sia a Theresa May che ad Angela Merkel. Ma dietro tante cortesie, c’è della sostanza? Almeno tre dossier importanti dividono l’Amministrazione Trump dall’Unione europea: ambiente, dazi, Iran. Finora Macron non ha ottenuto concessioni significative su nessuno di questi. Il più urgente per ragioni di calendario è il patto nucleare con l’Iran, firmato dall’Amministrazione Obama e criticato duramente da Trump che lo ha definito «pessimo, disastroso». Quell’intesa coinvolge oltre a Stati Uniti e Iran anche tre paesi europei (Francia Germania Inghilterra) più Russia e Cina. Obama considerava come un risultato prezioso il congelamento del programma nucleare iraniano per un decennio, in cambio del quale allentò alcune delle sanzioni finanziarie su Teheran. Entro il 12 maggio Trump potrebbe decidere di ripristinarle. Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Zarif ha già detto che in tal caso il suo Paese riprenderebbe immediatamente l’arricchimento di uranio che può servire alla produzione di armi nucleari. Trump per non stracciare quell’accordo vuole concessioni su altri terreni, in particolare il programma missilistico e il sostegno dell’Iran a milizie come gli Hezbollah. Macron ha tentato di accreditarsi come un mediatore. Ha dato atto a Trump che quell’accordo è «imperfetto». Ha detto che l’Unione europea potrebbe impegnarsi a rafforzarlo con l’inclusione dei missili e di un «contenimento regionale », pudica allusione all’espansionismo iraniano in Medio Oriente. Ha aggiunto però che il ritiro unilaterale degli Usa da quell’accordo sarebbe un errore, perché «non esiste un piano B», e il rilancio dell’armamento nucleare di Teheran renderebbe ancora più instabile la regione. Nella sua visita a Washington Macron deve giocarsi le sue chance, e non sono molte. Oltre all’ostilità di Trump deve fare i conti con il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, anche lui un “falco” sul dossier iraniano. Al Congresso i rapporti di forze non sono favorevoli, almeno finché c’è una maggioranza repubblicana. Macron finora non ha avuto maggiore fortuna sugli altri dossier. Si era illuso di riportare Trump al rispetto degli accordi di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico, e per ora è rimasto a mani vuote. I dazi su acciaio e alluminio sono stati provvisoriamente sospesi sui Paesi dell’Unione europea, ma potrebbero scattare in futuro. E comunque l’Europa non ha articolato una strategia alternativa per riformare la globalizzazione su basi più equilibrate, senza appiattirsi sulle posizioni cinesi. La pochezza dei risultati concreti ottenuti fin qui da Macron giustifica i toni dubbiosi con cui i media americani accolgono questa sua visita. La battuta del Washington Post sull’Obama francese che governa come Trump punta il dito sulla contraddizione fra l’agenda riformista di Macron e la sua vanità personale. È severo anche il New York Times, che lo descrive «sfiduciato nei sondaggi, con le sue riforme bloccate dagli scioperi, e i suoi sogni ambiziosi di rilancio dell’Unione europea ridotti in frantumi». Trump potrebbe lanciargli una ciambella di salvataggio? Ma per il presidente americano qualsiasi concessione sarebbe politicamente costosa. Sull’ambiente ha deciso di gratificare la lobby dell’industria fossile, nonché un pezzo di classe operaia (minatori, siderurgici) che lo ha votato. Idem per quanto riguarda il protezionismo. La durezza con l’Iran corrisponde a una politica mediorientale allineata su Israele e Arabia Saudita. I margini di manovra sono esigui, la capacità di seduzione di Macron dovrebbe fare un miracolo.

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