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Dov’è finita la marcia piccina piccina picciò? Non pervenuta sopra: Gaza, la bandiera con la svastica nazista Cari amici, Insomma, un fallimento assoluto. Come se a Piazza Venezia a sentire i comizi del duce si fossero trovati a un certo punto due o trecento camicie nere. Certo, forse per il piacere di ricordare il loro disastro (questo vuol dire “Nabka”, il simpatico nome che danno alla fondazione di Israele),il 15 maggio saranno un po’ di più: nella mentalità palestinista far festa per le sconfitte e inorgoglirsi dei “martiri” cioè dei criminali masochisti che si sono ammazzati pur di eliminare donne e bambini ignari a una fermata dell’autobus o in un supermercato, è un obbligo e un piacere: che volete, ogni cultura si misura da ciò che festeggia e venera. Perché questo fallimento? Le ragioni sono tante, naturalmente, fra cui non bisogna dimenticare l’azione di Israele, guidato da Netanyahu, un realista in stile Ben Gurion (“In Israele, per poter essere un realista devi credere nei miracoli” diceva il fondatore dello stato ebraico, ma per lui credere voleva dire lavorare indefessamente per ottenerli, sfidando il mondo, se occorreva). La seconda ragione è quella più vicina. Perché degli arabi che fanno fatica a vivere per via dei sistematici furti e del bellicismo velleitario di Hamas dovrebbero andare a farsi ammazzare solo per dare all’organizzazione terrorista un vantaggio propagandistico? Lo vedono bene che se, nei famosi venerdì della grande marcia come in qualunque altro giorno, se ne stanno in casa o anche fanno un bel picnic patriottico non troppo vicino alla barriera di sicurezza, diciamo a tre o quattrocento metri di distanza, non gli succede niente. Israele non li va a cercare, non ha la minima voglia di sprecare delle pallottole contro di loro. Basta che non facciano terrorismo, che non portino minacce concrete ai cittadini di Israele e non subiscono nessun danno. Anzi, se non ci fossero Hamas e Fatah e tutte le organizzazioni che li sfruttano come manodopera per l’industria della guerra, potrebbero benissimo guadagnarsi un’esistenza migliore lavorando oltre il confine, producendo merci più facilmente vendibili sul mercato internazionale dei missili Kassam, costruendo scuole e ospedali invece di tunnel d’attacco. Non è detto che i sudditi di Gaza, come quelli dell’Autorità Palestinese, siano lucidi su questo punto, tanto li hanno intossicati di propaganda. Naturalmente questo fallimento, questo distacco della popolazione dalla “grande marcia” dipende anche dalla fermezza dell’esercito di Israele. Se avesse gestito questo attacco con incertezza e timidezza, come volevano gli stati europei e la sinistra, i numeri sarebbero molto maggiori: non solo quelli dei partecipanti, ma anche quelli dei morti. Vedremo come nelle prossime settimane si evolverà questa ennesima messinscena terrorista, chiamata “Grande marcia”.
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