Riprendiamo dalla STAMPA - TORINO di oggi, 18/04/2018, a pag. 39, con il titolo "Il pugno chiuso del Pride", il commento di Giulia Zonca.
Giulia Zonca chiarisce come finisce un movimento irretito dall'ideologia del passato. E' la stessa ideologia - quella del pugno chiuso - che non consente di capire la realtà di Israele, l'unico Paese del Medio Oriente in cui la comunità Lgbt può vivere senza vessazioni e persecuzioni, come testimoniano i grandi gay pride che ogni anno si svolgono a Tel Aviv e a Gerusalemme.
Ecco il commento:
Giulia Zonca
Il Gay Pride di Tel Aviv
Un pugno è sempre chiuso, anche se è colorato. È un gesto da barricata che non si addice all’arcobaleno. Il Pride Piemonte lo ha voluto e scelto come simbolo del 2018 «come gesto di lotta» e sì, certo, c’è sempre bisogno di lottare per diritti continuamente messi in discussione, in posti che ancora faticano a riconoscere la semplice idea che un bambino possa avere due mamme. Tutto vero, ma resta un pugno. Anche con il revival messo in circolo dall’anniversario del 1968, anche con il tocco variopinto che si fa subito pesante su quella mano serrata.
Il movimento Lgbt ci ha abituato a guizzi brillanti, a tinte vivaci, a slogan contemporanei, a squarci di leggerezza. Quelli che servono per capire temi incredibilmente seri. È difficile abbinare questo fermento, questa spinta, a un gesto ancorato nel passato. Forte eppure limitato, inevitabilmente retrò: evoca resistenza e anche disperazione.
Dicono che vuole essere un’opposizione decisa ai tempi bui, ma per quello, per contrastare l’oscurità culturale, c’è l’arcobaleno che di solito arriva dopo la tempesta, oltre il tumulto, al posto dei pugni. Quando invece di resistere è ora di costruire.
L’anno scorso al Pride di Los Angeles si è visto il cartello con lettere glitter «Resist now. Brunch later». Ecco, l’ironia picchia più duro.
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