Cartolina di viaggio 5: guerra e pace
Di Ugo Volli
Israele è uno stato che in buona parte manca di confini giuridicamente definitivi. Lo è dal maggio 1948 quando nel governo provvisorio designato dall’organizzazione sionistica si tenne una difficile discussione sul problema se includere nella dichiarazione di indipendenza i confini ipotizzati dal progetto accettato dall’assemblea generale dell’Onu al dicembre 1947, come pretendevano gli Stati Uniti e altri paesi in bilico sul riconoscimento del nuovo Stato, o non farlo dato che gli arabi avevano rifiutato quel piano e si accingevano a invaderlo. L’opinione negativa di Ben Gurion prevalse su quella diplomatica dei suoi colleghi e Israele nacque senza definire ufficialmente i suoi confini. Le linee del cessate il fuoco risultate dopo più di un anno di durissimo conflitto diedero ragione a Ben Gurion, dato che erano più vaste e meglio difendibili di quelle dell’Onu, sia pur con il sacrificio di Gerusalemme e di luoghi storici di insediamento ebraico, da Hebron a Betlemme al Gush Etzion. Ma si trasformarono in linee armistiziali stabili solo con una serie di accordi con i paesi arabi aggressori con l’esclusione esplicita e voluta da essi di ogni valore di confine internazionale per questa “linea verde”.
Per questa ragione sbagliano fattualmente due volte quelli che vogliono limitare Israele ai “confini del ‘67”: perché non furono stabilite nel ‘67 ma nel ‘49 e persi tratta di linee di armistizio, che sospende ma non interrompe lo stato di guerra e non di confini internazionalmente riconosciuti. Dal punto di vista giuridico non c’è nessuna differenza fra le linee stabilite nel ‘49 e quelle stabilite dopo la guerra dei Sei giorni. In seguito vennero gli accordi con l’Egitto e con la Giordania, che in effetti stabilirono un confine in tutta la zona a Sud e a Est del paese, dal Mediterraneo a Eilat e di lì al Mar Morto. Resta il problema di Giudea e Samaria e resta soprattutto la questione dei confini settentrionali con il Libano e con La Siria.
Per capire almeno quest’ultimo bisogna salire al Golan e in particolare all’osservatorio del monte Bental, come ha fatto il viaggio di Informazione Corretta. Si capisce intanto il carattere strategico di queste alture, che calano ripide sul lago di Tiberiade, dando a chi le controlla la possibilità di bombardare la comunità del lago, come effettivamente avvenne continuamente per gli anni del dominio siriano. Per la pendenza inoltre esse sono difficilissime da prendere per chi viene da Sud, come accadde all’esercito israeliano nel ‘67, e danno accesso da una parte senza quasi ostacoli naturali al centro di Israele da un lato e a Damasco dall’altro. Con l’obiettivo di entrare facilmente a Tiberiade e a Haifa, decidendo così quella che conosciamo come la guerra del Kippur, la Siria nel ‘67 tentò qui un assalto con tutti i suoi carri armati, che fu bloccato dall’eroismo di un reparto israeliano molo più piccolo. E per questa ragione ha tentato in tutti i modi di rientrare in possesso di questo punto geostrategico fondamentale. Qui punta anche oggi l’Iran, usando anche i suoi mercenari di Hezbollah, che sono stati decisivi nella guerra civile siriana.
Questo dunque è il teatro decisivo in cui si prepara (o si evita) una futura guerra fra Israele e Iran: Oggi nel cielo, fra droni e cacciabombardieri. Forse anche sottoterra, riproducendo qui la tattica dei tunnel di Hamas. In futuro potrebbe essere di nuovo sul suolo. Prima della guerra civile c’era qui una forza di interposizione dell’Onu, che ai primi combattimenti si è eroicamente riposizionata in territorio israeliano. Israele li vorrebbe di nuovo nella terra di nessuno, se non altro a fare da notai; ma per ora cerca discretamente di stringere accordi con i ribelli meno pericolosi, che Assad cerca di eliminare con la collaborazione iraniana e di Hezbollah, che l’esercito israeliano contrasta con azioni che non sempre diventano pubbliche. Insomma in questo paesaggio apparentemente bucolico, con i vigneti ben regolati dalla parte israeliana e sono ogni tanto qualche rombo e sbuffo di fumo a indicare i combattimenti in corso in Siria, si svolge una guerra sotterranea e clandestina. Fino a quando Israele non solo sarà più forte ma sarà implicitamente riconosciuto come tale dai suoi nemici, questo non confine conserverà la sua tranquillità, e potranno anche continuare le azioni umanitarie con cui Israele soccorre i civili siriani. Quando si dovesse però erodere la deterrenza israeliana, quando i nemici si illudessero di poter avere qualche chance di rovesciare la situazione, questa pace si trasformerebbe in una guerra aperta, violenta e sanguinosa, estesa alle retrovie con missili e bombardamenti, che costerebbe moltissimo alla popolazione israeliana anche se risultasse vincente. Bisogna sperare che questo non accada, ma non basta. Bisogna sperare che l’esercito israeliano sia sempre più forte e temibile, perché la quiete riposa sulla sua forza.
Ugo Volli