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Di Ugo Volli Israele è piccola, ha la dimensione di una regione italiana o poco più, ma è caratterizzata da una straordinaria varietà di climi e paesaggi, fra l’alta montagna del Monte Hermon fino al mare tropicale di Eilat. Ma metà del suo territorio è occupata dal deserto, uno spazio che nell’immaginario europeo è vuoto e piatto, per definizione inutile. Anche i viaggi in Israele, sia quelli francamente turistici che quelli più politici e culturali, come questo che vi sto raccontando, hanno sempre avuto l’abitudine di ignorare lo spazio fra il Mar Morto e Eilat, con l’eccezione di pochi luoghi, come Sderot ai confini di Gaza, Beer Sheva che è ormai diventata una città numerosa, moderna e dinamica, Mitzpé Ramon per la sua straordinaria collocazione geologica.
Eppure il deserto non è affatto marginale rispetto alla geografia di Israele, ma anzi ne occupa una parte importante della superficie, non è affatto piatto e omogeneo, ma anzi spesso tormentato, collinoso, con diversissime forme e colori strutture delle superficie. Ed è tutt’altro che privo di utilità, essendo sede di industrie, basi militari e soprattutto di un’agricoltura avanzata e innovativa, che riesce a produrre vini di qualità, frutta e verdura, olio e grano anche da terreni apparentemente sterili, con temperature estreme, con pochissima acqua o con acqua salmastra, perché così è quella che si può estrarre dalle profondità del sottosuolo. I risultati sono stupefacenti e ormai visibili molto largamente. I colori bigi e gessosi del deserto sono interrotti da macchie verdi per chilometri, che non sono solo il vecchio rimboschimento di conifere, che distingue comunque a vista d’occhio il territorio israeliano dalle terre al di là del suo controllo. Sono campi di grano e di soia, alberi da frutto, spesso filari di viti. Uno dei propulsori di questa rinascita di una terra abbandonata da duemila anni, che però in passato è già stata fertile come ci mostrano i documenti storici, è il centro agronomico dell’università, poco lontano da Beer Sheva, fondato dall’italiano Giulio de Angelis, dedicato alle culture del deserto, che da decenni lavora per selezionare nuove specie resistenti alle sfide ambientali e per accompagnare gli agricoltori nel loro uso produttivo. Il viaggio di Informazione Corretta è passato da questo istituto e l’ha collegato poi, nel tempo della visita ma anche idealmente, a un passaggio al memoriale di Ben Gurion, che scelse di concludere la propria vita in un kibbutz in pieno deserto, come fecero tanti altri protagonisti del sionismo, per esempio Golda Meir e Sharon. Il fatto è che il Negev non è solo un luogo ricco di storia e di produzione, ma anche una delle dimensioni identitarie di Israele: lo spazio del misticismo e delle ispirazioni religiose e filosofiche, l’apertura all’infinito del paesaggio e della storia, la riserva d’anima, per così dire, di un paese che l’immigrazione e la crescita demografica rischiano di rendere affollato e che può essere anche claustrofobico, per via dell’odio dei nemici tutt’attorno. E’ dunque impossibile capire davvero Israele limitandosi al paese delle start up, alla vita frenetica delle grandi città e anche ai luoghi religiosi e storici più importanti. Bisogna saper ascoltare il deserto, farsi prendere dai suoi spazi solenni, dalla luce abbagliante, dalla sua straordinaria apertura.
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