Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/04/2018, a pag.2, con il titolo "L’ultimatum di Trump: 'Mosca si prepari ai missili sulla Siria' " la cronaca di Paolo Mastrolilli; con il titolo "Damasco studia le contromosse: rapire soldati Usa e droni contro Israele", il commento di Giordano Stabile.
Ecco gli articoli:
Donald Trump
Paolo Mastrolilli: "L’ultimatum di Trump: 'Mosca si prepari ai missili sulla Siria' "
Paolo Mastrolilli
«Preparati Russia, perché i missili stanno arrivando, belli, nuovi e intelligenti!». Il presidente Trump ha scelto ancora una volta Twitter, per telegrafare la sua intenzione di punire la Siria per l’attacco chimico di Douma. La Casa Bianca sta considerando un’operazione più dura e prolungata dei raid dell’anno scorso sulla base al Shayrat, e a questo scopo vuole costruire una coalizione, consultando anche l’Italia per avere appoggio politico e forse basi. I controllori dello spazio aereo europeo hanno lanciato un’allerta ai vettori commerciali, avvertendo che l’attacco potrebbe scattare nelle prossime 72 ore.
La Russia dice che le armi chimiche non sono state usate, e la strage di Douma è stata costruita ad arte dai ribelli proprio per convincere Trump a non ritirarsi. Il capo del Pentagono Mattis ha detto che «stiamo ancora valutando le informazioni di intelligence», ma il presidente è convinto che l’attacco sia avvenuto. Su questo punto decisivo ha ricevuto un assist dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha parlato di circa 500 persone curate nella zona di Douma per sintomi riconducibili all’uso delle armi chimiche. La Who non è sul terreno e le informazioni venivano dagli Health Cluster, ossia i collaboratori locali. Se gli ispettori dalla Opcw ricevessero il permesso di entrare, però, potrebbero confermarle, fornendo la giustificazione per la punizione. Fonti Onu dicono che il materiale usato sarebbe il cloro, ma c’è anche il sospetto del gas nervino sarin.
Sulla base di queste informazioni, gli Usa stanno costruendo una coalizione disposta ad intervenire, dato che il Palazzo di Vetro è paralizzato dal veto russo. Una fonte della Casa Bianca ha detto a «La Stampa»: «Ci stiano consultando intensamente con gli alleati europei e regionali». Un autorevole membro del Consiglio di Sicurezza ha aggiunto: «Sono in corso molte consultazioni ufficiali tra gli alleati europei, e ciò include ovviamente l’Italia, partner molto importante, e molto vicino a Gran Bretagna, Francia e Germania». Due giorni fa Trump ha ricevuto alla Casa Bianca l’emiro del Qatar al Thani, disposto a sostenere l’intervento nonostante le tensioni con l’Arabia Saudita, perché ha sempre avversato Assad.
L’intenzione di Washington sarebbe condurre un’operazione più ampia dei 59 missili Tomahawk lanciati sulla base al Shayrat dopo il bombardamento chimico di Khan Sheikoun. Quel raid chirurgico, ordinato dopo aver avvertito i russi per evitare incidenti, non è bastato ad intimidire Assad, e quindi ripeterlo darebbe un segnale di debolezza e scarsa credibilità. L’ipotesi a cui si lavora è invece quella di una campagna che potrebbe durare qualche giorno, colpendo diversi obiettivi per rendere impossibile al regime la ripetizione dell’uso delle armi chimiche. Al momento il Pentagono ha in zona le cacciatorpediniere Cook e Porter, armate con due dozzine di Tomahawk, la nave anfibia dei Marines New York, sottomarini della categoria Ohio, e gli aerei F22 di stanza nella base al Udeid del Qatar. La portaerei Truman è salpata per il Mediterraneo, e potrebbe intervenire in una operazione prolungata. Otto Tornado britannici sono pronti nella base Akrotiri di Cipro, mentre anche la Francia è decisa a collaborare con le sue unità.
Temendo l’attacco, Damasco sta spostando i suoi aerei ed elicotteri a Latakia, la base controllata dai russi, nella convinzione che Washington non la prenderà di mira per evitare un incidente con Mosca che potrebbe provocare un conflitto più ampio. Nel frattempo undici unità russe, incluso un sottomarino, hanno lasciato il porto di Tartus, forse in previsione dei raid. I responsabili del controllo dello spazio aereo europeo hanno lanciato un’allerta alle compagnie commerciali, avvertendo di possibili operazioni militari nelle prossime 72 ore.
Fonti della coalizione dicono che l’intervento, per essere efficace, dovrebbe scattare al più presto possibile, ma la televisione Cnn ha riportato che il tweet di Trump non era l’annuncio di una decisione già presa. Il problema poi sarebbe cosa fare dopo. Il capo della Casa Bianca ha detto in passato che non vuole un impegno di lungo termine in Siria, ma serve una strategia per evitare l’allargamento del conflitto, e trasformare il raid in una opportunità per stabilizzare il Paese.
Giordano Stabile: "Damasco studia le contromosse: rapire soldati Usa e droni contro Israele"
Giordano Stabile
Americani e russi duellano a colpi di tweet e dichiarazioni ma la reazione ai raid americani potrebbe arrivare dall’Iran e trascinare la Siria in una guerra aperta con Israele, tanto che ieri Vladimir Putin ha chiesto a Netanyahu di «non intervenire». Le forze di Bashar al-Assad e i consiglieri iraniani hanno continuato i loro spostamenti verso le basi russe meglio protette. E sono proprio questi movimenti a dare le indicazioni sul duello fra le due superpotenze e fra i loro alleati regionali.
Oltre a essersi svuotati di aerei civili, i cieli siriani si sono svuotati anche di quelli militari. I jet e gli elicotteri d’assalto siriani sono stati spostati dalle basi nel centro del Paese a quelle russe vicino a Tartus e Lattakia. Mosca, e soprattutto Teheran, temono un’ondata di raid prolungata, in grado di annientare le forze aeree siriane e iraniane. Per questo l’ambasciatore russo in Libano, Alexander Zasypkin, ha avvertito ieri mattina sulla tv di Hezbollah Al-Manar che «se gli americani colpiscono, noi colpiremo le basi di lancio dei missili», navi e sottomarini.
I media vicini al regime, come Al-Masdar, riferiscono che sono arrivati nelle basi russe alcuni Su-35 dotati di missili antinave Kh35. Ma è il fronte sciita in questo momento che spinge più di Mosca per il confronto aperto. Dopo le minacce a Israele arrivate dal consigliere di Ali Khamenei, Ali Akhbar Velayati, ieri è toccato all’imam iracheno Moqtada al-Sadr, che ha avvertito: «Non resteremo con le mani in mano se i nostri luoghi santi in Siria saranno minacciati». Vicino a Damasco c’è il santuario di Sayyida Zeinab. La sua difesa è stata una delle ragioni, e neanche l’ultima, dell’intervento prima di Hezbollah e poi delle milizie sciite irachene. Le stesse milizie hanno già minacciato di rappresaglie i soldati americani in Iraq, e anche nel Nord-Est della Siria, in caso di attacco americano. Washington teme soprattutto agguati con mine improvvisate, imboscate, sequestri.
I soldati rapiti potrebbero essere usati come mezzo di pressione ma l’Iran ha altri strumenti di rappresaglia. In Siria, oltre a quattromila consiglieri dell’unità d’élite Al-Quds, ha trasferito una flotta di droni sempre più pericolosi. Erano l’obiettivo del raid israeliano di lunedì, sulla base T4. Nel bombardamento è morto anche il comandante, Hamed Rezaei. Rezaei aveva rafforzato il dispositivo in maniera impressionante. L’Intelligence israeliana, con l’aiuto dei satelliti, ha individuato nuovi velivoli, compresi il Mohajer, con un’apertura alare di 5 metri, e il Saegheh, capace di lanciare missili guidati.
Velayati, ieri in visita nella Ghouta orientale appena riconquistata, ha minacciato di vendicare il «crimine israeliano». Lo Stato ebraico lo ha preso sul serio, teme un blitz con i droni e ha reagito con estrema decisione. «Il regime di Assad e lui stesso spariranno dalle mappe se gli iraniani tenteranno di colpire Israele dal territorio siriano», hanno avvertito i vertici militari. «Non metteteci alla prova», ha aggiunto il premier. Putin ha chiamato Netanyahu e lo ha invitato a «non agire». Lo stesso raiss, secondo media arabi del Golfo, è in fuga verso un bunker segreto, anche se va detto che non ha mai lasciato Damasco, neppure quando i colpi di mortai dei ribelli cadevano accanto al palazzo presidenziale.
L’attacco americano potrebbe quindi innescare una sotto-guerra, condotta da Israele per smantellare la presenza iraniana e impedire che la Siria diventi la «base logistica» di Teheran. Anche perché il blitz è destinato a seppellire l’accordo sul nucleare firmato da Barack Obama e inviso a Donald Trump quanto a Netanyahu. Una nuova ondata di sanzioni, sperano gli israeliani, metterebbe in ginocchio l’economia iraniana, già scossa dai venti di guerra, con il rial, la moneta locale, che si è svalutata del 20%, e la gente che fa incetta di oro, dollari e persino Bitcoin.
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