Ecco gli articoli:
Donald Trump
LA STAMPA - Leonardo Martinelli: "Macron: 'Agiremo con inglesi e americani'. Nel mirino i laboratori di armi chimiche"
Leonardo Martinelli
La decisione arriverà «nei prossimi giorni». Non sembra esitare Emmanuel Macron sulla Siria. E sulla possibilità di realizzare blitz aerei contro Bashar al-Assad, accusato di aver fatto ricorso alle armi chimiche nella Ghouta. Il presidente francese lo ha detto ieri sera. E quella decisione, ha assicurato, sarà presa con gli Stati Uniti e il Regno Unito.
La situazione ricorda in parte quella dell’agosto 2013, quando Parigi e Washington erano pronte ad attaccare il dittatore siriano: il problema era lo stesso, le armi chimiche utilizzate ancora lì, nella Ghouta. Ma Barack Obama aveva temporeggiato, per poi rinunciare. E François Hollande si era adeguato: niente da fare. Oggi, invece, Emmanuel Macron e Donald Trump sembrano decisi. E il presidente francese l’ha già fatto capire a più riprese: se necessario, potrebbe agire anche da solo. Un’altra differenza con l’agosto 2013. Ma il problema aggiuntivo e non di poco conto, è la presenza russa accanto ad Assad, oggi molto più forte di allora, con sistemi antiaerei del tipo S-300 e S-400, che coprono praticamente tutta la Siria. Ecco, ieri sera Macron non se ne è dimenticato. Ha detto che, se si deciderà di colpire, «prenderemo di mira le capacità chimiche del regime» e in nessun caso «i suoi alleati»: ovvero i russi e gli iraniani. «La Francia - ha assicurato - non vuole alcuna escalation».
Macron e Trump si sono già sentiti al telefono due volte da domenica, il giorno dei presunti attacchi e hanno scambiato informazioni di intelligente. E già ieri mattina Benjamin Griveaux, portavoce del Governo francese, aveva sintetizzato la posizione dei due: «Se in Siria la linea rossa è superata, ci sarà una risposta comune». Cos’è questa linea rossa? «Esiste in proposito un accordo tra i francesi e gli americani dall’estate scorsa - osserva Bruno Tertrais, della Fondazione per la ricerca strategica di Parigi -: la linea rossa coincide con la morte di civili a causa delle armi chimiche». La soglia è stata davvero oltrepassata? «Lo scambio d’informazioni fra Macron e Trump conferma a priori l’uso di quelle armi», ha detto ieri Griveaux, aggiungendo che «stiamo proseguendo con le indagini». «Se Macron e Trump - spiega Tertrais - aspettano, è perché vogliono mettere insieme una coalizione, in particolare con il Regno Unito, ma forse anche con altri Paesi alleati della Nato o arabi». Ieri Macron è intervenuto accanto a Mohammed bin Salman, principe ereditario saudita, in visita a Parigi (all’incontro anche il premier libanese Saad Hariri) che ha promesso l’aiuto di Riad. Le forze aeree saudite, però, sono ridotte. E già impegnate nello Yemen. Potrebbe esserci la britannica May che ha avuto un colloquio telefonico con Trump.
Ma dal punto di vista operativo, come agiranno i francesi? Potrebbero essere utilizzati gli aerei Rafale, armati di missili da crociera Scalp, con una portata di oltre 250 km, così da attaccare la Siria da fuori, evitando di sorvolarne il territorio (e senza che i caccia interagiscano direttamente con la contraerei russa). Potrebbero decollare da due basi sulle quali i francesi possono contare nell’area, in Giordania e negli Emirati Arabi Uniti. Ma non si esclude anche che possano partire dalla Francia. Questo comporterebbe rifornimenti di carburante in volo. Ma fonti militari francesi dicono che questo « consentirebbe più discrezione: nessuno vedrebbe cosa stiamo preparando». Le stesse fonti sottolineano che «la Francia dispone in permanenza di una fregata di primo rango nel Mediterraneo orientale», una questione sulla quale in genere a Parigi stanno sempre con le bocche cucite. Si tratterebbe di una fregata Fremm (multi-missione), dotata di missili da crociera navali (MdCN), con gittate di parecchie centinaia di chilometri.
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "L’alleanza anti Assad di Trump & Co."
Daniele Raineri
Roma. Il presidente americano, Donald Trump, ha annullato il viaggio in Sud America che a partire da venerdì doveva portarlo a Lima in Perù e a Bogotà in Colombia per seguire la crisi in Siria, e anche il capo della Difesa, Jim Mattis, ha annullato i suoi viaggi. Questa coincidenza indica la possibilità molto alta di una rappresaglia militare nei prossimi giorni o già nelle prossime ore da parte dell’America e di alcuni alleati contro la Siria di Bashar el Assad – che potrebbe essere più incisiva di quella dell’aprile 2017 quando tutto si consumò in una notte con una bordata di missili cruise contro un aeroporto militare già semi-evacuato. La Francia è già della partita, il Regno Unito ha messo in allerta la sua base nel sud dell’isola di Cipro e pure l’Arabia Saudita ha detto di essere impegnata in colloqui con i suoi alleati “per decidere assieme una rappresaglia per la strage con armi chimiche a Duma”. Si è creata una coalizione di paesi che si sta prendendo carico di un possibile intervento e c’è un punto da sottolineare. Nessuno parla della necessità di un regime change a Damasco, quindi della volontà di cacciare “Animal Assad” (come l’ha chiamato Trump in un tweet) dal suo posto – si parla piuttosto della necessità di azzerare l’uso delle armi chimiche, dopo tre stragi con molte vittime e altri e più numerosi attacchi troppo piccoli per superare la soglia dell’attenzione mondiale. Anche il governo siriano legge molto bene la concretezza dell’azione militare in arrivo e tenta di reagire in due modi. Sposta i suoi aerei da guerra nella base di Latakia, che è quella data al corpo di spedizione russo e protetta dai sistemi di difesa gestiti dai russi, nella speranza ben riposta che i raid americani si tengano al largo da quel sito, e ne sposta altri all’aeroporto internazionale di Damasco, nella speranza che sia considerato come un sito civile e non militare, ancorché usato molto spesso per gli spostamenti di materiale bellico e soldati dell’Iran. Il secondo modo di reagire da parte dei siriani è diplomatico: hanno invitato con effetto immediato una missione dell’Organiz - zazione internazionale per la proibizione delle armi chimiche (Opcw). Si tratta di una missione cosiddetta fact-finding (OpcwFfm), vuol dire che si occuperà di accertare se è stata usata un’arma chimica, il che sarebbe un passo avanti visto che fra le versioni contraddittorie accampate dal governo siriano e dallo sponsor russo c’è che i ribelli si sono autoinflitti l’attacco chimico ma anche che non c’è stato alcun attacco chimico. Ma la missione più importante sarà soltanto la successiva, quella di tipo Opcw-Jim, dove Jim sta per Joint investigative mechanism, che si occupa di stabilire chi ha usato l’arma chimica. Si tratta di una mossa cinica per prendere tempo. Ci vorranno mesi per la squadra di tecnici internazionale per presentare le conclusioni e quando succederà la Siria e la Russia semplicemente le ignoreranno, con il vantaggio di avere guadagnato tempo. Alla fine di ottobre 2017 la missione Opcw-Jim che ha indagato sulla strage con armi chimiche di Khan Sheikhoun ha stabilito che la responsabilità è del governo siriano: una conclusione che misteriosamente è ignorata da tutti ancora oggi in favore di non meglio specificate teorie alternative. A novembre la Russia con un veto al Consiglio di sicurezza ha bloccato il rinnovo per un altro anno della commissione d’inchiesta dell’Opcw sulle stragi con armi chimiche in Siria e di fatto l’ha eliminata. Il risultato paradossale è che in Siria ci sono ancora stragi con armi chimiche ma la commissione d’inchiesta non c’è più. Così adesso il governo siriano, proprio come aveva precipitosamente aderito alla Opcw nel settembre 2013 quando temeva i raid aerei dell’Amministrazione Obama dopo il massacro di 1.400 civili con il sarin alla periferia di Damasco (salvo invece nascondere scorte di armi chimiche), chiede una nuova missione Opcw per una nuova strage. Se questa diversione diplomatica riuscisse, per la Russia e la Siria sarebbe molto più efficace della minaccia di un confronto militare diretto contro l’America. Gli aerei russi effettuano sorvoli aggressivi a bassissima quota sopra le navi americane in avvicinamento, ma ci sono ragionevoli dubbi sul fatto che accetterebbero il confronto. Quando a inizio febbraio una compagnia di mercenari russi è stata colpita dall’aviazione americana vicino Deir Ezzor e ha subito “decine di vittime”, il governo russo ha insabbiato la faccenda: in pratica non ha reagito.
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