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Che c’è da ridere? O da scandalizzarsi? A destra: carciofi alla giudia Cari amici, Perché se n’è parlato? Perché, a guardare i titoli, gli ebrei avrebbero deciso di improvviso che i carciofi non si debbano mangiare. Se si approfondisce un po’ l’articolo, si scopre che non si tratta di tutti i carciofi, ma di quelli appunto cotti “alla giudìa” (che sembrerebbe una belle contraddizione. E inoltre che la proibizione verrebbe dai rabbini di Gerusalemme, ma sarebbe rifiutata a Roma. Il tutto fa il paio con un altro articolo, probabilmente della stessa fonte scandalistica e poco seria, che qualche settimana fa aveva parlato di guardie armate negli ospedali israeliani che impedivano di introdurvi nientedimeno che il pane. Il tutto, naturalmente, dà l’impressione piuttosto antisemita di una cultura ebraica fanatica e medievale, comunque abitata da irragionevoli proibizioni. Mi sembra necessario chiarire. Il primo dato è che praticamente tutte le culture seguono delle interdizioni alimentari. Se siete indù non mangiate bovini, se siete musulmani, rifiutate il maiale e anche l’alcol, se siete giainisti o di alcune correnti buddhiste, dovete limitarvi a cibi vegetali. Se siete italiani probabilmente vi fanno schifo larve di insetti, serpenti, ragni, cani e gatti tutta roba ricca di proteine che in altre parti del mondo sono ghiottonerie. Se siete ebrei, rifiutare maiali, conigli, cavalli, cani e gatti, crostacei, anguille, vermi ecc. La maggior parte di queste interdizioni sono attribuite alla sfera del religioso (ma non sempre, non quelle italiane che ho citato). Sempre alle religioni sono attribuite giornate di digiuno, l’interdizione di alcuni cibi in alcuni giorni (il cibo di magro del venerdì nel cattolicesimo d’antan, la quaresima rigorosa di armeni e copti e anche la proibizione di cibi lievitati (fra cui sì, pane, pasta, birra, whisky) per gli ebrei durante la settimana della Pasqua ebraica (Pesach). Nell’ebraismo le regole sono abbastanza complicate, per cui la tradizione attribuisce ai rabbini (che sono esperti religiosi, non sacerdoti) o a specialisti da loro delegati, la sorveglianza di queste regole. I cibi che li soddisfano e i locali che li servono ricevono, nella logica del sistema industriale moderno, dei certificati e la possibilità di usare il marchio “kasher”, una parola che significa “adatto” (all’alimentazione). Sempre in questa logica non si guarda tanto ai prodotti, ma ai processi, alla garanzia che essi escludano commistioni con alimenti proibiti. E’ lo stesso sistema che seguono gli organismi di sorveglianza pubblici per evitare contaminazione degli alimenti industriali con sostanze non commestibili o infette. Aggiungo infine che questi sistemi di certificazione “kasher” sono svariati, con diversi livelli di sensibilità a seconda delle tradizioni, ma per lo più hanno base locale. Gli ebrei di Parigi si basano su certificati che in definitiva si basano sull’autorità dei rabbini di Parigi, quelli di Roma sui rabbini locali. C’è una certa prevalenza nel mondo ebraico contemporaneo per le decisioni che vengono prese a Gerusalemme, semplicemente perché in Israele c’è la più grande concentrazione di ebrei, ma non esiste un “papa” ebraico, ogni comunità è libera di regolarsi come crede. Cos’è successo dunque? Che un rappresentante dei rabbini di Gerusalemme ha deciso che nel processo di preparazione dei carciofi alla giudìa, che vengono cotti interi non vi sono garanzie sufficienti che non vi si trovino dei vermetti e dunque li ha dichiarati non kasher. Il che non significa che ne abbia proibito l’importazione, perché in primo luogo un rabbino non è un doganiere e in secondo luogo non ha il minimo senso importare in un paese a tremila chilometri di distanza dei cibi cotti che vanno mangiati belli caldi e freschi, perché non perdano croccantezza. Molto probabilmente avrà proibito (religiosamente, non penalmente) che questo piatto fosse preparato nei ristoranti israeliani che vogliono il certificato di cibo kasher, imitato in questo da altre comunità che hanno scelto di adeguarsi alle sue scelte. Quella di Roma non l’ha fatto, perché si fida delle tecniche di lavaggio e preparazione adottate dai locali kasher romani: si tratta di una tradizione alimentare antica, che è sempre stata accettata. La proibizione comunque non riguarda i carciofi ma i vermetti che possono abitarvi. E l’interdizione dei verbi non è affatto nuova, è contenuta a chiare lettere nella Bibbia. Se volete dettagli, leggete per esempio il capitolo 11 del libro del Levitico. C’è qualcosa di bizzarro o comico in questo? Non più della lista delle possibili contaminazione di sostanze che possono provocare allergie che trovate per legge su qualunque scatola di cibo: vi si rivela se nei biscottini che avete comprato possono esserci tracce di nocciole o di fragole, perché voi potreste non volerne consumare. Nessuno vi obbliga a non mangiare biscotti con tracce di soia né carciofi che potrebbero forse contenere larve di insetti. Se siete indifferenti a queste cose, la vostra libertà non è toccata. Se invece credete che non si debbano assolutamente mangiare vermi e appartenete ai fedeli del rabbinato di Gerusalemme (o degli altri che si sono adeguati), rinuncerete ai carciofi alla giudìa. In fondo, se la pensate così, rinunciate già al prosciutto di San Daniele, alla carbonara, al coniglio alla ligure, all’arrosto al latte, al pane durante Pesach... Vi assicuro per esperienza personale che si vive benissimo facendone a meno. E vi faccio presente che non esiste nessuna ragione di scandalo o di ridicolo. Salvo che si vuole una bella società comunista dura e pura come quella di 1984 o della rivoluzione culturale cinese, in cui tutti si vestono alla stessa maniera, pensano le stesse cose e per quanto riguarda il nostro argomento mangiano anche tutti la stessa cosa, “quel che passa il convento”.
PS: La cucina è bricolage, come tutta la cultura, secondo Lévi Strauss: si parte dagli elementi disponibili e si cerca con essi di raggiungere lo scopo superando gli ostacoli. E’ un’arte che gli ebrei, pochi, isolati, spesso perseguitati in mezzo a popolazioni che li incatenavano con “interdizioni giudaiche”, per dirla con Cattaneo, conoscono molto bene. A consolazione di chi compiange i poveri ebrei romani, presunte vittime della rigidezza rabbinica, vi voglio far sapere che c’è già qualche ristoratore che è riuscito a preparare i carciofi alla giudìa, lavati foglia per foglia, e dunque kasher, e poi “ricomposti”: buoni come gli altri! (https://www.facebook.com/baghettomilano/photos/a.364556884028367.1073741828. |
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