Riprendiamo oggi 10/04/2018, dal GIORNALE a pag. 12, con il titolo "Otto missili, l'aria diventa bollente, Salman e i sunniti con l'Occidente" il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 3, con il titolo "Trump pronto a colpire il Raiss. Raid mirati o distruggere l’aviazione", "Attaccare Damasco per indebolire l’Iran. Così il falco Bolton studia l’offensiva", due commenti di Paolo Mastrolilli; dal FOGLIO a pag. 1, con il titolo "Niente giustificazioni per 'Animal Assad' " l'analisi di Daniele Raineri.
Ecco gli articoli:
Il Giornale - Fiamma Nirenstein: "Otto missili, l'aria diventa bollente, Salman e i sunniti con l'Occidente"
Fiamma Nirenstein
Ci sono voluti due jet fighter F15 (probabilmente e «secondo fonti straniere», Israele tace) e i loro otto missili sparati all'alba perché, almeno per una parte, il macellaio Assad ricevesse una sventola dopo le sue stragi di bambini. All'inizio tutti hanno parlato di reazione americana, dato che Trump aveva fatto la voce grossa; poi si è suggerito che fosse stata la Francia. Ma mentre Onu e Ue si riempivano di esclamazioni di orrore e gli schermi tv delle immagini di quei bambini piccolissimi in preda alle sofferenze del gas che in molti casi li ha portati alla morte, diventava chiaro che né la Francia né gli Usa avevano agito. E c'è da credere alla smentita di Trump: avrebbe avuto tutto l'interesse a contraddire la sua inutile dichiarazione sulla decisione di lasciare la Siria, che poi si è rimangiata. Invece il gesto valoroso l'ha compiuto Israele, da solo, per necessità e per scelta. Non è certo stato solo perché il rabbino capo Ytzhak Yossef aveva detto domenica dopo le stragi: «È un genocidio di donne e bambini. Gli ebrei hanno fatto esperienza del genocidio subito. Abbiamo l'obbligo morale di non restare in silenzio e di provare a fermare il massacro». Questa sensazione è importante per un popolo che ha sofferto l'inverosimile strage degli innocenti della Shoah e il cui giorno della memoria si celebra giovedì prossimo. Ma è l'intera situazione geopolitica dell'area che viola tutte le linee rosse morali e strategiche che lo Stato ebraico si può permettere e mette a rischio la sua sicurezza. Israele ha già colpito più volte la Siria dal 2007, quando distrusse il reattore atomico in costruzione. L'aeroporto T4 è quello già colpito due mesi fa quando un drone iraniano molto sofisticato ha violato il suo spazio aereo. Poteva contenere una macchina fotografica, una bomba, del gas nervino. Di certo c'erano oltre ai siriani cinque iraniani, uccisi nel raid. L'Iran vi esercita il suo potere su intensivi traffici bellici. L'aeroporto è diventato il maggiore punto di passaggio: le armi in buona parte sono dirette nelle mani dei Hezbollah che minacciano Israele dal LIbano, ma anche da nuove basi sul Golan siriano. Gli iraniani sono protetti dalla Russia e sicuri quindi di godere di uno scudo invincibile: la Siria è una base indispensabile per minacciare Israele e garantire la propria espansione in tutto il Medio Oriente, prima di tutto in Irak e in Yemen. Le stragi di Assad fanno poco effetto ai russi, Putin ha fatto della Siria la base della sua supremazia in Medio Oriente, un chiaro segnale di vittoria sugli Stati Uniti, falliti da quando Obama dopo la sua solenne «linea rossa» sulle armi chimiche, voltò le spalle fuggendo. Stavolta la situazione è diversa. Israele rischia grosso: la Russia, che non aveva mai reagito, stavolta lo ha fatto, e Lavrov, il ministro degli Esteri, ha classificato il gesto come «un'azione pericolosa». Attenzione, dice Mosca, il nostro delicato rapporto per cui Netanyahu ha libero accesso a Putin può saltare: volete confrontarvi con noi? Non violate le regole del gioco. Gli aerei russi potrebbero rispondere al fuoco. La Russia vuole rispetto per la sua scelta su Ankara, ha fatto di iraniani e turchi il proprio asse mediorientale. Una scelta sovietica che oggi è sfidata non dagli Usa quanto da Mohammad bin Salman, il saudita che osa dire che «Khamenei è l'Hitler dei nostri tempi» e che ogni attacco terrorista alla fine porta la firma della Fratellanza Musulmana. Curioso, ma oggi Israele ha come alleati i musulmani sunniti di Egitto, Giordania, Golfo... Trump forse ripensa al suo annunciato ritiro dal campo. L'aria si scalda.
LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Trump pronto a colpire il Raiss. Raid mirati o distruggere l’aviazione"
Paolo Mastrolilli
«Prenderemo una decisione nelle prossime 24 o 48 ore. Forse entro la fine della giornata di oggi. Ma non possiamo consentire atrocità come questa. Stiamo parlando dell’umanità, non possiamo permetterle». Parlando così all’inizio della riunione di gabinetto tenuta ieri mattina alla Casa Bianca, il presidente Trump ha lasciato pochi dubbi sulla sua volontà di colpire la Siria, dopo l’attacco chimico di Douma. L’unica incertezza sembra riguardare la dimensione dei raid, cioè limitata allo scopo di punire l’ultima strage, oppure finalizzata a cambiare la linea politica sul futuro del Paese, favorendo la caduta del regime di Assad e frenando le ambizioni di Russia e Iran nel Paese.
Ieri mattina Trump ha riunito i suoi ministri, ed è stato molto diretto: «Vorrei cominciare condannando il vergognoso attacco contro siriani innocenti con armi chimiche. È stato atroce. Orribile. Un atto barbarico». Il presidente ha denunciato che Damasco e Mosca stanno impedendo l’accesso agli investigatori, ma non ha dubbi sull’uso delle armi chimiche. Poco dopo la portavoce Sanders ha confermato che ha ricevuto la prova da militari e intelligence. Quindi il presidente ha puntato il dito verso i presunti responsabili: «Se è stata la Russia, la Siria, l’Iran tutti loro insieme, lo capiremo presto». Rispondendo a una domanda sul coinvolgimento di Putin, non lo ha escluso: «Potrebbe essere responsabile. E se lo è stato, sarà molto dura. Molto dura. Ognuno pagherà un prezzo. Lui lo pagherà. Tutti lo faranno».
Poco dopo il vertice del gabinetto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito su richiesta degli Usa per discutere la crisi. La Russia ha negato l’attacco, dicendo che «è stato falso». L’ambasciatrice Haley lo ha condannato duramente, e ha chiesto una inchiesta internazionale indipendente immediata. L’obiettivo del suo sfogo era Mosca, per due motivi. Primo, la Russia era garante del disarmo siriano in base all’accordo del 2013, e se Assad ha conservato armi chimiche la colpa è sua. Secondo, il Cremlino ha approvato la recente risoluzione sulla tregua in Siria, ma ha bloccato col veto ogni altra iniziativa, smantellando a novembre il meccanismo di inchiesta Jim. Un altro stop in Consiglio all’indagine su Douma chiuderebbe la porta a qualunque iniziativa multilaterale, giustificando un raid condotto dagli Usa, magari con l’assistenza di Francia e Gran Bretagna.
Le ragioni per agire sono chiare, oltre a quelle espresse pubblicamente da Trump. Il presidente la settimana scorsa aveva detto di volersi ritirare, perché la missione contro l’Isis è quasi terminata, ma non agire ora darebbe un grave segnale di debolezza a Russia, Iran, e anche alla Corea del Nord. Una motivazione forte, condivisa dal nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton, è attaccare Assad anche per colpire i suoi alleati a Teheran. I frenatori invece avvertono che i raid, pur se diretti contro Assad, potrebbero generare una nuova ondata di anti-americanismo capace di riunificare e rivitalizzare i terroristi, proprio mentre il Califfato è avviato alla sconfitta.
In serata Trump ha riunito il Consiglio per la Sicurezza nazionale e i militari, per studiare le opzioni. La Sesta Flotta ha due lanciamissili della classe Arleigh Burke schierate nel Mediterraneo, che potrebbero lanciare Tomahawk nel giro di poche ore. Poi ci sono gli aerei che proteggono i circa 2000 soldati delle forze speciali impegnati sul terreno in Siria. Se il presidente darà il via libera, si tratta di decidere la dimensione dell’intervento. La prima ipotesi è un raid punitivo come quello lanciato un anno fa contro la pista di Al-Shayrat, per colpire la base da dove è partito l’assalto chimico e distruggere gli elicotteri impiegati. Le alternative sono attacchi multipli contro l’intera aviazione di Damasco, le basi militari intorno alla capitale, le aree sottratte ai ribelli. Questo però comporterebbe non solo il rischio di una reazione di Mosca, ma un cambio di linea. Trump passerebbe dai piani per il ritiro, a quelli per il cambio di regime, con un impegno di lungo termine sul terreno.
LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Attaccare Damasco per indebolire l’Iran. Così il falco Bolton studia l’offensiva"
John Bolton è il Consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, ma i media italiani continuano a definirlo un "falco". Oggi non fa eccezione la Stampa, con un titolo che non le fa onore.
Ecco il pezzo:
John Bolton
John Bolton ha preso servizio ieri alla Casa Bianca come consigliere per la Sicurezza nazionale, e subito si è trovato davanti al dilemma di cosa fare in Siria. Nel 2013 l’ex ambasciatore all’Onu dell’amministrazione Bush aveva sconsigliato a Obama di intervenire, dopo il primo attacco con le armi chimiche, ma nel 2015 in un editoriale aveva proposto di sconfiggere l’Isis creando un nuovo Stato sunnita nel Nord del Paese, cosa che avrebbe richiesto un impegno americano sul terreno, aggiungendo che la permanenza di Assad al potere non era nell’interesse di Washington. All’inizio di marzo, prima di essere nominato, aveva giustificato nuovi raid sulla Siria. Un elemento che potrebbe risolvere il suo dilemma è l’opposizione a Teheran, dove ha spesso sostenuto il cambio di regime. Bolton ha detto che la Siria è un problema secondario: quello centrale è il suo alleato iraniano, deciso a creare un’area di influenza fino al Mediterraneo. Quindi potrebbe suggerire che intervenire contro Assad sarebbe un passo utile anche per contrastare gli ayatollah.
Il Foglio - Daniele Raineri: "Niente giustificazioni per 'Animal Assad' "
Daniele Raineri
Roma. All’ottavo anno di guerra civile non potrebbe essere più chiaro di così: nessuno pensa a un regime change in Siria per cacciare il presidente Bashar el Assad. Chiunque avesse voluto provarci avrebbe potuto sfruttare le occasioni offerte dagli sconvolgimenti e dalle atrocità nei sette anni precedenti. E’ vero invece l’opposto: ormai tutti i leader più importanti del mondo pensano che Assad resterà al suo posto. Il presidente Donald Trump vuole ritirare i soldati americani dalla Siria – e comunque quei soldati stanno nella parte di Siria controllata dai curdi, che sono nemici dei ribelli colpiti con le armi chimiche. Il presidente russo Vladimir Putin è un grande alleato di Assad. L’Unione europea tratta sottobanco con il rais siriano. Il principe saudita Bin Salman ammette nelle interviste che Assad sarà presidente a Damasco ancora a lungo. Parlare di un’operazione “false flag”, quindi di un bombardamento con armi chimiche compiuto da una mano non meglio specificata per far ricadere la colpa sul governo siriano e così manipolare l’opinione pubblica verso il regime change, non ha davvero senso. A farlo sono rimasti soltanto i complottisti fanatici separati dalla realtà e le agenzie di stampa delle capitali direttamente interessate, Mosca e Damasco, ovviamente per deflettere le responsabilità. Ma per loro è sempre così dopo ogni attacco grave con armi chimiche in Siria (o in Inghilterra). Nell’agosto 2013 dissero che la strage nella Ghouta era stata un’operazione false flag. Nell’aprile 2017 insinuarono che la strage di Khan Sheikhoun fosse una false flag. Adesso sostengono di nuovo la teoria dell’operazione false flag. A parte questi tentativi dolosi di offuscare i fatti, nei tre giorni passati tra l’attacco che sabato sera a Duma ha ucciso cinquanta civili e oggi sono uscite notizie significative. Ecco quali. Trump si è dato una finestra di 24-48 ore per prendere una decisione su come reagire e ha detto che ci sarà “un grande prezzo da pagare per questo attacco”. “Se sono stati i russi, la Siria, l’Iran, o tutti e tre assieme, lo scopriremo. Tutti pagheranno un prezzo”. Nell’aprile 2017 dopo il bombardamento chimico sul villaggio siriano di Khan Sheikhoun ordinò il lancio di una salva di missili Cruise contro la base da dove era partito l’aereo che aveva sganciato il sarin. La rappresaglia uccise sei soldati, risparmiò intenzionalmente la struttura di potere che regge “Animal Assad” e non cambiò il corso della guerra civile. Ieri fonti del governo americano hanno detto che secondo i primi accertamenti sulla strage di Duma si tratta di nuovo di agente sarin. E’ sta - to anche il primo giorno alla Casa Bianca per John Bolton, il nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale che ha fama di essere un falco spiccio e favorevole agli interventi militari. Israele ieri notte ha colpito per la terza volta la base militare T-4, nel deserto vicino Palmira, e ha ucciso quindici soldati di cui quattro iraniani. Questo raid non c’entra con il massacro di Duma, fa parte di una lunga serie di bombardamenti cominciata nel 2013, ma è possibile che gli iraniani in Siria stessero trasferendo materiale prezioso in previsione di un possibile attacco americano, che si siano in qualche modo esposti e che gli israeliani abbiano approfittato dell’opportunità per colpirli. Per farlo gli aerei hanno bucato le difese aeree della Siria, gestite dalla Russia, proprio mentre in teoria erano in massima allerta. Era dal 10 febbraio, quando un jet israeliano fu abbattuto dopo un raid sulla stessa base, che Gerusalemme non lanciava attacchi aerei in Siria e questa volta sembra che gli aerei israeliani si siano limitati a lanciare missili cruise da sopra il confine libanese, senza entrare e senza esporsi troppo. Il ministro israeliano per la Sicurezza, Gilad Erdan, ha detto che “Assad è l’angelo della morte e il mondo starebbe meglio senza di lui” e ha invitato i governi occidentali a punirlo con durezza. L’atteggiamento di neutralità distaccata tenuto da Israele nei primi anni della guerra in Siria è ormai un ricordo. La Russia ha cambiato posizione sui continui bombardamenti di Israele in Siria. Ieri mattina per la prima volta il ministero della Difesa russo ha identificato con un rapporto esplicito e dettagliato il bombardamento israeliano. Israele colpisce con frequenza le installazioni militari iraniane in Siria e ha compiuto più di cento raid a partire dal 2013, ma finora la Russia aveva evitato di dirlo per mantenere una certa ambiguità che conviene a tutti, anche all’Iran e a Damasco. Ora l’am - biguità è finita e il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha dichiarato che il bombardamento israeliano sulla T-4 “è uno sviluppo molto pericoloso”. Se Israele pensava che la Russia avrebbe agito come un cuscinetto per prevenire una guerra con l’Iran in Siria deve ricredersi. Infine, il giorno dopo la strage con armi chimiche i ribelli asserragliati dentro Duma hanno accettato la resa, hanno rilasciato centinaia di ostaggi e hanno accettato un trasferimento a nord. Erano seimila, con decine di pezzi di artiglieria. In un altro sobborgo di Damasco, a Darayya, meno di mille ribelli resistettero per più di tre anni. Il prezzo da pagare dall’esercito siriano per espugnare Duma sarebbe stato molto alto, con buona pace di chi sostiene che “non c’era un motivo tattico di usare le armi chimiche”. L’accordo di capitolazione inoltre è stato raggiunto soltanto grazie ai mediatori russi. Con l’attacco chimico di Duma il governo siriano ha infierito sugli assediati, ha galvanizzato i suoi sostenitori e ha messo la firma siriana – e non russa – sulla resa dell’ultima grande enclave ribelle della capitale.
Il MESSAGGERO titola a pag. 2 "L'America in campo. 'Intollerabili atrocità': Trump minaccia l'escalation in Siria". Per il Messaggero è Trump il responsabile della tragedia siriana, e non il terrorismo islamico fomentato da regimi, anch'essi islamici, dittatoriali e corrotti come Turchia, Siria e Iran. Un titolo ignobile in stile terzomondista che rovescia le responsabilità attitando come colpevole di ogni male l'Occidente.
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