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La Stampa Rassegna Stampa
09.04.2018 Siria: le parole di Donald Trump e la strategia dell'orrore di Assad
Cronaca di Paolo Mastrolilli, commento di Rolla Scolari

Testata: La Stampa
Data: 09 aprile 2018
Pagina: 3
Autore: Paolo Mastrolilli - Rolla Scolari
Titolo: «Trump prepara i raid: 'Assad è un animale protetto da Iran e Russia' - Il raiss e la strategia dell'orrore»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/04/2018, a pag.3, con il titolo "Trump prepara i raid: 'Assad è un animale protetto da Iran e Russia' " l'articolo di Paolo Mastrolilli; a pag. 1-24, con il titolo "Il raiss e la strategia dell'orrore", il commento di Rolla Scolari.

Ecco gli articoli:

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Donald Trump

Paolo Mastrolilli: "Trump prepara i raid: 'Assad è un animale protetto da Iran e Russia' "

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Paolo Mastrolilli

«Ci sarà un grosso prezzo da pagare». Commentando così l’attacco a Douma via Twitter, il presidente Trump ha lasciato intendere di essere pronto a ripetere il raid con cui proprio un anno fa aveva punito Assad, per l’aggressione lanciata a Khan Sheikhoun. Il consigliere per la homeland security Bossert, ha detto che «tutte le opzioni sono sul tavolo».
Trump ha criticato la nuova strage di prima mattina: «Molti morti, incluse donne e bambini, nello scriteriato attacco chimico in Siria. L’area dell’atrocità è sotto assedio e completamente circondata dall’esercito siriano, rendendola totalmente inaccessibile al mondo esterno». Subito dopo ha fatto un atto di accusa, puntando per la prima volta il dito direttamente contro il Cremlino: «Il presidente Putin, la Russia e l’Iran sono responsabili per il sostegno all’animale Assad». Quindi ha lanciato il suo avvertimento, e le sue richieste operative: «Grande prezzo da pagare. Aprire immediatamente l’area per aiuti medici e verifica. Un altro disastro umanitario per nessuna ragione. Roba da malati!». Con un secondo tweet, il capo della Casa Bianca ha criticato il predecessore Obama, accusandolo di non aver agito quando Assad aveva usato per la prima volta le armi chimiche nell’agosto del 2013, aprendo così la porta alle stragi successive, l’Isis, l’intervento russo, l’emergenza rifugiati.
Lo sfogo di Trump è importante per almeno due motivi. Primo, in occasione del precedente attacco chimico aveva risposto bombardando la Siria, e questa azione si potrebbe ripetere ora, appena l’intelligence gli darà la conferma della responsabilità di Assad.

Secondo, la settimana scorsa il presidente aveva detto di volersi ritirare dal paese, forse anche per proteggere i circa 2.000 soldati americani schierati sul terreno da eventuali rappresaglie, in caso di altre missioni punitive. Quindi aveva dato al Pentagono sei mesi di tempo per completare la distruzione dell’Isis, e poi prepararsi a chiudere l’intervento. Ora questo nuovo attacco chimico potrebbe costringerlo a cambiare i piani.
Fra le opzioni sul tavolo e di cui potrebbe discutere già oggi con i suoi consiglieri, c’è anche l’ipotesi di un attacco congiunto con i francesi. Macron è stato fra i leader occidentali il più determinato nel porre Assad dinanzi all’eventualità di azioni militari in caso di ricorso ad armi chimiche.

Le ragioni che spingono Trump ad agire sono chiare. Dopo il raid dell’anno scorso, le dichiarazioni di ieri via Twitter, il rimprovero ad Obama di non aver fatto rispettare la linea rossa proclamata nel 2013, non agire stavolta darebbe un segnale di debolezza alla Russia, all’Iran, e anche alla Corea del Nord, con cui sta cercando di negoziare la fine del programma nucleare da una posizione di forza. I rischi invece stanno nella reazione di Mosca, che aveva definito inaccettabile il bombardamento punitivo del 7 aprile 2017; nella possibilità che i soldati americani diventino oggetto di rappresaglie; e nella prospettiva di essere poi trascinato verso un coinvolgimento più massiccio in Siria, proprio mentre si stava preparando a riportare le truppe a casa, come vorrebbero i suoi elettori. Da questo punto di vista sarà decisivo il responso dell’intelligence Usa, perché sul fronte favorevole a Damasco c’è anche chi accusa gli stessi ribelli di aver colpito Douma, proprio per spingere Trump a cambiare idea sul ritiro. Se i servizi segreti forniranno conferme indiscutibili, per il presidente diventerà difficile non agire.
Oggi fra l’altro John Bolton prenderà servizio come consigliere per la Sicurezza nazionale. Una delle ragioni per cui il Pentagono non era favorevole al ritiro immediato dalla Siria stava non solo nella necessità di completare la missione contro l’Isis, ma anche di non lasciare il paese alla Russia e all’Iran. Bolton è noto per aver sostenuto la necessità di favorire un cambio di regime a Teheran, e quindi potrebbe usare l’attacco di Douma per convincere il presidente a restare in Siria per contrastare i piani egemonici iraniani.

Rolla Scolari: "Il raiss e la strategia dell'orrore"

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Rolla Scolari

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Bashar al Assad

«Cane schifoso, complotti contro il presidente”. Ancora una manganellata. “Lurido cane, credevi di fare lo spiritoso con il presidente”. Una manganellata. “Il presidente è l’uomo più forte del mondo!”.
Una manganellata». Così, Mustafa Khalifa, scrittore che ha raccontato nel romanzo La Conchiglia i suoi tredici anni nelle carceri siriane, descrive una delle infinite scene di tortura. L’aguzzino ricorda al prigioniero la sua colpa: averci provato, aver pensato a un’alternativa. Quel presidente evocato nelle camere di tortura era Hafez el-Assad, padre di Bashar, oggi accusato da associazioni mediche siriane e parte della comunità internazionale - Damasco nega - d’essere all’origine dell’ennesimo attacco chimico. Decine di persone sarebbero morte sabato notte a Douma, a Est di Damasco, tra le ultime zone attorno alla capitale ancora nelle mani di gruppi anti-regime. Benché Assad abbia perduto gran parte del territorio nazionale, attraverso il sostegno russo e iraniano il dittatore dato più volte per spacciato è per ora un vincitore in questa guerra. Verrebbe quindi da chiedersi, cercando senso laddove chiaramente manca, perché faccia ricorso ad armi chimiche per vincere una guerra già vinta.

Il presunto attacco chimico arriva al termine di settimane di battaglie servite ai soldati di Assad a riconquistare la regione della Ghouta orientale, attorno a Damasco. Se Douma cadesse, il governo controllerebbe l’intera cintura cittadina. Da una parte ci sono le necessità tattiche di un regime risorto: recuperare i dintorni della capitale è fondamentale a livello militare e di immagine. E dopo un mese di scontri, accelerare i tempi dell’operazione attraverso un orribile attacco chimico significa evitare ulteriori perdite in un esercito indebolito da anni di conflitto.

C’è poi la finalità strategica: generare terrore. Il terrore è un’arma psicologica a lungo termine. A Bashar lo ha insegnato il padre. Nel 1982, l’esercito siriano assediò Hama, quarta città del Paese, dopo una rivolta sunnita innescata da quell’opposizione islamista dei Fratelli musulmani che dal 1976 portava avanti una lotta armata contro il potere. Dopo aver bombardato con l’artiglieria e rastrellato casa per casa, i militari livellarono intere aree con le ruspe. I numeri dei morti variano: 20, 30, 40 mila. Per decenni, in Siria qualsiasi tipo d’opposizione prima di provarci ha ricordato Hama. E fino al 2011 ci ha sempre ripensato.
Gli attacchi chimici di un regime che non ha oggi un problema esistenziale, nella mente del dittatore assicurano un futuro, neutralizzano idee d’insurrezione, come quando sulle rovine di Cartagine i romani sparsero simbolicamente sale: affinché la città che aveva osato ribellarsi non risorgesse mai più.

«Assad o bruceremo il Paese», è il mantra dei sostenitori del regime: contiene la consapevolezza che mezza Siria sia contro il governo, e il delirante accanimento al potere del leader. Non serve dunque soltanto vincere, occorre spezzare il pensiero stesso della ribellione. E occorre farlo ora con la Russia ancora a fianco, con Teheran - dove le proteste anti-regime di inizio anno non sono sopite - che continua a combattere per procura, e mentre l’America lancia segnali contraddittori: da una parte il Pentagono afferma la volontà di rimanere attivo in Siria, dall’altra Donald Trump annuncia un’uscita di scena.
E Assad testa le linee rosse americane. Nel 2013, quando un attacco chimico uccise 1400 persone nei sobborghi di Damasco, l’ex presidente Barack Obama ritirò all’ultimo istante la minaccia d’azione militare. Ad aprile 2017, dopo un episodio nella regione di Idlib, Trump ordinò il primo raid contro obiettivi militari siriani: un avvertimento rimasto senza seguito.

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