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Cercate di capirci, abbiamo già dato a destra: sventola la svastica Cari Amici, è chiaro che di nuovo - come in tante altre situazionI di pericolo per Israele - c’è una larga differenza fra quel che pensano e che sentono gli amici di Israele e in particolare gli ebrei (salvo pochissimi traditori, personaggi cioè che il popolo ebraico detesta e disprezza) e il modo in cui i media stanno orientando l’opinione pubblica. Ignorando i traditori e gli antisemiti più o meno consapevoli e dichiarati che sono venuti allo scoperto in questa circostanza, vorrei cercare di spiegare a chi onestamente non capisce le azioni di Israele che cosa sta succedendo a Gaza. Lo faccio in maniera estremamente sommaria, accennando solo a due punti. Il primo è questo. Hamas, un’organizzazione considerata terrorista da moltissimi paesi (non solo gli Usa da ben prima di Trump e quasi tutti i paesi occidentali, ma anche molti stati arabi), ha lanciato un mese e mezzo di mobilitazione, chiamata “marcia del ritorno”, con lo scopo esplicito di abbattere i confini di Israele e di impadronirsi del suo territorio. Ora, non c’è Stato senza controllo del territorio. Non si tratta solo dei confini, che vengono difesi da tutti (pensate allo sdegno recente per l’”irruzione” della Gendarmeria francese a Bardonecchia), ma anche di porzioni di territorio che vengono chiuse. Negli ultimi anni, ogni volta che ci sono state iniziative politiche internazionali sono state difese da “zone rosse”, difese militarmente dagli stati organizzatori. Nessuno del resto lascia la propria casa aperta a chi pensa di prendersela per sé. Le città nascono stabilendo i propri inviolabili confini, come Plutarco e Livio raccontano di Roma. Perché proprio Israele non dovrebbe difendere i suoi confini? E’ un fatto comunissimo: avvicinatevi a una qualunque zona militare, anche a una caserma dei carabinieri nella pacifica Italia, e trovate dei cartelli che vi avvertono della possibilità di una difesa armata. Cercate di superare un confine vero (ormai l’Italia non ne ha più, ma cercate di entrare in Russia dall’Ucraina o in Turchia dalla Grecia o dall’Armenia) e vi spareranno a vista. L’Europa ancora una volta si allinea o fa finta di non sentire, vedendo solo le indubbie durezze di una guerra di difesa. Il che fa si che gli ebrei si indignino dell’indignazione europea. Ma c’è una seconda ragione, più specifica. Se ogni stato ha il diritto e il dovere di difendere i propri confini per tutelare i propri cittadini, uno stato ebraico non può non sentire questo dovere con intensità molto maggiore. La memoria storica degli ebrei ha impressa a lettere di fuoco l’esperienza di quel che accade quando una folla ostile sfonda le difese ed entra nelle loro case. Dai visigoti cristiani agli almoravidi musulmani in Spagna, dalle stragi compiute da Maometto in persona contro gli ebrei dell’Arabia a quelle dei crociati, dai processi dell’Inquisizione ai pogrom in Polonia e in Russia, dalla Shoah alla caccia agli ebrei nei paesi arabi nel secolo scorso, il popolo ebraico si è trovato sempre vittima di lutti e distruzioni infinite, disarmato, senza avere modo di difendersi mai perché privo di uno stato, dovendo solo confidare nella pietà o nell’interesse di chi poteva fermare gli assassini e quasi sempre non lo faceva. La fondazione dello stato di Israele ha prima di tutto il senso di prendere il destino nelle proprie mani, di potersi difendere. Esattamente questo significa per noi “mai più Auschwitz”. Non possiamo credere, oggi come nel Medioevo, a una protezione internazionale. L’esperienza ha mostrato che in ogni momento di debolezza di Israele le potenze del mondo (e in primo luogo l’Europa) non l’hanno voluto difendere. E hanno mostrato anche che i “poveri palestinesi” sono ben decisi ad ammazzare più ebrei che possono, appena ne hanno la possibilità. L’odio anti-israeliano gratuito dell’Europa, della Chiesa, della sinistra in generale, esibisce una coazione a ripetere che non può che far dubitare della natura umana - o della cultura occidentale. Non faccio fatica a immaginare con quanta commozione ci commisererebbero fra cinquant’anni, se seguissimo i loro buoni consigli umanisti: con giornate della memoria, musei e commoventi rievocazioni della nostra cultura. E’ un vero peccato dover deludere queste così nobili aspettative. Noi ebrei non abbiamo la minima intenzione di farci commemorare un’altra volta, non siamo disposti a farci sterminare di nuovo dai palestinisti, dagli iraniani o da chiunque altro. Ci difendiamo. Anche a costo di non mostrare la moralità delle vittime che così volentieri ci viene riconosciuta, magari dagli eredi dei carnefici o dei loro aiutanti. E continueremo a farlo, alla faccia degli appelli del Papa, del Segretario delle Nazioni unite o degli editorialisti dei quotidiani di provincia che continuano a farci la lezione. Se disgraziatamente dovesse servire, lo faremo fino all’ultimo uomo (a parte i traditori infettati dall’ideologia di sinistra, che per fortuna sono pochissimi). Ci spiace di non darvi soddisfazione, di non poter fare i bravi ragazzi, come piacerebbe a voi. Cercate di capirci, abbiamo già dato.
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