Riprendiamo dalla STAMPA/Tuttolibri di oggi, 07/04/2018, a pag.04, con il titolo "1947, cronaca dell'anno straordinario che cambiò il destino del popolo ebraico" di Elisabeth Asbrink, la recensione di Elena Loewenthal. Dalla REPUBBLICA a pag.33, la recensione di Susanna Nirenstein al libro "La scomparsa di Joseph Mengele" di Oivier Guez.
La Stampa/Tuttolibri-Elena Loewenthal: " 1947, cronaca dell'anno straordinario che cambiò il destino del popolo ebraico"
Elena Loewenthal la copertina Elisabeth Asbrink
In fondo, la storia – che sia con la maiuscola o senza – è fatta proprio di quella pasta che Elisabeth Asbrink, scrittrice e giornalista svedese di cui Alessandro Borino ha appena tradotto l’ultimo libro, 1947, per Iperborea, maneggia con estro: un pendolo di piccole vicende personali ed eventi epocali che a volte sono lontanissimi fra loro e altre volte si incrociano. 1947 è un libro difficile da definire: a seguire passo dopo passo, alcune delle narrazioni vien da pensare che sia una specie di romanzo a puntate. Anzi, una serie di romanzi, di storie parallele. Ma in altri punti il libro assomiglia a un mémoir personale, è come se qui l’autrice avesse raccolto i tasselli della vicenda del padre ungherese, e stesse facendo ordine. Però non è tutto qui, perché 1947 è anche un libro di storia con la maiuscola, che riesce a portare il lettore dentro lo spirito del tempo di cui il titolo porta la data. «Il tempo è asimmetrico», scrive l’autrice, e qui il tempo di quell’anno è sezionato mese per mese, e dentro ogni mese ci sono luoghi, persone, momenti e avvenimenti apparentemente sconnessi fra di loro. A volte l’apparenza inganna il lettore, a volte dice il vero perché gli accadimenti e l’umanità che ne è coinvolta restano sospesi in un magma di tempo e spazio. Asbrink fa una sorta di autopsia di un anno molto particolare: la guerra è appena finita, gli scenari politici, così come l’Europa, sono tutti da ricostruire. Non è proprio l’indomani della fine della guerra, è un tempo un poco più avanti, dove si pretenderebbe di aver già conquistato un pezzo di normalità. È davvero interessante questa specificità del 1947, che fra le pagine del libro diventa una specie di emblema di tutto il nostro tempo, sospeso fra eventi «epocali» e monotonia, fra necessità di fare delle scelte e desiderio di isolamento. Come quello di George Orwell, alias Eirc Arthur Blair, che «in una fredda e luminosa giornata d’aprile», quando «l’orologio batte le tredici», «sbarca sull’isola scozzese di Jura insieme al figlio adottivo di tre anni Richard e a nient’altro». Il lettore incontrerà ancora Orwell, seguirà di mese in mese la costruzione del suo pensiero politico. Incontrerà molti altri personaggi della storia – con la maiuscola o senza: da Primo Levi a Billie Holiday, dal Gran Muftì di Gerusalemme che fu uno fra i più grandi fan e collaboratori di Hitler a Lord Mountbatten sulle ceneri dell’mpero coloniale britannico, da Simone De Beauvoir a Raphael Lemkin che dedicò quegli anni alla definizione di «genocidio», al piccolo Jozsef, orfano e vagabondo di guerra e padre dell’autrice. Ma sono davvero tanti di più, i protagonisti di questa storia: nessuno è soltanto una comparsa. Tutti sono necessari, così come lo è la vastità di un panorama geografico che va da Malmo e Gerusalemme, dal Cairo a Parigi a Monaco di Baviera a Budapest. A dire il vero c’è una sorta di fil rouge che è al centro della narrazione e che potremmo definire con un certo margine di approssimazione il «destino ebraico» dopo la guerra e la Shoah. Il 1947 è in questa prospettiva un anno talmente «epocale» che per trovarne uno analogo, benché di segno opposto, bisogna tornare indietro sino al 70 d.C., quando l’imperatore Tito conquista definitivamente Gerusalemme e distrugge il Tempio. Quasi duemila anni dopo, il 27 settembre del 1947, una risoluzione delle Nazioni Unite approvata a maggioranza sancisce in quella regione rimasta per trent’anni sotto un Mandato Britannico che sarebbe durato meno se non fosse arrivata la Seconda Guerra Mondiale la nascita di due stati palestinesi: uno arabo e uno ebraico. Per i figli d’Israele è la fine dell’esilio, e quella data conta forse più del giorno dell’Indipendenza in cui il 14 maggio del 1948 Ben Gurion dichiara lo stato ebraico. Asbrink ripercorre la vicenda ebraica in quell’anno cruciale che dà il titolo al suo libro, in bilico fra l’ombra della Shoah, i campi di raccolta per i profughi, l’immigrazione clandestina – dopo la guerra la Gran Bretagna di fatto proibì agli ebrei di approdare in Palestina – il faticoso ritorno alla vita. Ma, pur nella centralità di questa vicenda, l’autrice tiene costantemente presente l’affresco di quel tempo, ed è questa prospettiva ampia nel tempo e nello spazio ad affascinare il lettore. Perché è davvero un’opera di grande respiro che parla di tutti noi, dell’Europa e del mondo che le sta intorno: e non si tratta soltanto della curiosità che prende di fronte a un libro dal genere letterario così originale e inafferrabile. Perché fra queste pagine la cronaca storica è così avvincente che coinvolge malgrado la distanza, e soprattutto ci dà le misure della nostra identità di oggi, qualunque essa sia.
La Repubblica-Susanna Nirenstein: " Mengele, l'angelo della morte che visse due volte "
Susanna Nirenstein la copertina Olivier Guez
Per tre anni Olivier Guez , ebreo, giornalista, sceneggiatore nato a Strasburgo nel 1974, esperto di Germania nel dopoguerra, si è svegliato ogni mattina pensando a Josef Mengele; ha vissuto, rivendica, con questo criminale nazista di una mediocrità abissale, lottando contro lui e gridando il suo nome nella notte. Quel che voleva fare era rintracciare, in fondo alla sua fuga infinita, la psicologia del medico tedesco che per due anni, dal maggio'43 al 17 gennaio'45, ha incarnato il processo delle selezioni sulla banchina ferroviaria di Auschwitz, scegliendo chi mandare a morte nelle camere a gas e chi spedire ai lavori forzati, vagliando i convogli in entrata per scoprire eventuali gemelli con l'ordineZw llinge heraus!(gemell i un passo avanti), la sua ossessione, visto che voleva scoprirne, quale medico primario di Birkenau, il segreto genetico per aumentare la prolificità della pura razza germanica. Bambini e adulti su cui sperimentò tutto, compreso il cambio dei colore degli occhi e l'unione dei corpi con organi in comune formando dei siamesi artificiali, o monitorando la morte per fame di neonati, uccidendoli alla fine dei suoi test con una iniezione di fenolo nel cuore, cercando anche individui con anomalie fisiche che potessero essere utilizzati per ricerche: questi ultimi dopo esser stati visitati venivano uccisi a colpi di arma da fuoco, i loro corpi dissezionati, le ossa inviate a Otmar von Verschuer, direttore dell'Istituto perla ricerca biologico-razziale che a fine guerra tornò in cattedra. Il loro scopo era dimostrare che la superiorità dei nordici era dovuta a fattori di ereditarietà. Mengele non è finito mai nelle mani dei cacciatori di nazisti e da questo libro capiamo tappa per tappa come ha fatto. Le connivenze, la famiglia alle spalle. Il governo tedesco nel 1956 gli ridette addirittura il suo documento di identità. La sua inafferrabilità divenne un mito ammantato di una definizione epica, l'Angelo della morte. Per Guez occorreva destrutturare la leggenda e calarsi nella sua miseria. E di pochi mesi fa il bel libro di Bettina Stangneth La verità del male. Eichmann prima di Gerusalemme, una ricostruzione fattuale dei delitti commessi dell'ingegnere della deportazione e dello sterminio degli ebrei; ora Guez sceglie un metodo opposto, una storia documentata ma romanzata - sulle orme diA sangue freddo di Capote - che si svolge all'indomani della fuga di Mengele, dal rilascio del falso documento di identità a Termeno in Alto Adige e soprattutto dal suo viaggio sulla North King, la nave che, sotto il nome Helmut Gregor, meccanico italiano di lingua tedesca, lo porta da Genova a Buenos Aires. Gli ex camerati gli hanno promesso un arrivo facilitato in quella comunità di ex nazisti che in Argentina apre bar, giornali, locali Nuova Bavaria. Un universo protetto da Juan e Evita Perón, privilegiato e nostalgico, privo di rimorsi, che l'accoglierà, gli farà riprendere incredibilmente le sue vere generalità e lo proteggerà a lungo. Se può essere di consolazione, la sua esistenza non sarà sempre dorata. Dalla cattura di Eichmann in poi, la fuga si farà sempre più affannata, disperata, solitaria, malata, in Paraguay prima, in Brasile poi, dove lo seguiamo passo passo. La mente malefica di Mengele è messa a nudo. II risultato è compatto, disturbante. Non c'è, come non ci poteva essere, redenzione.
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