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Il Foglio Rassegna Stampa
07.04.2018 'Souviens-toi de nos enfants': la strage di Tolosa nel libro di Samuel Sandler, padre di Jonathan e nonno di Arié e Gabriel
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 07 aprile 2018
Pagina: 5
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Se questo è un padre»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 07/04/2018, a pag.V con il titolo "Se questo è un padre" il commento di Giulio Meotti.

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Un vento pungente soffia a Tolosa la mattina del 19 marzo 2012. Jonathan controlla che le sciarpe dei bambini siano ben annodate e poi li bacia. Arié ha sei anni. Gabriel ne ha tre e non lascia mai il ciuccio. Sul marciapiede che costeggia la scuola Ozar Hatorah, Jonathan Sandler tiene per mano i figli. Fra poco inizia la preghiera ebraica. “Ogni giorno è un’offerta che Dio fa agli uomini” ripeteva loro. Le macchine rallentano, si fermano, gli studenti escono, poi ripartono. Le mani che si salutano, i baci che volano. “A stasera”. “Buona giornata, tesoro”. Alcune gocce di pioggia. Poi lo scooter. Gabriel e Arié si voltano, ammirano i motori che fanno rumore, e quello ne faceva tanto.
L’uomo, Mohammed Merah, punta la canna dell’arma contro Jonathan. E spara. “Cosa stanno facendo i miei nipoti? Stanno urlando, piangendo, cercando di scappare, chiamando la madre per chiedere aiuto? Non so nulla di questi momenti. Nessuno è accanto a loro”.
Queste parole sono di Samuel Sandler, il padre di Jonathan e il nonno di Arié e Gabriel. Ha scritto un libro che è una pietra per lapidare coscienze, Souviens-toi de nos enfants, appena pubblicato da Grasset, e che ripercorre la storia del primo, grande massacro islamista ai danni degli ebrei di Francia.
Ne verranno altri, troppi. “Questi momenti, gli ultimi frammenti della loro vita, mi ossessionano. La mia immaginazione continua a ricostruire mentalmente quella mattina. Sento sibilare la prima pallottola. Vedo la folla paralizzarsi, per poi capire che la morte è in agguato, e allora tutti urlano a pieni polmoni, si precipitano nelle macchine, si nascondono dietro i bidoni della spazzatura, tra i cespugli. Gabriel e Arié vedono puntare l’arma contro i loro volti. Il mostro ha detto qualcosa? Punta la pistola alla tempia di Arié, il più grande dei due. Il proiettile attraversa la sua testa e Arié si schianta contro il padre. Gabriel non si muove più”. Qualche settimana prima gli avevano tagliato per la prima volta i bei riccioli marroni. La tradizione ebraica impone di aspettare i tre anni prima di tagliarsi i capelli. “I suoi genitori mi avevano mandato una sua foto. Era così orgoglioso di non essere più un bambino. L’assassino non ne sa niente, guarda Gabriel, a bocca aperta. Un bambino, solo in mezzo alla folla. E, in questo momento, sono certo che le grida intorno stanno raddoppiando. L’assassino ha eliminato tre ebrei. E’ convinto di ottenere il paradiso facendo diventare la scuola un inferno. Il mostro va nel cortile, dove cattura colei che è scappata meno velocemente degli altri: Myriam Monsonego, otto anni. La afferra, punta la pistola ma l’arma si inceppa, la ricarica mentre tiene i suoi capelli biondi tra le dita, punta ancora la canna alla tempia e la uccide. Cerca altre prede facili, preferibilmente piccole. L’assassino spara da lontano. Il proiettile ferisce Aaron Bijaoui, quindici anni, dato per morto, a faccia in giù. Sta piovendo, le gocce cadono nelle pozzanghere di sangue. L’uomo torna al motorino e se ne va.
Questa mattina non ci sarà alcuna preghiera alla Ozar Hatorah School. Sotto il cielo buio, quattro cadaveri sull’asfalto. L’esecuzione è durata trentasei secondi”.
Da quella carneficina di sei anni fa esatti, Samuel Sandler vive come sotto anestesia. E’ come un fantasma, le sue emozioni sono cancellate, le risa soffocate, gli stati d’animo sempre pigri, indolenti. “Anche le parole dei miei cari si sono trasformate in bisbigli che riesco a malapena a sentire. L’assenza di Jonathan, Gabriel e Arié mi perseguita. Myriam, mia moglie, e io condividiamo il lutto, muto, rifugiandoci nelle preoccupazioni della vita quotidiana per allontanarci, insieme, dall’abisso che si trova davanti a noi. Poco dopo l’omicidio, mia moglie mi ha detto che si è pentita di aver dato la vita a Jonathan. Se avesse saputo che suo figlio sarebbe morto da martire, avrebbe preferito che non fosse mai nato. Che pensiero terribile.
A differenza di Myriam, riesco a vivere, nonostante la nostra morte, perché il ricordo della loro vita mi conforta. Mi aggrappo ad esso. Fino al ridicolo. Ho comprato la nostra macchina diciotto anni fa e Jonathan mi aveva accompagnato. E’ anche un po’ per fargli piacere che avevo accettato questo colore blu anatra. Sarebbe ora di cambiare, ma mi rifiuto, perché mi piace stare seduto dove Jonathan ha messo la testa e ha allungato le gambe”.
Ogni tre mesi, Sandler va a trovare la sorella maggiore di Jonathan, Jennifer, e suo marito Michael a Gerusalemme”. Anche Eva, la madre di Arié e Gabriel, ora vive a Gerusalemme. “Meravigliosa Eva che al sacrificio della sua famiglia risponde con la preghiera. Trova significato nella pietà e la invidio. Liora, sua figlia, la sorella di Arié e Gabriel, ha sette anni. L’assenza è inchiodata nei nostri cuori. Il nostro lutto è solitario, taciturno. Non schiarisce. Nel tempo, ci allontana dai nostri cari. Non posso più piangere i morti, né confortare i vivi. La lotta non è mai finita.
Non è scritto nella Bibbia che la luce dei malvagi debba essere estinta? Dando questa mia questa sepoltura scritta, accendo la fiamma dei loro ricordi per sempre”. Sandler ha scritto “Souviens-toi de nos enfants" assieme a Emilie Lanez, un giornalista del Point. “Sono stato il primo Sandler a nascere in Francia e sarò l’ultimo Sandler a viverci”, scrive questo padre e nonno.
I suoi genitori erano ebrei tedeschi fuggiti in Francia nel 1937. Messi in un campo di internamento all’inizio della guerra, riescono a scappare dal treno che li doveva condurre in un altro campo e da lì ad Auschwitz e poi per il camino, dove passarono a milioni.
Il resto della famiglia verrà rastrellato e non tornerà più.
“Mia madre non mi parlerà mai dello sterminio della famiglia. Non riderà più. Ho dieci anni quando mia sorella Léa inizia a raccontarmi dei campi di sterminio. Vuole che capisca perché mia madre è sempre triste e non può più piangere. Molti anni dopo, verrà il mio turno sul piangere i morti”.
Negli anni Cinquanta, i Sandler aprirono un ristorante popolare che vendeva cibo kosher e avevano una clientela di sopravvissuti, tra cui l’allora studente Elie Wiesel. La famiglia vive in albergo e l’arredamento in cui il bambino cresce sarà quello delle stanze incollate l’una all’altra, con numeri sulle porte e tanti estranei sulle scale.
Jonathan Sandler nasce nel 1981. Vuole diventare rabbino e va a vivere a Gerusalemme. Fino a quando, nel dicembre 2011, Yaakov Monsonego, il direttore della scuola Ozar Hatorah, il padre della piccola Miriam che aveva istruito Jonathan a Tolosa, gli offre un incarico come insegnante.
“Io e mia moglie siamo rassicurati dal sapere che d’ora in poi vivranno in un paese sicuro, lontano dalla guerra in medio oriente”, scrive Samuel Sandler. “In Francia, nella nostra repubblica laica e pacifica, nulla può accadere a loro”. Oggi questo padre-nonno in lutto rifiuta il ruolo di costruttore di ponti. “Non posso sopportare di essere l’ebreo gentile i cui figli sono stati assassinati e che da allora ha tenuto conferenze e discorsi sulla riconciliazione e sulla pace, non voglio più essere quel dolce nonno”.
Dopo Tolosa, gli ebrei francesi hanno preso in massa la strada dell’esilio. “L’Europa si sta svuotando degli ebrei, 60 mila sono partiti in dieci anni”. Lo ha appena detto lo storico Marc Knobel al quotidiano Le Monde.
Racconta Knobel che “dal primo ottobre 2000, nel giro di due settimane, 75 atti antisemiti furono commessi contro ebrei o istituzioni ebraiche, pari a quelli del 1998 (81 atti) e del 1999 (82 atti). Alla fine del 2000, il ministero dell’Interno ne registrò 744, dieci volte di più rispetto agli anni precedenti”. Da notare il 2000, l’anno della Seconda Intifada. In Israele e in Europa iniziò allora la caccia selvaggia all’ebreo.
Poi arriva la strage di Tolosa. “Divenne chiaro che poteva essere pericoloso mettere i bambini nelle scuole ebraiche”. Poi le uccisioni di Sarah Halimi nel 2017 e di Mireille Knoll pochi giorni fa. Stesso quartiere popolare, due donne anziane e sole, entrambe assassinate dagli inquilini della porta accanto. “Significa che gli anziani possono essere uccisi a casa dai vicini”. Mireille la pugnalano, la strangolano e la bruciano nel letto.
I due figli di Mireille Knoll, Daniel e Allan, hanno detto al Figaro che “il futuro degli ebrei in Europa è in pericolo. E’ necessario prepararsi per un alyah in Israele o partire per un altro continente”.
Knobel si lancia in una previsione: “Molte persone se ne andranno. Sessantamila persone se ne sono già andate in dieci anni da una comunità di 500 mila persone”. Il padre di Myriam Monsonego ha parlato pochi mesi fa per la prima volta. All’Afp, Yaakov disse di essere rimasto in Francia per i bambini rimasti, per la scuola, per insegnare loro: “Non era pensabile porre fine a tutto questo”. Tutti pensavano che una cosa simile non potesse mai succedere. “Il collegio era aperto di notte come il giorno. Eravamo convinti che questo non sarebbe mai potuto succedere a noi”. La fede li sorregge: “Siamo convinti che la bambina non sia un kleenex che è stato gettato nella spazzatura. Ma che esiste, e che lì ci uniremo tutti un giorno o l’altro”. Un giorno, non oggi, saremo in grado anche di comprendere davvero il terremoto fisico e morale che quest’ultimo omicidio di Mireille Knoll avrà significato per la terza più grande comunità ebraica al mondo.
Intanto gli ebrei che non lasciano il paese si spostano, in massa, al suo interno. Dal 2000 al 2015, interi quartieri francesi si sono visti trasformare a causa dell’antisemitismo come dopo una pulizia etnica: Stains è passata da 250 a 50 famiglie, Saint-Denis da 350 a 100, La Courneuve da 300 a 80, Le Blanc Mesnil da 300 a 100, Pantin da 1200 a 700, Rosny sous Bois da 300 a 200, Bondy da 300 a 100, Livry Gargan da 200 a 130, Aulnay sous-Bois da 600 a 100, Villepinte da 300 a 70, Clichy da 400 a 80, Neuilly sur Marne da 275 a 100… E’ un terremoto senza precedenti.
Ma è anche un libro di speranza quello di Samuel Sandler: “Il dolore non trionferà sulla memoria”. Però questa speranza non sembra riguardare la Francia. Yoav Hattab, Yohan Cohen, François-Michel Saada e Phillipe Braham, i quattro ebrei assassinati nel supermercato Hyper Cacher di Parigi, sono stati sepolti nel cimitero Givat Shaul di Gerusalemme.
Serge Cwajgenbaum, segretario generale del Congresso ebraico europeo, nella sua eulogia a Gerusalemme disse che le quattro vittime erano state seppellite in Israele per evitare che le loro tombe potessero essere profanate in Francia. E anche perché Israele è il luogo in cui “arriverà prima la pace del mondo”, ha detto Nicole Yardeni, responsabile della comunità ebraica di Tolosa. La prima che ha deciso di seppellire una vittima in Israele è stata la madre di Ilan Halimi, Ruth, otto anni fa: “E’ mio dovere di madre offrire a mio figlio un riposo che giudico impossibile qui. Perché è qui, su questa terra di Francia, che Ilan è stato affamato, picchiato, ferito, bruciato. Come riposare in pace in una terra dove si è tanto sofferto? Questa domanda, alla quale né le mie figlie, né il mio ex marito hanno saputo rispondere, ci ha convinti che Gerusalemme doveva essere la sua ultima dimora”.
Accanto a Halimi e alle quattro vittime dell’Hyper Cacher a Gerusalemme riposano anche le quattro vittime dell’attacco alla scuola ebraica di Tolosa. “Morte agli ebrei”, c’è scritto oggi nei muri di Francia. Ma non è soltanto uno slogan. Ci sono già stati undici omicidi antisemiti in Francia dal 2000. Secondo un rapporto, il 40 per cento del mezzo milione di ebrei che attualmente vivono in Francia, all’incirca 200 mila persone, sta anche valutando la possibilità di trasferirsi in Israele. La metà del contingente militare francese è stata dislocata dopo il 2015 per proteggere i siti ebraici, in particolare le scuole.
Lo scorso settembre, la femminista e autrice francese Elisabeth Badinter ha pubblicato sull’Express un appello a “non lasciare che gli ebrei combattano da soli”. Sfortunatamente, sembra che sia così. Secondo un sondaggio Ipsos, sei francesi su dieci sono “indifferenti” alla fuga e alla piaga dei loro concittadini con la stella di Davide. Tutto allora riporta alla frase terribile che chiude il capolavoro impastato di strazio e d’amore di Samuel Sandler: “E ricordo i vecchi tempi, i nostri”. I bei tempi perduti degli ebrei di Francia.

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