Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 06/04/2018, a pag. 19, con il titolo 'Al confine sarà un altro venerdì di sangue', il commento di Susan Dabbous; a pag. 9, con il titolo "Israele, una per arrocchia i richiedenti asilo", il commento di Giorgio Bernardelli; dal MANIFESTO, a pag. 8, con il titolo " 'Come Gandhi e Luther King': oggi Gaza riprende la marcia", il commento di Michele Giorgio.
Ancora una volta, i giornali che più diffondono odio contro Israele sono Avvenire e il Manifesto.
Susan Dabbous omette di scrivere che quasi tutti gli arabi palestinesi colpiti venerdì scorso al confine della Striscia di Gaza erano terroristi. Ancora peggio fa Michele Giorgio con un pezzo involontariamente ironico in cui equipara i palestinesi a Gandhi e Martin Luther King. Un pezzo di propaganda che incita alla mobilitazione, cioè al terrorismo, contro Israele, unica democrazia del Medio Oriente. Michele Giorgio è l'ufficio stampa di Hamas in Italia, non fa altro, da anni, che ripeterne le dichiarazioni. Naturalmente Israele è uno stato di apartheid, che espelle chi non gli è simpatico, infatti il nostro è così perseguitato da Israele che è spesso tentato di trasferirsi a Gaza o a Ramallah, ma non sa decidersi, è questo il motivo per cui continua a risiedere in quel tremendo stato di Israele...
Questo video (https://israelunwired.com/behind-the-scenes-of-the-gaza-march-victims-welcome-to-pallywood/) mostra chiaramente come numerose scene di ferimenti di arabi palestinesi siano costruite artificialmente, anche con l'utilizzo di attori (segnalazione di Silvia Grinfeld).
Giorgio Bernardelli, invece, si dilunga sulle difficoltà dei profughi clandestini di origine africana in Israele. Avvenire ne scrive tutti i giorni da due settimane, perché tutta questa attenzione unicamente ai clandestini in Israele? Forse sarebbe bene dedicare un po' di spazio anche ai cristiani perseguitati ovunque nel mondo islamico, spesso eliminati fisicamente.
Ecco gli articoli:
Per Avvenire e Manifesto questi sono "manifestanti"
AVVENIRE - Susan Dabbous: 'Al confine sarà un altro venerdì di sangue'
Susan Dabbous
‘Sarà un altro fine settimana di sangue», la situazione al confine è già calda. E’ la negativa previsione del generale israeliano, Nitzan Nuriel, prima delle nuove manifestazioni che si terranno oggi alla frontiera tra la Striscia di Gaza e lo Stato ebraico. Dall'altro lato, Ahmed Abu Reima, portavoce della "Lunga Marcia per il ritorno" palestinese, non fa che rimarcare le intenzioni pacifiche dei manifestanti che si raduneranno, come venerdì scorso, per rivendicare il diritto di tornare nelle proprie terre d'origine: a Nazareth, a Jaffa, a Haifa, da cui sono stati cacciati nel 1948, con la nascita dello Stato ebraico. «I manifestanti possono marciare, cantare, gridare, sventolare bandiere - ha ammonito Nuriel - ma noi abbiamo tracciato una redline, e se verrà oltrepassata scatteranno le regole di ingaggio». I soldati israeliani, molti di loro sono tiratori scelti, possono sparare con proiettili veri a chiunque, anche se disarmato, si avvicini al reticolato. Così si spiegano le 19 vittime della scorsa settimana: 17 hanno perso la vita venerdì scorso, due invece sono morte ieri. Questi ultimi sono Shadi Hamdan al-Kashef, 34 anni, di Rafah, colpito la scorsa settimana da un proiettile alla testa e Nabil Marwan al-Khudari, 23 anni, colpito da un drone israeliano mentre si stava avvicinando la notte scorsa al confine. Secondo l'esercito, al-Khudari era armato. E più in generale tutte le vittime sarebbero dei terroristi. Ma i palestinesi lamentano perdite trai civili inermi. Due i casi eclatanti: un contadino che lavorava nei campi prima delle manifestazioni, e un diciottenne ucciso con un colpo alle spalle mentre correva in direzione opposta alla frontiera. Per invogliare le persone a continuare la Marcia, che durerà fino al 15 maggio, Hamas ha promesso di risarcire i familiari delle persone uccise o ferite: tremila dollari per ogni parente ucciso, 500 per i feriti gravi e 200 per quelli lievi. La manifestazione di oggi è stata rinominata la «Giornata delle gomme», per via dell'ingente quantità di pneumatici accumulati dai palestinesi vicino al confine che verranno incendiati per ridurre la visuale dei cecchini posizionati sull'altro lato. Secondo i media, la protesta potrebbe essere più grande di quella di venerdì scorso a cui avevano aderito oltre 30mila persone. Si prevede la partecipazione di 50mila palestinesi. L'inviato speciale Onu per il Medio Oriente, Nicolay Mladenov, li ha invitati a non far avvicinare i bambini alla frontiera e gli israeliani a limitare al massimo l'uso della forza. Ma, come tristemente annunciato, tutto fa presagire che quello di oggi sarà un altro venerdì di sangue.
AVVENIRE - Giorgio Bernardelli: "Israele, una per arrocchia i richiedenti asilo"
II dietrofront di Netanyahu sull'accordo con l'Onu per i richiedenti asilo - annunciato lunedì e durato appena una manciata di ore - ha riportato migliaia di eritrei e sudanesi in una situazione di incertezza in Israele. Ed è proprio dentro a questo clima di crescente ostilità verso i migranti che il Patriarcato latino di Gerusalemme rende nota l'intenzione di istituire una parrocchia personale per la loro cura pastorale. Ad annunciarlo è stato in queste ore l'amministratore apostolico, monsignor Pierbattista Pizzaballa, con una lettera indirizzata a tutti i parroci e pubblicata sul sito Internet del patriarcato. Un testo in cui il presule fa espressamente riferimento anche alle «recenti decisioni del governo israeliano, che richiederanno nuove iniziative da definire, per le quali, tuttavia sarà necessario essere preparati». Da tempo la Chiesa latina in Terra Santa è in prima linea nel servizio pastorale ai migranti: sono decine di migliaia, infatti, i fedeli filippini, indiani, srilankesi e di altre nazionalità che affollano le chiese locali; migranti cristiani portati in Medio Oriente dalle nuove rotte del mercato del lavoro, ma che devono fare i conti con una legislazione particolarmente dura in Israele. Per non parlare dei richiedenti asilo (in molti casi anche loro cristiani) giunti nel Paese negli anni scorsi attraverso il Sinai dall'Eritrea e dal Sud Sudan - due Paesi afflitti da un regime autoritario e da una guerra fratricida - e che oggi il governo Netanyahu sta cercando nuove strade per espellere, dopo che la Corte Suprema ha fatto saltare le intese (segrete) siglate con il Ruanda e l'Uganda per "riaccoglierli". Con l'atto deciso dall'arcivescovo Pizzaballa il Patriarcato latino di Gerusalemme riconosce espressamente tutti i cristiani delle comunità straniere come propri fedeli di cui prendersi cura. «Se è vero che molti giungono alle nostre chiese per pregare - scrive il presule nella lettera - molti di più rimangono lontani dalle chiese e da qualsiasi servizio religioso, spesso alla mercé della criminalità locale e di altre situazioni di rischio oltre che di sette evangeliche. Va inoltre detto - aggiunge - che dal punto di vista legale e canonico, oltre che sociale, la maggior parte di queste persone vive in situazioni limite, spesso irregolari». Di qui la necessità di «forme di aiuto e di sostegno adatte alla loro situazione particolare», che dal 20 maggio prossimo (festa di Pentecoste) assumeranno la forma di una parrocchia personale per tutti i migranti e i rifugiati in Israele, la cui guida sarà affidata a un vicario episcopale. Lo scopo - continua monsignor Pizzaballa - è «garantire un servizio pastorale completo ai tanti che sono lontani dalle nostre chiese, ma che - nonostante le difficili circostanze nelle quali vivono - vogliono comunque avere un accompagnamento ecclesiale». Non lasciare solo nessuno: appare chiara l'intenzione del Patriarcato latino. Con una cura che sarà sì pastorale, ma non potrà ovviamente prescindere dalle questioni sociali e giuridiche. Significativo, in proposito, il riferimento esplicito ai rifugiati, pur sapendo che dal 2009 a oggi sono stati appena 11 i richiedenti asilo a cui Israele ha riconosciuto questo status.
IL MANIFESTO - Michele Giorgio: " 'Come Gandhi e Luther King': oggi Gaza riprende la marcia"
Michele Giorgio
Pagati per morire. Ecco come il coro delle agenzie di stampa italiane descriveva ieri i palestinesi di Gaza che a migliaia affolleranno anche oggi la fascia orientale della Striscia a ridosso delle linee di demarcazione con Israele. Pagati per morire dal movimento islamico Hamas che ha annunciato risarcimenti per le famiglie delle vittime del fuoco dei tiratori scelti israeliani che una settimana fa ha fatto morti e feriti tra i
I FAMILIARI DEI MORTI riceveranno 3mila dollari, i feriti 500 dollari. Per le nostre agenzie quei soldi «potrebbero costituire» un incentivo alla violenza per gli abitanti di Gaza. Come se tremila dollari fossero una buona ragione per farsi ammazzare e 500 dollari per farsi ferire e rischiare una disabilità grave e permanente. Solo un profondo disprezzo dei palestinesi può far scrivere cose del genere che riflettono unicamente la posizione di Israele: la «Marcia del Ritorno» altro non è che un piano orchestrato da Hamas per lanciare attacchi terroristici contro lo Stato ebraico.
«NESSUNO SFORZO propagandistico al mondo, per quanto bieco o ingegnoso — ha scritto lo scrittore palestinese Ahmed Masoud su Ceasefire Magazine — riuscirebbe a far marciare volontariamente migliaia di persone verso il confine della loro prigione a cielo aperto, sapendo benissimo che ci sono centinaia di soldati senza scrupoli che aspettano dall'altra parte, pronti a premere il grilletto in qualsiasi momento». Questo, aggiunge Masoud, «è tipico dei colonizzatori. Dalla Marcia del Sale di Gandhi, alla Marcia su Washington di Mar tin Luther King, siamo stati tutti definiti "i barbari ignoranti" che cercano di destabilizzare lo status quo di libertà e democrazia». I palestinesi ricordano che non solo Hamas ma tutte le forze politiche, e la stessa Anp del presidente Abu Mazen, prevedo- no programmi di assistenza alle famiglie di persone morte o rimaste ferite nel conflitto.
«NON SI TRATTA di incentivi al terrorismo come sostiene Israele, bensì di forme di aiuto alle famiglie delle vittime che, è bene sottolinearlo, il più delle volte non erano combattenti ma semplici civili. I figli rimasti senza il padre o una moglie senza marito e priva di reddito non potrebbero vivere senza un sussidio. Accade in tutte le guerre e in tutti i conflitti, noi non siamo diversi dagli altri», dice al manifesto il giornalista Saud Abu Ramadan, aggiungendo che«in Occidente si stenta sempre più a riconoscere che i palestinesi di Gaza hanno il diritto di vivere liberi e non in una grande prigione gestita da Israele». Un "carcere", aggiungiamo noi, dove le condizioni di vita per i due milioni di abitanti si sono fatte insostenibili. A dirlo sono le statistiche delle Nazioni unite.
OGGI SARANNO altre decine di migliaia i palestinesi — qualcuno dice almeno 50mila — che affolleranno i cinque accampamenti eretti a 700 metri dalle barriere con Israele per chiedere la fine dell'assedio che strangola Gaza. Il rischio di un altro bagno di sangue è altissimo. «Se ci saranno provocazioni, ci sarà una reazione del tipo più duro, esattamente come la scorsa settimana», ripete il ministro della difesa israeliano Lieberman per far capire che sul confine saranno schierati ancora una volta i tiratori scelti dell'esercito.
PER OSTACOLARLI i palestinesi bruceranno cataste di vecchi pneumatici di modo da alzare nuvole di fumo denso. Ieri è spirato un palestinese ferito gravemente venerdì scorso. Un altro è stato ucciso da un drone sulle barriere di confine. Sono 21 le vittime negli ultimi giorni.
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