Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/04/2018, a pag.15, con il titolo "L’accusa del leader curdo dal carcere: 'Europa complice della repressione' " l'intervista di Marta Ottaviani al leader kurdo Selahattin Demirtas.
Bene fa Selahattin Demirtas, leader kurdo, a indicare nell'Europa una corresponsabile della repressione messa in atto dal regime di Erdogan contro i kurdi. Il silenzio e l'inazione dell'Occidente lasciano il campo libero alla Turchia islamista, all'Iran fondamentalista e all'espansionismo della Russia.
Ecco l'intervista:
Marta Ottaviani
La Turchia ha sostenuto i movimenti jihadisti durante la crisi siriana e adesso sta combattendo i curdi con l’appoggio di Russia e Iran e nel silenzio dell’Occidente. È durissimo, il leader curdo, Selahattin Demirtas. In carcere da quasi due anni con l’accusa di associazione a organizzazione terroristica, il giovane avvocato dei diritti umani, l’unico che in passato ha impensierito il presidente Recep Tayyip Erdogan, è uscito in questi giorni nelle librerie italiane con la sua raccolta di racconti «Alba», edita da Feltrinelli. La Stampa è riuscita a raggiungerlo tramite i suoi avvocati nel carcere di massima sicurezza dove è detenuto. Demirtas parla della situazione in Siria, della repressione post-golpe, della condizione delle donne, temi presenti anche nel suo libro, con una certezza di fondo: prima o poi l’era di Recep Tayyip Erdogan finirà.
Selahattin Demirtas
Selahattin Demirtas, la Turchia è impegnata con la Russia e l’Iran nella ridefinizione della Siria del futuro. Quale pensa sia stata l’attitudine di Ankara?
«La Turchia ha commesso un grosso errore nell’appoggiare i movimenti jihadisti durante la guerra civile. Ha fomentato il conflitto, il numero dei morti e reso la soluzione ancora più difficile. Ma a questa tragedia hanno contribuito anche l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Russia e l’Iran. Una soluzione permanente al dramma dei rifugiati in Europa (che però ha firmato un accordo con la Turchia, ndr) potrebbe favorire anche la fine della guerra. Invece Bruxelles ha ignorato i curdi, questo lo ha visto tutto il mondo, e non è stata in grado né di portare la pace in Siria né di trovare una soluzione alla crisi migratoria provocata dal conflitto».
Ankara da alcune settimane è impegnata militarmente nel Nord della Siria. Un’operazione ufficialmente contro il terrorismo jihadista e di matrice curda, ma secondo molti apertamente contro la minoranza. Le purghe dopo il golpe fallito nel 2016 hanno colpito anche i curdi in Turchia, che pure non ne erano gli esecutori. Come vivono ora?
«La pressione di Erdogan sta colpendo sia i curdi sia chiunque si opponga al governo del suo partito Akp. La gente viene arrestata, perde il posto di lavoro, finisce sotto processo. Oltre a questo, il popolo curdo non ha ancora il diritto di insegnare a scuola la propria lingua madre. L’articolo della costituzione che riconosce tutti solo come turchi rimane. I curdi sono trattati come potenziali terroristi. Più di 15 mila attivisti curdi in questo momento si trovano in carcere».
Le donne sono state un argomento centrale della sua azione politica e lo sono anche nel suo libro. Può parlarci della condizione femminile nel Paese?
«In Turchia, da quando governa l’Akp, le donne hanno incontrato e incontrano sempre più ostacoli per la loro emancipazione e la loro lotta. E continuano a pagarne il prezzo. Vengono sfruttati tutti i tipi di attacchi all’identità e al corpo femminile, la diseguaglianza, la mentalità autoritaria dominante. Emancipare le donne significa dare una nuova vita a tutti gli esseri viventi. Per questo la questione della libertà delle donne deve essere sull’agenda di ogni rivoluzionario, progressista e democratico».
Lei ha una moglie a cui è molto legato. Avete due bambine. Non teme che possa succedere loro qualcosa?
«Mia moglie è una persona molto forte. Uno spirito libero. Certo, di tanto in tanto mi preoccupo. Ma sono anche sicuro che sarà in grado di affrontare qualsiasi difficoltà. Lei è il mio amore dall’infanzia, la mia compagna di strada, la madre delle nostre figlie».
Veniamo al suo libro, che in Turchia ha avuto un grande successo. Quando ha iniziato a scriverlo e come lo definirebbe?
«Prima di essere arrestato ho pensato diverse volte di mettermi a scrivere, ma a causa dell’intensa attività politica non trovavo mai il tempo. Diciamo che ho approfittato della mia reclusione per concentrarmi su questo progetto. È un libro molto politico. Ho scelto apposta la forma del racconto per poter trattare diverse tematiche».
Lei è in carcere da quasi due anni e rischia l’ergastolo. Cosa succederà in Turchia? Erdogan è davvero invincibile?
«Tutti i regimi autoritari finiscono. In Turchia prima o poi la società sarà in grado di costruire il proprio futuro democratico».
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