Ecco gli articoli:
Giordano Stabile: "Ecco come Russia, Turchia e Iran cercano di spartirsi la Siria"
Giordano Stabile
Bashar al Assad
Per Vladimir Punti il difficile comincia ora. Ha vinto la guerra in Siria, salvato l’alleato Bashar al-Assad, aperto la strada, con misto di brutalità e astuzia, alla riconquista di due terzi dei territori da parte dell’esercito del regime. I principali rivali del raiss sono in ginocchio: l’Isis respinto in qualche remota area nel deserto, Al-Qaeda assediata nelle campagne di Idlib, i ribelli moderati cacciati da Aleppo, Damasco, Homs, deportati e posti sotto l’ombrello turco, dove possono attaccare sì i curdi ma non hanno più l’autorizzazione a condurre offensive contro i governativi.
Con la vittoria nella Ghouta orientale, la banlieue della capitale rimasta per cinque anni in mano agli insorti, Assad adesso guarda da vicino tre fronti ancora aperti, tre spicchi di Siria che gli sfuggono. Per consolidare il potere dell’alleato, lo Zar li deve mettere in sicurezza tutti e tre. Più con la diplomazia che con la forza. E per farlo deve trovare l’accordo fra Assad e Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco che ambisce al suo spicchio e ha un odio viscerale, ricambiato, per il raiss di Damasco.
Lo spicchio nord-occidentale, quello finito sotto l’influenza turca, è stato definito la «discarica dei jihadisti». Vi sono confluiti negli ultimi due anni tutti i gruppi ribelli, moderati e no, cacciati dal centro del territorio siriano. La parte settentrionale, dove c’è il cantone di Afrin appena strappato ai curdi con una campagna altrettanto brutale di quella nella Ghouta, è saldamente in mano a truppe turche e agli alleati di Jaysh al-Khor, l’Esercito libero siriano. La zona occidentale, attorno a Idlib, è contesa fra Al-Qaeda e i ribelli filo-turchi. Qui si gioca anche la partita Assad-Erdogan. Il presidente siriano vuole recuperare più territori possibile. Erdogan deve sbarazzarsi di Al-Qaeda ma vuole soprattutto allargare la sua zona verso Est, a spese dei curdi. I russi sono disposti ad aiutarlo, concedendo lo spazio aereo ai suoi cacciabombardieri. I dettagli di questa cooperazione sono stati discussi ieri ad Ankara dal capo di stato maggiore russo, Valery Gerasimov e il collega turco Hulusi Akar. In cambio dell’ok di Mosca il leader turco dovrà rinunciare a qualcosa attorno a Idlib.
Assad comunque non potrà recuperare tutto lo spicchio nord-occidentale ma dopo potrà concentrare le truppe sugli altri due fronti. Dove saranno indirizzate dipende dal vertice Putin-Erdogan-Rohani di oggi, ma anche da quello fra il leader russo e Donald Trump alla Casa Bianca. A Damasco sentono aria di smobilitazione da parte degli statunitensi. Lo spicchio nord-orientale, in mano a forze speciali Usa e guerriglieri curdi dello Ypg, è in bilico. È verso l’Eufrate, quindi, che si concentrano le manovre iraniane e siriane. L’intento, anche qui, è quello di recuperare più territori possibile, e lasciare al massimo in mano a Washington l’estrema punta nordorientale. Assad ha riallacciato le vecchie alleanze che il padre Hafez aveva instaurato con alcune tribù beduine della zona: con gli Shaitat, con lo sceicco dei Baggara, Abdullah Ghadawi, e con i Sabkha. Nelle zone liberate dai curdi non c’è ancora acqua potabile ed elettricità. La mancata ricostruzione spinge gli arabi, pur sunniti, nelle braccia del raiss. Sono nati gruppi di guerriglia che hanno già effettuato attacchi contro gli alleati degli Usa.
La situazione degli americani quindi è precaria, sia per le divisioni all’interno dell’Amministrazione Trump che per la situazione sul terreno. I guerriglieri curdi hanno ritirato gran parte dei loro uomini dal fronte, per spostarli al confine con la Turchia, tanto che l’Isis ha rialzato la testa e ripreso alcune posizioni. La riconquista, parziale, del Nord-Est, è possibile, anche perché, se gli Usa vanno via, ai curdi, minacciati da Ankara, non resterà che accordarsi con Damasco. Dove invece Assad non potrà avvicinarsi più di tanto, pena scontrarsi con un muro di ferro e di fuoco eretto da Israele, è la frontiera sudoccidentale. Le province di Dara’a e Quneitra sono ancora in parte in mano ai ribelli, mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu reclama una zona cuscinetto attorno al Golan, e ha colpito degli ultimi cinque mesi centinaia di volte postazioni e convogli di Hezbollah e dei Pasdaran. Assad non potrà riprendersi lo spicchio sud-occidentale se non con una guerra aperta. Ed è poco probabile che Putin in questo lo sostenga.
Marta Ottaviani: "Erdogan firma accordi con Putin ma è Mosca a fissare le regole"
Marta Ottaviani
Erdogan
Ha scelto la Turchia Vladimir Putin come prima visita ufficiale dopo la sua ennesima rielezione a presidente della Russia. Una scelta che vuole lusingare, forse anche tenere buona, Ankara, ma che, vista dall’esterno, ha una lettura ben precisa: la Turchia come fedele alleato dell’Occidente è un lontano ricordo. A confermarlo c’è la commessa per la fornitura del sistema missilistico S-400 da parte di Mosca, i cui ritmi di consegna, sono stati accelerati su precisa richiesta di Ankara, il secondo esercito numerico della Nato.
Putin è stato accolto dal suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, con tutta la solennità che l’occasione richiedeva. I due hanno inaugurato a distanza il cantiere della centrale nucleare di Akkuyu, la cui prima fase di costruzione terminerà nel 2023, nel centesimo anniversario della Repubblica turca, e portato avanti le trattative per la costruzione del Turkish Stream, che porterà il gas russo in Turchia e nell’Europa del Sud. I due progetti in totale valgono oltre 32 miliardi di dollari. Prima dell’incontro, durato un’ora e mezza, è stato tutto una stretta di mano, pacche sulle spalle e fotografie con comparse vestite nei tradizionali costumi ottomani e russi.
Successivamente, nella conferenza stampa, un Erdogan meno sorridente del previsto, ma che non riesce proprio a rinunciare al complottismo, ha assicurato che i rapporti fra Russia e Turchia si stanno rafforzando di giorno in giorno, nonostante «alcuni circoli tentino di avvelenarli», chiamando più volte Putin «il suo caro amico». I tempi dell’abbattimento del Sukhoi russo che volava sul confine con la Siria e l’omicidio in diretta televisiva dell’ambasciatore Andrej Karlov, datati novembre 2015 e dicembre 2016, sembrano acqua passata. Ma non gratis. Quello che è parso chiaro ieri, al di là degli slogan, è che Vladimir Putin farà l’amico e il partner d’affari con la Turchia, ma a modo suo. Il che significa concessioni con il contagocce nell’interesse di Mosca e che sulla Siria si fa come dice lui.
Di mezzo ci sono 6 milioni di turisti russi che dovrebbero tornare nel Paese quest’anno e di cui Ankara ha bisogno per risollevare il settore e alcuni accordi commerciali che, come ha ammesso il presidente turco, «devono ancora essere chiusi».
Putin, dal canto suo, ha definito la sua prima giornata turca «molto piena e con tanti argomenti trattati». Ha annunciato la consegna in anticipo del sistema missilistico e mentre Erdogan era impegnato a sottolineare che la commessa e i tempi più brevi erano un’iniziativa turca, Putin, dopo aver riconosciuto ad Ankara il ruolo di alleato costruttivo e affidabile e ribadito la volontà di agire in Siria al suo fianco contro il terrorismo, alla fine della conferenza stampa ha detto una cosa che ha fatto rabbuiare la faccia del presidente turco. I curdi per Mosca dovranno avere una parte nelle trattative del futuro del Paese.
Il metodo, insomma, da parte del Cremlino è sempre quello del bastone e della carota, dove con una mano si elargisce, ma dall’altra di tiene a freno l’esuberante ma potenzialmente ingombrate amico ritrovato.
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