La “marcia del ritorno”. Dove? I confini tra Gaza e Israele sono quelli legittimamente stabiliti a livello internazionale al momento della nascita dello Stato di Israele nel 1948. Quindi, si tratta di un tentativo di invasione. Ma non è questo il motivo della marcia. Il “ritorno” è nella Palestina pre-Israele, cioè l’eliminazione dello Stato di Israele. Può una marcia di ventimila persone produrre questo esito? Ovviamente no. I dirigenti terroristi di Hamas sono con l’acqua alla gola perché la loro decennale politica è fallita. Non resta loro che aizzare la povera gente di Gaza, imbottita di odio verso gli ebrei, a una avventura senza senso né scopo. Jason Greenblatt, inviato speciale di Trump per il processo di pace israelo-palestinese, ha detto a chiare lettere, in un editoriale sul “Washington Post”, che il “disastro umanitario è dovuto allo sfruttamento dei palestinesi di Gaza da parte di Hamas”, uno sfruttamento a tutti i livelli, soprattutto ideologico, da parte di una dirigenza criminale e fallimentare. Greenblatt ha detto, ritornando da un incontro al Cairo, che “ci sarà una sessione di ‘brainstorming’ alla casa Bianca la prossima settimana per trovare soluzioni reali ai problemi che Hamas ha causato”. Per “brainstorming” si intende un impegno approfondito, a tutto campo, per elaborare soluzioni valide e efficaci. L’impegno di Trump è volto a sostituire una soluzione americana allo stallo in cui si trova l’Onu. Washington ha bloccato di fatto ogni possibilità che il Consiglio di Sicurezza adotti le solite risoluzioni contro Israele. Anche i paesi arabi non hanno sollevato eccessive proteste, ben consapevoli che Hamas ha compiuto un atto indifendibile e soprattutto perché hanno tutto l’interesse a tenersi buoni gli americani di fronte al pericolo iraniano, ben più importante delle conseguenze delle iniziative – fallimentari – della dirigenza terrorista di Gaza. Le proposte che Washington avanzerà potranno servire ai palestinesi di Gaza per abbracciare “l’opportunità di respingere le politiche fallite di Hamas”, scrive Greeblatt, attuando una politica economica in grado di “sviluppare, con il tempo, un’economia sostenibile a Gaza”, tenendo conto delle “preoccupazioni di sicurezza di Egitto e Israele”. Quest’ultima parte dell’articolo dell’inviato americano è particolarmente importante. L’Egitto ha tutto l’interesse a che le sue frontiere con Gaza siano finalmente sicure e che i terroristi che spadroneggiano nel Sinai non siano più equipaggiati da Hamas. Dal canto suo, Israele desidera che i suoi confini con Gaza siano definitivamente tranquilli. Sarà in grado il miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi di Gaza, grazie al progetto americano, di eliminare con il tempo l’odio verso gli ebrei instillato nelle loro menti dai dirigenti di Hamas? Allo stato attuale delle cose, una risposta affermativa è molto difficile. Ma è pur vero che un rifiuto da parte di Hamas costituirebbe la sua sconfitta definitiva. Hamas ha chiesto una riunione urgente della Lega Araba, ma è difficile che in quella sede, come si è detto, si vada al di là di una blanda dichiarazione. L’Iran tace, solo Erdogan fa la voce grossa, ottenendo una risposta breve ma pungente da parte di Netanyahu. La posizione degli Stati Uniti nei confronti di Israele si fa sempre più coerente. Abu Mazen urla che gli accordi di Oslo non esistono più, ma sa bene che quegli accordi erano già falliti nel momento in cui erano stati firmati e tutto ciò per responsabilità esclusiva del terrorista Arafat. Quegli accordi servirono ad Arafat soltanto per incrementare l’attività terroristica, avendo ricevuto, con quegli accordi, una legittimazione internazionale ad agire come capo di un movimento di liberazione. Fu un grave errore di Rabin. Comunque, la “marcia del ritorno” si risolverà in una “marcia di ritorno” nelle proprie case da parte della gente di Gaza, dopo aver lasciato sul terreno un buon numero di terroristi e di gente comune, lanciata allo sbaraglio da criminali senza scrupoli. Ma per i terroristi la morte della propria gente “val bene una cena” al tavolo del signor Haniyeh.