Che fare contro il terrorismo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: il Pifferaio magico dell'islam
Cari amici,
in un tempo in cui le guerre vere sono rare come le epidemie e le carestie, il pericolo principale per il mondo è il terrorismo. Se ne parla continuamente, tutti lo condannano (perfino stati terroristi come l’Iran cercando di dirsi nemici del terrorismo…). Ma a me sembra che pochi abbiano chiaro di che cosa si tratta in realtà, quali sono i suoi obiettivi e quali i mezzi per sconfiggerlo. Di solito se ne parla come una cosa che avvenga, non come un’azione che qualcuno fa. Accade che qualcuno “si radicalizzi”, magari in carcere, come se prendesse un’infezione contagiosa; oppure che ci siano dei “filoni radicali”, delle “ali militari” di movimenti peraltro rispettabili in quanto “popolari”. Insomma una confusione estremamente pericolosa. Vorrei ragionarne con voi per cercare di chiarire le idee.
Cominciamo col cercare di capire di che cosa si tratta davvero, al di là dei tecnicismi giuridici. Il terrorismo è un mezzo di azione politica. Se una persona impazzisce e fa strage in una casa, per ragioni private come la gelosia, l’invidia, le allucinazioni, è chiaro che questo non è terrorismo. In secondo luogo, il terrorismo è un’irruzione di violenza, realizzata o minacciata, nella pace della vita quotidiana: se c’è una guerra e muoiono decine di soldati o anche persone che non c’entrano, questo non è terrorismo, magari può essere un crimine di guerra, se per esempio un esercito regolare bombarda una città senza cercare di escludere dal fuoco i civili o uccide degli ostaggi, ma non è terrorismo. L’irruzione di una violenza non annunciata in luoghi pacifici, non condotta da militari in divisa ma da persone che sono apparentemente anch’essa in pace, che guidano una macchina comune, entrano in un supermercato o in un autobus o in un ristorante o camminano per strada in abiti normali, ma poi tirano fuori le armi, fanno esplodere una bomba, conducono la macchina apposta contro i passanti, è la modalità centrale del terrorismo. Dal trauma che questa apparizione inaspettata della morte suscita in chi ne è minacciato esso trae il suo nome. E dal tentativo di uccidere sconosciuti, senza alcuna reciprocità possibile, deriva il senso di orrore che esso suscita in chiunque si fermi a rifletterci.
In terzo luogo, il terrorismo è compiuto di solito da forze irregolari, che conducono “guerre asimmetriche” contro eserciti più potenti, ma non tutte le azioni di guerriglia sono terrorismo; non per esempio un agguato contro una colonna militare nemica, mentre certamente è terrorismo l’irruzione in abitazioni del “nemico” per uccidere i civili che vi abitano. L’aspetto asimmetrico del terrorismo è essenziale. Non si fa terrorismo sperando di sconfiggere l’esercito nemico sul campo, ma solo quando questa possibilità è esclusa. Si colpiscono civili indifesi o anche militari in situazioni civili (per esempio, come è accaduto di recente in Francia oltre che in Israele, si cercano di travolgere con automobili militari fuori servizio), non lo si fa secondo una logica strettamente militare, che punta sempre a costruire una forza superiore a quella del nemico, secondo una razionalità della violenza. Il terrorismo invece non esclude affatto le morti inutili, che non servono a raggiungere la superiorità militare. Per questa ragione, come ha capito Dostoevskij, è intessuto di nichilismo, non ha rispetto per niente e per nessuno, neppure della vita dei propri sostenitori, come si vede negli attentati suicidi e nella “marcia” di venerdì, dove migliaia di persone, in primo luogo bambini, sono stati cinicamente (e terroristicamente) mandati ad abbattere un confine difeso da militari, coi risultati che sappiamo.
Il terrorismo funziona sfidando le forze regolari a esercitare la loro potenza. O lo fanno, e saranno biasimate per questo, dato che hanno usato le armi contro una forza minore e apparentemente civile. O non lo fanno, consentendo al gruppo terrorista di esercitare il loro potere anche dove sono militarmente debolissime. Il terrorismo sfida gli stati, dicendo: “prova a reprimere la mia violenza se ne hai il coraggio”. Se è il potere democratico raccoglie la sfida piange e strepita, cerca alleati facendo la vittima; se non trova reazioni adeguate, crea il suo potere sulla paura dei nemici e sul sostegno della sua base. Il primo caso è quel che accade in Israele, il secondo in Europa.
Per questa ragione il terrorismo è uno strumento politico, che segue logiche politiche più che militari. Si integra fortemente con la comunicazione, ne ha bisogno essenziale: le Brigate Rosse parlavano del loro terrorismo come “propaganda armata”. Bada con attenzione alle possibili reazioni dei nemici e della propria base, intendendo terrorizzare e rendere impotenti quelli ed esaltare questa. Sceglie modi e tempi per rendere il proprio impatto più forte che può.
Ma il suo legame con la politica è anche la debolezza del terrorismo. Per sconfiggerlo bisogna non solo resistere alle provocazioni militari, ma colpire il suo apparato politico e di propaganda, come prova a fare Israele, nonostante una certa riluttanza della sinistra, degli apparati mediatici e giudiziari. L’Europa invece non solo rifiuta la lotta con la violenza terrorista, e i suoi costi inevitabili. Ma si sforza di trovare una distinzione fra la direzione politica (che in quanto politica sarebbe “buona” in quanto “popolare”) e l’esecuzione militare. Per questo condanna alla sconfitta se stessa e che sta ad ascoltare le sue ridicole lezioni di morale.
Ugo Volli