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Informazione Corretta Rassegna Stampa
02.04.2018 IC7 - Il commento di Dario Peirone: Il coraggio di imparare da Israele
Dal 25 al 31 marzo 2018

Testata: Informazione Corretta
Data: 02 aprile 2018
Pagina: 1
Autore: Dario Peirone
Titolo: «IC7 - Il commento di Dario Peirone: Il coraggio di imparare da Israele»

IC7 - Il commento di Dario Peirone
Dal 25 al 31 marzo 2018

Il coraggio di imparare da Israele

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Siamo nel pieno delle festività della Pasqua ebraica e di quella cristiana, un momento di riflessione e di raccoglimento, utile per ragionare sul passato e progettare il futuro. Stiamo anche assistendo all’ennesima minaccia da parte dei terroristi di Hamas, che utilizzano in modo ignobile la popolazione di Gaza come scudo umano, dopo averla tenuta alla fame mentre compravano armi e vendevano droga, organizzavano attentati ed educavano i bambini all’odio e al terrorismo. Se qualche giornalista è sempre pronto alla lacrima di fronte alle “pacifiche” (??) manifestazioni palestinesi, oggi gli assetti internazionali non sono più quelli dell’era obamiana, in cui tutti erano sempre pronti a condannare Israele e a sorvolare sull’odio e la corruzione presenti nella politica palestinese. È di pochi giorni fa l’approvazione, da parte del Congresso americano con voto bipartisan, del Taylor Force Act, la legge che prende il nome di Taylor Force, l’ex cadetto di Westpoint assassinato l’8 marzo del 2016 al porto di Giaffa mentre si trovava in vacanza in Israele.

Il Taylor Force Act intende tagliare i fondi all’Autorità Palestinese finché essa continuerà a remunerare i terroristi e le loro famiglie per i loro atti di violenza. Altro che l’Europa e le sue “etichette” sui prodotti provenienti dalle “colonie”! E l’Italia? In questo momento appare distratta dal “dopo elezioni”, immersa in una notevole incertezza su quale governo potrà formarsi e con quale indirizzo politico. Ho trovato su internet un’interessante descrizione: “un sistema economico che è una miscela infruttuosa di capitalismo, socialismo e anarchia il cui scopo è quello di perpetuare il controllo” del sistema di potere esistente. Questa definizione si riferisce ad un paese con un enorme debito pubblico (superiore al 120% del PIL), pieno di burocrazia e regolamenti dell’iniziativa privata, in cui non è mai partita una vera privatizzazione delle aziende di proprietà statale, che operano in settori protetti e nonostante questo riescono ad accumulare debiti e cattive gestioni, drenando risorse che potrebbero altrimenti essere liberate nel sistema economico.

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Probabilmente, molti di voi avranno riconosciuto una descrizione abbastanza fedele della situazione italiana. Eppure, la descrizione di cui sopra appartiene ad una pubblicazione che analizza l’economia di Israele negli anni ‘80. Come sempre, Israele dà il meglio nelle situazioni di emergenza. Anche in quel caso, la pessima situazione economica fu lo spunto per attuare riforme radicali e liberare energie e risorse, che avrebbero fatto diventare lo stato ebraico una delle economie più dinamiche e innovative a livello globale. La teoria economica sottolinea il ruolo centrale degli investimenti nel creare crescita. Una bassa tassazione, bassi disavanzi pubblici e una snella regolamentazione sono la chiave per stimolare gli investimenti, aumentare l’occupazione e ottenere una crescita a lungo termine. Dal 1973 fino alla metà degli anni ‘80, la spesa pubblica israeliana aumentò drasticamente ed erano fortemente limitati gli scambi commerciali e valutari con l’estero (tranne che per le importazioni militari). Di conseguenza, la crescita e l'occupazione subirono una drammatica frenata ed il sistema economico entrò in una fase di stagnazione per anni.

Come nelle economie europee, l'aumento delle spese per il welfare non era in grado di rimediare all'ineguaglianza di reddito e alla disoccupazione. Sull'orlo del collasso economico, il mondo produttivo dettò alla politica un nuovo approccio, basato sulla riduzione del coinvolgimento del governo nell'economia e un passaggio ad una maggiore libertà dei mercati. Il programma di stabilizzazione del 1985 pose fine a un decennio di inflazione molto elevata causata da ampi disavanzi pubblici. Per ripristinare la fiducia nell'impegno del governo a condurre una politica fiscale responsabile, furono adottate due importanti decisioni: una legge per vietare la stampa di moneta da parte del governo e una legge per limitare il deficit di bilancio. Questi provvedimenti hanno svolto un ruolo importante nel miglioramento costante dei principali parametri macroeconomici dell'economia israeliana, riducendo l'inflazione ed il peso delle spese governative nel PIL, allo stesso tempo aumentando la responsabilità fiscale dei vari governi al potere. È stato inoltre avviato un vero processo di privatizzazioni, il cui migliore esempio è stato il successo della privatizzazione della compagnia aerea EL AL.

Il mercato dei capitali fu un'altra area oggetto di radicali cambiamenti. Fino al 1985 i fondi pensione investivano i loro fondi in obbligazioni governative speciali non negoziabili, che pagavano alti tassi d'interesse (molto al di sopra dei tassi di mercato). Nel 1985, il governo israeliano smise di emettere queste obbligazioni speciali e quindi i fondi previdenziali dovettero investire direttamente nei mercati dei capitali. Queste riforme hanno diminuito il debito pubblico, eppure allo stesso tempo la spesa sociale non ha registrato un calo. Com’è stato possibile? Tre fattori hanno consentito l'aumento delle spese sociali e assistenziali. Il primo è stato la crescita economica, che ha fornito entrate fiscali aggiuntive. Il secondo è stato il processo di pace, in seguito all'accordo di Oslo del 1991, che ha portato a una riduzione del 4% (da circa il 21% al 17% del bilancio) della quota relativa delle spese per la difesa tra il 1989 e il 1999. Il terzo è la riduzione dei tassi di inflazione, dal 15% all'inizio degli anni '90 a quasi lo 0% alla fine di quel decennio. Una gran parte del debito pubblico in Israele è legata al tasso di inflazione. Pertanto, quando il tasso di inflazione diminuisce, si riducono i pagamenti di capitale e interessi. Non dimentichiamo, infine, che proprio in quel periodo Israele accoglie un milione di immigrati che arrivano dall’ex Unione Sovietica.

Il caso di Israele è molto importante per capire che nessuna politica di austerità, da sola, può produrre una diminuzione vera e stabile del debito pubblico. Soltanto un mix di riduzioni della pressione fiscale, riforme strutturali della spesa e deregolamentazione, può ripristinare la crescita e superare le crisi create, a livello sociale, da politiche sbagliate e di corto respiro. Il debito pubblico israeliano è passato dal 159,5% del PIL del 1985, al 62,2% nel 2016, con una tendenza a diminuire. La disoccupazione è oggi minore del 4%, praticamente un livello di piena occupazione. La sfida che Israele sta affrontando ora è quella di una nuova trasformazione economica, in cui non appoggiarsi al solo settore dell'alta tecnologia, ma diversificando la sua composizione industriale per incoraggiare e assicurare una partecipazione più uniforme dell'intera popolazione alla crescita futura.

L’Italia, ovviamente in un contesto diverso, ha molto da imparare dal caso israeliano. Se la politica riuscirà finalmente a capire che non possono esistere riduzioni di spesa senza al contempo liberare energie per investimenti e produzione, attraverso un vero piano di tagli alle tasse e facilitazioni ad intraprendere, potremo tornare ad un percorso di crescita duratura e sostenibile, producendo ricchezza e occupazione. Sicuramente, il reddito di cittadinanza è una proposta più facile e politicamente redditizia. Così come la critica ad Israele, la difesa della corrotta leadership palestinese e l’ironia sul Presidente degli Stati Uniti. Attuare politiche serie con strategie di lungo periodo, imparare da Israele e dalla riforma fiscale USA, adottare una linea chiara e netta contro il terrorismo e condannare le azioni dell’ANP e di Hamas sono decisioni sicuramente più complesse e ci vuole senz’altro più coraggio. Ma in fondo la Pasqua, sia che si festeggi la libertà ritrovata dopo la schiavitù o la resurrezione dopo la morte, è il periodo giusto per progettare il futuro con ottimismo. O almeno provarci.

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Dario Peirone, Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Dipartimento di Economia e Statistica, Università di Torino


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