Il tentativo di invasione dello Stato di Israele al confine con Gaza è la notizia più importante su tutti i quotidiani. Riprendiamo su tre pagine di IC commenti, interviste, cronache. Segnaliamo anche i titoli più ostili a raccontare la verità su quanto è accaduto.
Tra i quotidiani a maggior diffusione nazionale, il solo che ha dato una versione corretta è la STAMPA, che si riconferma il giornale più attendibile per l'attenzione alla politica estera. Ovviamente, come sempre, i commenti di Fiamma Nirenstein sul GIORNALE in prima pagina, Carlo Panella su LIBERO, Giordano Stabile sulla STAMPA
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: "La marcia di Gaza diventa una guerra"
Fiamma Nirenstein
C' è confusione sui numeri ma non sul significato della «Marcia del ritorno», come l'ha chiamata Hamas. 16 morti, 1.400 feriti e 20mila dimostranti sul confine di Israele con Gaza, in una manifestazione organizzata per essere solo la prima in direzione di una mobilitazione di massa che dovrebbe avere il suo apice il 15 di maggio, giorno della Nakba palestinese, il «disastro», festa dell'indipendenza di Israele, che coinciderà anche con il passaggio dell'ambasciata americana a Gerusalemme. Uri escalation continua di eccitazione mentre cresceva l'incitamento ha visto per ben quattro volte unità di giovani armati di molotov, bombe a mano e coltelli, infiltrati dentro il confine. Un esempio limitato di quello che Hamas vorrebbe riprodurre su scala di massa, owero l'invasione di Israele, come nei loro discorsi ieri hanno ripetuto i leader massimi Ismail Hanyie e Yehyia Sinwar. Non a caso nei giorni della preparazione si sono svolte esercitazioni militari con lanci di razzi e incendi di finti carri armati, pretesi rapimenti e uccisioni che hanno persino fatto scattare i sistemi antimissile spedendo gli israeliani nei rifugi. Il messaggio di Hamas era chiaro: marciate, noi vi copriamo con le armi. Ma le intenzioni terroriste sono state incartate dentro lo scudo delle manifestazioni di massa e l'uso della popolazione civile, inclusi donne e bambini, è stato esaltato al massimo. Molti commentatori sottolineano che se Hamas decide di marciare, non ci sia molta scelta. E una marcia di civili risulta indiscutibile presso l'opinione pubblica occidentale, ma il messa o sottinteso è stato spezzare il confine sovrano di Israele con la pressione della folla civile, utilizzare le strette regole di combattimento dell'esercito israeliano che mentre lo stato maggiore si arrovellava, si è trovato nel consueto dilemma delle guerre asimmetriche: tu usi soldati in divisa e il nemico soldati in abiti civili, donne, bambini, talora palesemente utilizzati come provocazione. L'esercito ha confermato che una piccola di sette anni per fortuna è stata individuata in tempo prima di venire travolta negli scontri. E in serata Israele ha bombardato con cannonate e raid aerei tre siti di Hamas a Gaza in risposta a un tentativo di attacco armato contro soldati. Nella notte, intanto, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite si è riunito a porte chiuse per discutere della situazione. La protesta di Hamas - che arriva alla vigilia della festa di Pesach, la Pasqua ebraica - ha vari scopi: il primo è legato alla situazione interna di Gaza. L'uso militarista dei fondi internazionali e il blocco conseguente del progresso produttivo ha reso la vita della gente miserabile e i confini restano chiusi. E colpa della minaccia che l'ingresso da Gaza di uomini comandati da un'entità terrorista, comporta per chiunque, israeliani o egiziani. Hamas con la marcia incrementa la sua concorrenza mortale con l'Anp di Abu Mazen, cui ha cercato di uccidere pochi giorni fa il primo ministro Rami Hamdallah; minacciata di taglio di fondi urla più forte che può contro Israele, cosa su cui la folla araba, anche quella dei Paesi oggi vicini a Israele come l'Arabia Saudita e l'Egitto, la sostiene. Il titolo «Marcia del ritorno» significa che non può esserci nessun accordo sul fondamento di qualsiasi accordo di pace, owero sulla rinuncia all'ingresso distruttivo nello Stato ebraico dei milioni di nipoti dei profughi del '48, quando una parte dei palestinesi fu cacciata e una parte se ne andò volontariamente certa di tornare sulla punta della baionetta araba. Israele ha cercato invano di evitare che alle manifestazioni si facessero dei morti. Ma nessuno Stato sovrano accetterebbe da parte di migliaia di dimostranti guidati da un'organizzazione che si dedica solo alla sua morte una effrazione di confini. Hamas userà i nuovi shahid (povera gente) per propagandare la sua sete di morte in nome di Allah e contro Israele. Certo questo non crea in Israele maggiore fiducia verso una pace futura.
La Stampa-Giordano Stabile:" Hamas sposta le masse al confine e punta al ritorno dei profughi del '48"
Giordano Stabile
Un’onda umana, una fanteria disarmata fatta di donne, bambini, ragazzi, per sfondare il confine e riappropriarsi dei territori perduti, fossero pure pochi metri quadrati e per pochi minuti. La strategia adottata da Hamas ha messo in difficoltà Israele e costretto i suoi militari nella difficile posizione di chi deve sparare sui civili. L’esercito se lo aspettava, perché i preparativi andavano avanti da giorni, ma non era facile trovare contromisure. Alla fine il capo di Stato maggiore Gadi Eizenkot ha annunciato l’invio di «cento cecchini», come monito ai dirigenti palestinesi perché non forzassero la mano. Le capacità organizzative del movimento, per quanto fiaccato da dieci anni di assedio, si sono rivelate però impressionanti. Trentamila persone sono state spostate in otto tendopoli allestite lungo la frontiera, a ridosso della recinzione che separa la Striscia Gaza dalla Stato ebraico. Dall’altro lato, in realtà, ci sono territori israeliani all’interno dei confini del 1967, ma Hamas rivendica il «diritto al ritorno» in tutta la Palestina storica, «i confini del 1948». «La linea rossa è molto chiara – ha replicato il premier israeliano Benjamin Netanyahu -: restino dalla parte di Gaza e noi restiamo in Israele». L’idea di spingere civili disarmati contro le linee dell’esercito era già stata minacciata da Hezbollah nel Sud del Libano, ma mai messa in pratica. Ieri non è andata così: la Giornata della Terra, che si celebra ogni 30 marzo, nasce da una manifestazione finita nel sangue nel 1976, quando gli arabo-israeliani protestavano per l’esproprio delle loro terre a favore di insediamenti ebraici in Galilea. Sei rimasero uccisi. Un bilancio superato ieri, e di molto. Le proteste, nei piani di Hamas, dureranno fino al 15 maggio, giorno della Nakba, la data dell’indipendenza di Israele e dell’inizio della guerra 1948-1949 conclusa con la sconfitta degli eserciti arabi e palestinesi e che quindi quest’ultimi ricordano come il “disastro”. Quest’anno il 15 maggio segnerà anche il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, «l’ultimo chiodo sulla bara» delle speranze palestinesi di arrivare a una patria indipendente. La mossa dell’amministrazione Trump non ha «spezzato l’incantesimo», come sperava la Casa Bianca. Invece di spingere i palestinesi a un compromesso, ad accontentarsi di meno per arrivare all’accordo di pace, ha favorito la posizione oltranzista di Hamas. Tanto vale provare un’insurrezione totale, ragionano, con la popolazione civile in marcia, a costo di immolarla, e rivendicare l’intera Palestina, i «confini del 1948», cioè prima della nascita di Israele. Al-Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen, è costretto ad accodarsi. Ieri il suo portavoce Yusef al Mahmoud ha chiesto «un intervento internazionale per fermare lo spargimento del sangue». Ramallah, Betlemme, Nablus si preparano a marciare come Gaza. Il vecchio raiss è stretto fra un’America schierata come mai prima con Israele e una popolazione stanca, esasperata. La sua strategia di coinvolgere Onu, Europa, Russia, scavalcare Washington e rivendicare i diritti dei palestinesi su Gerusalemme, è fallita. Alla fine tutto quello che ha potuto offrire è il rabbioso insulto «ibn al-kalb», figlio di un cane, rivolto all’ambasciatore americano David Friedman, che già vive a Gerusalemme e ha aperto un altro fronte, quello degli insediamenti in Cisgiordania, «legittimi» a suo parere. Il governo di Netanyahu ha pronta la legge per annetterli e ha giurato che mai saranno smantellati. Lo Stato palestinese, se mai nascerà, si fa più piccolo di giorno in giorno e oltre ad Hamas anche movimenti laici come quello di Mustafa Barghouti vogliono abbandonare la strada dei «due popoli, due Stati» a favore di «uno Stato unico», dove ebrei e palestinesi godranno degli stessi diritti. È una soluzione inaccettabile da parte dello Stato ebraico, e lo sanno, perché lo «Stato unico» presto non sarebbe più «ebraico». Nonostante l’aumento della natalità fra gli ebrei, i rapporti demografici si stanno invertendo. L’ultima relazione del Cogat, Coordination of government activities in the territories, registra in Cisgiordania 2,7 milioni di arabi, 2 milioni a Gaza, 1,8 milioni in Israele. In totale 6,5 milioni, mentre gli ebrei sono 6,7. Significa, ha notato il colonnello Uri Mendes, che per la prima volta dal 1967, «fra il Mediterraneo e il fiume Giordano» gli arabi hanno quasi raggiunto la parità. E Hamas vuole anche il ritorno dei profughi, dal 1948 in poi, che con i discendenti sono 5 milioni. Per la prima volta Israele si è trova di fronte a una muraglia umana che avanza, disarmata, e per questo più difficile da fermare.
Libero-Carlo Panella:" Hamas manda al massacro i 'profughi di professione' "
Carlo Panella
Pesantissimo il bilancio degli incidenti che Hamas ha organizzato lungo la frontiera tra la striscia di Gaza e Israele, nel tentativo di sfondare con una «Grande marcia del Ritorno» le barriere di confine e di «occupare» una parte del territorio israeliano: 14 morti e un migliaio di feriti. Un'iniziativa palestinese al solito awenturista e provocatoria dal duplice fine: umiliare le forze armate israeliane, dimostrando che non sono in grado di difendere la frondera e ribadire materialmente che Israele non è lo stato degli ebrei e che tutti i 5 milioni di profughi palestinesi sparsi per il mondo e 4.700.000 palestinesi residenti appunto a Gaza e in Cisgiordania hanno intenzione di ritornare in Israele, schiacciando i sei milioni di ebrei che vi risiedono. Gli incidenti si sono sviluppad per ore lungo una cinquantina di chilometri tra i posti di frontiera di Rafah e di Khan Younis nel sud, di el-Bureij e di Gaza City al centro e di labalya nel nord. Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh ha arringato la folla assicurando che «oggi è l'inizio del ritorno di tutti i palestinesi». L'esercito israeliano, che ha disposto un centinaio di tiratori scelti lungo la frontiera e un consistente dispositivo di truppe e blindati, ha risposto con estrema decisione a tutti i tentativi di scardinare le barriere che separano Gaza da Israele, mentre i manifestanti hanno tirato molotov e pietre e bruciato copertoni. La direzione delle operazioni è stata assunta personalmente dal «falco» ministro della Difesa di Israele Avigdor Liebermann che non ha perso l'occasione per dimostrare -anche agli avversari interni- la sua durezza. L'iniziativa provocatoria di Hamas ha due obbiettivi, uno nei confronti di Israele e dell'opinione pubblica internazionale e l'altro contro la stessa dirigenza palestinese dell'Anp della Cisgiordania.
RIFUGIATI A VITA Nei confronti di Israele, Hamas approfitta della demenziale decisione dell'Onu di privilegiare i profughi palestinesi rispetto a quelli di tune le altre nazioni del mondo. Questi ultimi vedono riconosciuto lo status legale di profugo solo a chi è materialmente fuggito dalla sua regione o patria natale, non certo ai suoi figli. La Unrwa, l'organizzazione dell'Onu dei profughi palestinesi, riconosce invece lo status legale di profugo anche ai figli dei profughi palestinesi fuggiti durante le varie guerre (da11948 al 1973). Se si applicasse questo demenziale criterio, ad esempio, i profughi italiani dalla Dalmazia e Istria che erano 300.000 nel dopoguerra, oggi sarebbero non meno di due milioni. A seguito di questo artificio i «profughi» palestinesi nel mondo sono 5.100.000 (quelli veri, originali non raggiungono il milione) e chiedere come fa Hamas (ma anche la Anp di Abu Mazen) il loro «diritto al ritorno» punta solo a prefigurare la fine dello Stato degli ebrei. A fronte dei 6 milioni di ebrei che abitano Israele si ergerebbero infatti 1.800.000 palestinesi con cittadinanza israeliana, i 2.700.000 di palestinesi della Cisgiordania, i due milioni dì palestinesi di Gaza e, appunto, i 5 milioni di «profughi» che risiedono in altri paesi. Se si concretizzasse il «ritorno» preteso da Hamas, in Israele gli ebrei diventerebbero una minoranza. Un quadro non solo impraticabile, ma anche artificioso. Non è infatti un caso che proprio su questo «diritto al ritorno» siano sinora naufragati tutti i colloqui di pace tra Ismele e palestinesi mentre la comunità internazionale -proprio a causa del «trucco» dell'Unrwa e dell'unicum dell'ereditarietà dello status di profugo- mantiene sul punto un atteggiamento più che ambiguo (del quale l'avventurismo palestinese profitta).
MESSAGGIO ALL'OLP Ma la decisione di Hamas di creare questi gravissimi incidenti con Israele ha anche uno scopo tutto interno al contesto palestinese. Per l'ennesima volta è infatti di nuovo fallito il tentativo di formare un governo unitario tra Olp e Hamas, contemporaneamente le condizioni di vita a Gaza - trasformata da Hamas in uno sterile fortino da guerra - sono peggiorate e infine sta prendendo piede in Cisgiordania un forte movimento di manifestazioni pacifiche e assolutamente non violente contro l'occupazione israeliana. Con i caduti palestinesi di oggi - volutamente ricercati - Hamas al solito ha giocato la sua partita di morte su tutti questi tavoli.
Il Foglio-Editoriale: " Capire le morti di Gaza"
l
Ieri gli scontri al confine lungo la Striscia di Gaza tra manifestanti palestinesi ed esercito israeliano hanno provocato dodici morti tutti di parte palestinese, qualche centinaio di feriti e la prevedibile e automatica indignazione sui media. L'esercito israeliano ha sparato sui civili inermi, ha detto la vulgata, dimenticando tuttavia alcuni fatti fondamentali. La "marcia del ritorno" è stata indetta per commemorare "l'esproprio delle terre arabe" nel 1948 e le proteste continueranno fino al 15 maggio. Bisognerebbe ricordare, anzitutto, che nella Striscia di Gaza non c'è nessuna occupazione israeliana dal 2005. C'è un blocco navale e uno dei confini, certo, che è imposto da Israele per garantire la propria sicurezza e che comunque non impedisce alla leadership di Hamas di ricevere copiosi aiuti umanitari immediatamente reindirizzati nella costruzione di missili e armamenti da utilizzare contro il popolo israeliano. Gaza è un territorio libero dal quale ieri si sono mosse 17 mila persone organizzate da Hamas, con molotov e pietre, che hanno cercato di "ritornare" verso il legittimo territorio di Israele: ieri l'esercito di Gerusalemme ha mostrato video che dimostrano come alcune cellule terroristiche abbiano cercato di infiltrarsi nei confini approfittando dei disordini. L'esercito ha sparato laddove i palestinesi hanno tentato di superare i reticolati di confine, e il numero delle vittime è stato massimizzato dalla tattica spietata di utilizzare i civili e in alcuni casi perfino i bambini come scudi umani. I morti di ieri sono una tragedia, ma una tragedia in cui le politiche di Hamas hanno giocato una parte fondamentale.
Per inviare la propria opinione, telefonare:
Il Giornale: 02/85661
La Stampa: 011/65681
Libero: 02/999666
Il Foglio: 06/ 5890901
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti