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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
29.03.2018 Torino, arrestato prima della strage il terrorista musulmano: 'Sgozzate gli infedeli'
Cronaca di Massimiliano Peggio, commento di Giordano Stabile, Alberto Giannoni riporta le parole di Davide Romano

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Massimiliano Peggio - Giordano Stabile - Alberto Giannoni
Titolo: «Studiava attentati con camion bomba nel nome di Allah - Educatori, reclutatori e combattenti. Così il Califfato ha trasformato gli imam - 'Confiscare le moschee dei fanatici'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/03/2018, a pag.2, con il titolo "Studiava attentati con camion bomba nel nome di Allah" la cronaca di Massimiliano Peggio; a pag. 1-3, con il titolo "Educatori, reclutatori e combattenti. Così il Califfato ha trasformato gli imam", il commento di Giordano Stabile; dal GIORNALE, a pag. 3, con il titolo 'Confiscare le moschee dei fanatici', il commento di Alberto Giannoni, che riporta le parole di Davide Romano.

A destra: il terrorista Elmhadi Halili

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Massimiliano Peggio: "Studiava attentati con camion bomba nel nome di Allah"

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Massimiliano Peggio

Entrando nella questura di Torino, Halili ha sollevato la testa, sfilando tra gli uomini incappucciati della Digos e dell’antiterrorismo, quasi con l’orgoglio di un soldato catturato in battaglia. «Sono fiero di andare in carcere per Allah» ha detto, ripetendo la stessa frase in arabo. Halili El Mahdi 23 anni, marocchino naturalizzato italiano, è stato arrestato ieri con l’accusa di aver «partecipato all’organizzazione terroristica Isis» «ricevendo, condividendo e diffondendo» materiale di propaganda dello Stato Islamico e della jihad come video, foto, documenti e notizie provenienti dai canali ufficiali del Califfato». Da tempo impartiva lezioni a un giovane, Eliamon Aristide Hermann Akossi, alias Ibrahim, su come uccidere, innescando il suo odio. Gli mostrava video su come sgozzare e «far esplodere i nemici dell’Islam».

Con lui sono stati indagati altri 12 «contatti»: tre italiani convertiti, un ivoriano, altri magrebini. Alcuni già espulsi. La Digos, coordinata dal pm Antonio Rinaudo, con il supporto del servizio centrale dell’Ucigos per il terrorismo esterno, ha effettuato 13 perquisizioni: Milano, Napoli, Modena, Bergamo e Reggio Emilia. Sequestrati tablet, pc e volantini in lingua araba.

Non era un «cellula pronta al martirio», ma in una scala da 1 a 10, - dicono gli esperti dell’antiterrorismo - Halili era a livello 9. Per la sua capacità di interpretare al meglio questa stagione di «Jihad post-ideologica», in cui non conta più il messaggio in sé, ma prevale il mezzo col quale viene trasmesso: la rapidità di diffusione, la sua capacità di fare presa con immagini dalla forza ipnotica. Rilanciando le dottrine del terrore, incitava a uccidere i miscredenti, «con ordigni e pallottole». E se «non riesci a spaccargli la testa con una roccia - scriveva - sgozzalo con un coltello, investilo con un’auto, buttalo da un piano alto, soffocalo, avvelenalo, non fallire. Se non riesci allora brucia la sua casa, la sua auto, la sua attività, rovina la sua coltivazione. Se non riesci sputagli in faccia».
Tra gli ultimi manuali che Halili aveva scaricato dai network del terrore, dal sito Rumiyah, ci sono le nozioni su come organizzare attacchi, come usare camion bomba, come scegliere i veicoli ideali, gli obiettivi e pianificare un’azione. Nel 2015, quando incappò per la prima volta nella giustizia, patteggiando due anni di reclusione per istigazione a delinquere, per aver tradotto in italiano e diffuso online «il primo documento organico di propaganda ideologica estremista», era solo un adepto. L’arresto lo ha rafforzato. È diventato un «maestro». Il suo amore per lo Stato Islamico è cresciuto assieme all’odio contro tutti gli «infedeli», occidentali, o musulmani non osservanti. Nelle carte dell’inchiesta si parla di «teoria della complicità», che giustifica attacchi anche contro obiettivi islamici. Anche in casa sua, alla periferia di Torino, non celava il suo estremismo, tanto da rimproverare la madre che gli toccava il cibo. «Il suo integralismo crescente, impregnato di segnali violenza, ci ha indotti a intervenire con sollecitudine» ha detto il questore, Francesco Messina.

Halili cercava seguaci anche su Facebook, con «un Vanity Name», scrive nell’ordinanza il Gip Ambra Cerabona, che ha disposto il suo arresto in carcere. Il suo profilo era Medhi Fulaan. A volte, quando andava in giro nelle periferie, cercando adepti in strada, impartiva lezioni prive di dottrina. Senza sapere, però, di essere intercettato. Un giorno, rispondendo a un giovane che non riusciva a conciliare il terrorismo con il Corano che insegna che «chi uccide una persona è come se uccidesse l’umanità», lui ha risposto stizzito. «Frottole. Maometto ha ucciso più di 600 persone in un giorno».
Aveva moltissimi contatti. Con Abderrahmane Khachia, 23 anni, il marocchino residente a Varese, arrestato nel 2016 che, dopo l’attentato al Bataclan di Parigi aveva esultato: «Quello che sta per accadere è solo l’inizio». E suo fratello Oussama Khachia, dopo l’espulsione dall’Italia, è morto in Siria tra i combattenti dell’Isis. Utilizzando Facebook ha raggiunto italiani convertiti all’Islam: Icaro Bilal Masseroli, Free Musa Cerantonio, Gabriele Iungo e Luca Aleotti, 33 anni di Reggio Emilia, indagato nel 2016 per i suoi post e poi prosciolto, ma rimasto sotto la lente degli investigatori. Halili ha scambiato post anche con Abderrahim Moutaharrik, il campione di kickboxing arrestato sempre nel 2016, e condannato a sei anni per terrorismo.

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Educatori, reclutatori e combattenti. Così il Califfato ha trasformato gli imam"

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Giordano Stabile

Predicatori e combattenti. Per l’Isis non c’è differenza. A partire dal califfo, guida dei credenti e supremo capo militare, religione, politica e guerra sono un tutt’uno, in base all’ideologia salafita. Gli imam vengono trasformati in reclutatori, addestratori ed educatori.
I quali fanno il lavaggio del cervello agli aspiranti jihadisti fino al «martirio».
Il termine salafismo deriva da al-salaf al-salih, «i pii predecessori», le prime tre generazioni di musulmani, considerate le uniche rispettose dei principi islamici. Bisogna distinguere però fra un salafismo conservatore, che ha modellato le società del Golfo, e il «salafismo jihadista», secondo una definizione coniata dall’islamologo Gilles Kepel.
È visione estrema, minoritaria dell’islam. Per i musulmani l’imam è «colui che guida la preghiera», alla lettera colui che «sta davanti» ai fedeli. Il problema è che fra i sunniti non c’è una gerarchia, anche se gli Stati esercitano uno stretto controllo sui predicatori «ufficiali» chiunque può autoproclamarsi imam. In questo vuoto si sono inseriti i «predicatori dell’odio». Prima con la tv, poi con Internet e YouTube, si sono creati un seguito sempre più vasto. Hanno sfruttato il malcontento per i regimi autoritari in Medio Oriente e giocato un ruolo importante nella Primavera araba e poi nel dilagare dei movimenti islamisti.

Un personaggio fondamentale è per esempio l’imam egiziano-qatarino Wagdy Ghoneim, fustigatore dell’ex presidente Hosni Mubarak ma anche dell’attuale presidente tunisino, Béji Caid Essesbi, bollato come «miscredente». Wagdy Ghoneim è famoso anche per aver tenuto l’elogio funebre del primo attentatore alle Torri gemelle, Omar Abdel-Rahman. Un’altra figura chiave è Seifallah Ben Hassine, nome di battaglia Abou Iyadh al-Tounsi. Fondatore del Groupe combattant tunisien (Gct), combatte negli Anni Ottanta in Afghanistan, a Jalalabad conosce tutte le figure chiave del jihadismo maghrebino, a partire dal leader libico di Al-Qaeda, Abdelhakim Belhaj. Imprigionato in Tunisia, Abou Iyadh viene liberato dall’amnistia generale dopo la caduta di Ben Ali e mescola predicazione, attività politica e terrorismo, fino ad aiutare il terrorista dell’Isis che ha fatto strage di turisti occidentali a Sousse il 27 giugno 2015, Seifeddine Rezgui.
Abou Iyadh è un modello per i predicatori passati all’azione con l’Isis in Europa, come l’imam di Ripoll Abdelbaki el-Satty, organizzatore degli attacchi in Catalogna lo scorso agosto. Oppure Anjem Choudary, il «predicatore dell’odio» britannico che ha ispirato l’attacco al London Bridge del 3 giugno 2017, poi arrestato. Khuram Butt, uno dei terroristi, era anche seguace dell’americano Ahmad Musa Jibril. Tutte figure con ampio seguito in Rete e che hanno come progenitore lo statunitense-yemenita Anwar Awlaki, l’imam che predicava nella moschea della Virginia frequentata dai terroristi del’11 settembre, poi ucciso in un raid nello Yemen.

Tutti esempi che mostrano come il passo dalla predicazione all’azione sia breve. La mancanza di una chiara gerarchia religiosa sunnita favorisce travasi e deviazioni. L’Università Al-Ahzar del Cairo ha sempre condannato il salafismo jihadista, ma all’autorità morale non corrispondono i mezzi finanziari che hanno istituzioni più conservatrici in Arabia Saudita, come l’Imam Saudi University, l’Umm Al-Qura, e l’Università della Medina, anche se adesso il principe ereditario Mohammed bin Salman sta riportando la situazione sotto controllo e allineando gli ulema alle riforme in senso più liberale.
Oltre a dare sostegno a gruppi e lupi solitari in Occidente, gli imam jihadisti hanno spinto intere famiglie verso il califfato, quando era ancora in espansione. Un caso limite è quello di Nazim Mohammed, che da Trinidad spedì figlia, genero e tre nipotini in Siria, per costruire il «perfetto mondo islamico». È un mito che attraversa tutto il salafismo e che è stato sfruttato dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi per attirare quasi centomila fra foreign fighters e famigliari. Ora il «mondo perfetto» è in macerie ma i semi dell’odio restano.

Il Giornale - Alberto Giannoni: 'Confiscare le moschee dei fanatici'


Alberto Giannoni


Davide Romano

Confiscare le moschee dei fanatici. La proposta è questa e scaturisce da vicende sempre più inquietanti: da un lato il drammatico omicidio antisemita di Parigi, dove un'anziana sopravvissuta alla Shoah è stata uccisa «perché ebrea», dall'altro le lezioni jihadiste impartite ai bambini a Foggia. «Questo islam non conosce confini nazionali - riflette Davide Romano, portavoce della sinagoga milanese Beth Shlomo - non possiamo pensare che quello italiano sia diverso dagli altri. Dobbiamo guardare là, in Francia o anche in Germania, per prevenire qui in Italia. A Foggia oltretutto non si tratterebbe di un cane sciolto, si parla di un centro islamico. E le moschee non dovrebbero essere solo neutre, ma parte attiva nella lotta al fanatismo. Non dobbiamo accontentarci, altrimenti il futuro è la Francia». «È opportuno prepararsi a ogni eventualità - osserva Romano, fra l'altro ex assessore alla Cultura della Comunità ebraica - e visto che l'islam radicale ha molte similitudini con le organizzazioni mafiose, perché prospera nel silenzio, sfrutta i problemi sociali e punta a controllare il territorio in competizione con lo Stato, noi dobbiamo usare gli stessi modelli. Il reato associativo c'è, giustamente. Bisogna fare un salto di qualità e, come si è fatto per i beni delle mafie, dobbiamo pensare di fare la stessa cosa: la confisca o il commissariamento delle moschee nel caso in cui si scoprano iniziative o eventi ispirati al fanatismo». Romano ha dovute lasciato l'assessorato per polemiche interne alla Comunità, dopo che aveva denunciato il pericolo di un antisemitismo islamista le cui avvisaglie, a Milano, si sono viste con gli slogan jihadisti scanditi nel corso di un corteo «per Gerusalemme». «La moschea è luogo sacro - avverte - la dissacra è chi fa discorsi di odio. E noi dobbiamo combattere il clima d'odio. Fermando quello, fermeremo il terrorismo».

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Confiscare le moschee dei fanatici. La proposta è questa e scaturisce da vicende sempre più inquietanti: da un lato il drammatico omicidio antisemita di Parigi, dove un'anziana sopravvissuta alla Shoah è stata uccisa «perché ebrea», dall'altro le lezioni jihadiste impartite ai bambini a Foggia. «Questo islam non conosce confini nazionali - riflette Davide Romano, portavoce della sinagoga milanese Beth Shlomo - non possiamo pensare che quello italiano sia diverso dagli altri. Dobbiamo guardare là, in Francia o anche in Germania, per prevenire qui in Italia. A Foggia oltretutto non si tratterebbe di un cane sciolto, si parla di un centro islamico. E le moschee non dovrebbero essere solo neutre, ma parte attiva nella lotta al fanatismo. Non dobbiamo accontentarci, altrimenti il futuro è la Francia». «È opportuno prepararsi a ogni eventualità - osserva Romano, fra l'altro ex assessore alla Cultura della Comunità ebraica - e visto che l'islam radicale ha molte similitudini con le organizzazioni mafiose, perché prospera nel silenzio, sfrutta i problemi sociali e punta a controllare il territorio in competizione con lo Stato, noi dobbiamo usare gli stessi modelli. Il reato associativo c'è, giustamente. Bisogna fare un salto di qualità e, come si è fatto per i beni delle mafie, dobbiamo pensare di fare la stessa cosa: la confisca o il commissariamento delle moschee nel caso in cui si scoprano iniziative o eventi ispirati al fanatismo». Romano ha dovute lasciato l'assessorato per polemiche interne alla Comunità, dopo che aveva denunciato il pericolo di un antisemitismo islamista le cui avvisaglie, a Milano, si sono viste con gli slogan jihadisti scanditi nel corso di un corteo «per Gerusalemme». «La moschea è luogo sacro - avverte - la dissacra è chi fa discorsi di odio. E noi dobbiamo combattere il clima d'odio. Fermando quello, fermeremo il terrorismo».

 

Confiscare le moschee dei fanatici. La proposta è questa e scaturisce da vicende sempre più inquietanti: da un lato il drammatico omicidio antisemita di Parigi, dove un'anziana sopravvissuta alla Shoah è stata uccisa «perché ebrea», dall'altro le lezioni jihadiste impartite ai bambini a Foggia. «Questo islam non conosce confini nazionali - riflette Davide Romano, portavoce della sinagoga milanese Beth Shlomo - non possiamo pensare che quello italiano sia diverso dagli altri. Dobbiamo guardare là, in Francia o anche in Germania, per prevenire qui in Italia. A Foggia oltretutto non si tratterebbe di un cane sciolto, si parla di un centro islamico. E le moschee non dovrebbero essere solo neutre, ma parte attiva nella lotta al fanatismo. Non dobbiamo accontentarci, altrimenti il futuro è la Francia». «È opportuno prepararsi a ogni eventualità - osserva Romano, fra l'altro ex assessore alla Cultura della Comunità ebraica - e visto che l'islam radicale ha molte similitudini con le organizzazioni mafiose, perché prospera nel silenzio, sfrutta i problemi sociali e punta a controllare il territorio in competizione con lo Stato, noi dobbiamo usare gli stessi modelli. Il reato associativo c'è, giustamente. Bisogna fare un salto di qualità e, come si è fatto per i beni delle mafie, dobbiamo pensare di fare la stessa cosa: la confisca o il commissariamento delle moschee nel caso in cui si scoprano iniziative o eventi ispirati al fanatismo». Romano ha dovute lasciato l'assessorato per polemiche interne alla Comunità, dopo che aveva denunciato il pericolo di un antisemitismo islamista le cui avvisaglie, a Milano, si sono viste con gli slogan jihadisti scanditi nel corso di un corteo «per Gerusalemme». «La moschea è luogo sacro - avverte - la dissacra è chi fa discorsi di odio. E noi dobbiamo combattere il clima d'odio. Fermando quello, fermeremo il terrorismo».
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