Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/03/2018, a pag.1-3 con i titoli 'Cari bambini, sgozzate gli infedeli', 'L’ombra delle madrase dell’odio sui doposcuola illegali per islamici', 'La minaccia della jihad mai così forte in Italia' cronaca, analisi e intervista di Matteo Indice, Lorenzo Vidino, Francesco Bei.
Ecco gli articoli:
Un simbolo dell'invasione: islamici in preghiera in piazza Duomo a Milano
Matteo Indice: 'Cari bambini, sgozzate gli infedeli'
Il maestro ha appena finito di magnificare il martirio nella battaglia di Badr (una delle prime e più simboliche vittorie militari dell’Islam) e le telecamere della polizia riprendono un allievo di otto anni che scatta in piedi: «Che bello, volevo esserci io là». Gli investigatori capiscono che la situazione sta andando fuori controllo, nel centro islamico «Al Dawa» di Foggia. Dove il presidente Mohy Abdel Rahman, 58 anni, nato in Egitto ma italiano grazie al matrimonio con una donna pugliese, indottrina nel fine settimana quindici studenti fra i 4 e i 10 anni. Sono a loro volta nati in Italia e però di cittadinanza perlopiù marocchina come i genitori, e di nuovo i video li mostrano in trance quando l’insegnante li plagia così: «Vi invito a combattere i miscredenti, con le vostre spade tagliate le loro teste. Occorre romperne i crani e bere il loro sangue per ottenere la vittoria». Poi ribadisce che a uccidere il nemico di Maometto Abu Jahl «sono stati giovanissimi guerrieri di dodici anni. Avete capito? Avete capito?». Non manca l’invito a «rifiutare le feste» di Pasqua e Natale «e ricordate che gli ebrei sono satana, ricchi e sempre pronti alla guerra e abitano in fortezze». Soprattutto: «Sparate con i vostri proiettili, con le vostre cinture esplosive, fate saltare in aria i corpi degli infedeli, degli atei, dei tiranni arabi e non dimenticate le bombe, che provocano maggiori disastri e atrocità, il modo migliore per ricevere la benevolenza divina». E per la fabbricazione diffondeva istruzioni piuttosto dettagliate.
I soldi sospetti
Mohy Abdel Rahman ieri è finito in carcere per associazione terroristica internazionale e istigazione a delinquere, e il suo istituto è sotto sequestro come 370 mila euro suddivisi fra tre conti correnti. I depositi erano alimentati con la «zakat», la raccolta tra i fedeli. E usati secondo i finanzieri del Gico, che hanno curato gli accertamenti patrimoniali, non soltanto per foraggiare i seminari di lingua e cultura araba. Altre due persone sono state perquisite: la compagna del predicatore, Vincenza Barbarossa di 79 anni (indagata solo per reati fiscali) e un frequentatore di «Al Dawa».
Ai poliziotti della Digos di Bari, guidati da Michele De Tullio, comincia a farsi chiaro che Abdel Rahman sta deragliando nel giugno scorso. È il momento in cui diviene quasi simbiotico il rapporto con Eli Bombataliev, «Ali Ceceno» nella rubrica del suo smartphone. È un invasato che oltre ad aver combattuto in Siria prese parte nel 2014, con altri aderenti all’Emirato del Caucaso, all’assalto della Casa della stampa a Grozny, 19 vittime. Bombataliev, proveniente dal Belgio e raccomandato da un imam somalo, è ospite di Abdel Rahman da due anni e lo arrestano il 5 luglio, mentre sua moglie Maria Kachmazova viene espulsa insieme ai fratelli albanesi Lusien e Orkid Mustaqui, residenti tra Potenza e Napoli che da loro erano indottrinati.
I gruppi segreti
È evidente insomma che quello di Foggia sta lievitando in un epicentro fondamentalista e il suo leader mescola la suggestione degli adulti a quella dei bambini, mostrando pure la sequenza d’un gruppo di baby combattenti che minacciano di sparare a un prigioniero e questi si lancia dalla finestra. Alterna l’enfasi delle prediche ai sermoni via web, Twitter e WhatsApp dove crea i gruppi riservati «Nonni di Omar», «Le ragazze della famiglia» e «Tutta la famiglia».
Con il portale Justpaste.it ripesca ogni nefandezza postata da Isis e rimossa da YouTube. E il 2 febbraio, lo certifica un filmato, arringa 200 fedeli sostenendo che «annientare» gli sciiti sarebbe giusto, tornando sull’argomento l’8 in una comunicazione con @fakerz111: «Chi vive qui o dove non c’è la sharia è un porco». In precedenza uno degli interlocutori prediletti lo metteva in guardia via chat: «Zio ti stai impegnando per farci andare in galera? Dobbiamo cancellare le cose che ci mandano dopo che le ascoltiamo o vediamo». Perciò i pm della Dda barese Giuseppe Gatti e Lidia Giorgio scrivono che la sua era ormai «una cellula organizzata per commettere attentati» e il giudice ordina l’arresto. «Gli studenti - dice ora un investigatore - saranno seguiti dai servizi sociali dopo una segnalazione al tribunale dei minorenni, i genitori vedevano in Abdel Rahman una guida e forse non avevano capito completamente». Forse.
Lorenzo Vidino: "L’ombra delle madrase dell’odio sui doposcuola illegali per islamici"
Lorenzo Vidino
L’operazione antiterrorismo compiuta ieri a Foggia segna una pietra miliare nel contrasto all’estremismo islamista nel nostro Paese. L’inchiesta nasce dal monitoraggio della moschea Al Dawa, piccolo luogo di culto (abusivo) nei pressi della stazione di Foggia che la Digos di Bari, da qualche anno attentissima a dinamiche di radicalizzazione nel proprio territorio, aveva iniziato a tenere sotto controllo dopo aver notato che due importanti jihadisti che aveva arrestato (incluso un foreign fighter ceceno appena tornato dalla Siria) ne erano assidui frequentatori.
Ma gli inquirenti non si potevano immaginare che tipo di scene le telecamere ambientali che avevano sapientemente nascosto all’interno della moschea avrebbero ripreso. Utilizzando libri e video di propaganda prodotti direttamente dall’Isis e che venivano scaricati online, l’egiziano Abdel Rahman Mohy teneva regolarmente «lezioni» per piccoli gruppi di bambini, vere e proprie sessioni di indottrinamento in cui il «cattivo maestro» (nome poi usato dalla Digos per battezzare l’operazione) insegnava ai bambini a odiare gli infedeli, lodava il martirio e arrivava perfino a far fare il giuramento di fedeltà al Califfo a bambini di quattro anni.
Fa particolare impressione che le «lezioni» avvenissero in italiano: con accento arabo, quello del maestro, ma con un perfetto accento pugliese, quello dei bambini, figli di immigrati pachistani o maghrebini ma nati e cresciuti nel nostro Paese. Fa quindi pensare a quanto sia sciocco il discorso che vede le prediche in italiano come la soluzione al radicalismo. Come se la bellezza della lingua di Dante potesse magicamente diluire l’estremismo jihadista. Ignorando che i predicatori d’odio che da decenni operano in Gran Bretagna, Francia o Germania hanno radicalizzato decine di migliaia di giovani delle seconde e terze generazioni parlando in perfetto inglese, francese o tedesco. È palese che l’odio può essere predicato in qualsiasi lingua. Lo si vede chiaramente su internet, dove siti, gruppi Facebook o conversazioni su vari social esclusivamente in lingua italiana abbondano da anni e sono in costante crescita. L’unico «vantaggio» di un sermone in italiano è che le autorità inquirenti risparmiano sui costi di traduzione, nulla più.
Viene poi da porsi alcune domande. Cosa ne sarà dei bambini della Al Dawa? Ragazzini che hanno subito un vero e proprio lavaggio del cervello e che però frequentano le scuole elementari e medie a Foggia, nelle stesse classi coi bambini «infedeli» che Mohy insegnava loro a odiare, a vedere come nemici da sgozzare. Per quanto riguarda i loro genitori va chiarito se sapessero cosa veniva insegnato ai loro figli. È chiaro che se la risposta è positiva il problema è ancora più grande. I bambini invece non possono che essere visti come delle vittime incolpevoli. Ma come cancellare dalle loro giovani menti quanto è stato loro propinato per mesi, in alcuni casi anni? Come rieducarli? Non è certo il compito delle autorità inquirenti, ma richiede uno sforzo congiunto della scuola, del sistema socio-sanitario e della parte sana della comunità islamica.
È naturale poi chiedersi quante Al Dawa ci siano in Italia. Già nel 2007 le autorità avevano arrestato un imam marocchino che indottrinava al credo jihadista bambini musulmani all’interno della moschea di Ponte Felcino, alle porte di Perugia. «Ci sarà un giorno del giudizio in cui tutti i musulmani andranno in paradiso, mentre gli italiani miscredenti andranno all’inferno e bruceranno», tuonava davanti ai bambini l’imam di quella che le autorità definirono una «scuola di terrorismo». E nel 2015 un’operazione antiterrorismo aveva portato all’arresto a Merano di una cellula che, oltre a reclutare foreign fighters, faceva sistematicamente vedere a bambini i video dell’Isis a scopo di indottrinamento.
Casi isolati o esistono altre madrase dell’odio nel nostro Paese? Che esistano scuole e doposcuola privati, spesso illegali, per bambini musulmani è noto. E che in alcune di queste scuole usino metodi coercitivi contro i bambini è altrettanto noto (recente è un caso a Pordenone). Predicano il jihadismo? È chiaro che, alla luce dell’inchiesta di Foggia, la questione va investigata a fondo.
Francesco Bei: 'La minaccia della jihad mai così forte in Italia'
Marco Minniti
Il quadro che è venuto fuori dall’inchiesta sull’imam di Foggia «non ha eguali in Occidente». Gli investigatori italiani sono riusciti a penetrare un «cuore di tenebra» del terrorismo islamico, che aveva trasformato un centro culturale in una madrasa di Raqqa. Di questo parla il ministro Marco Minniti e di quello che lascerà in eredità al suo successore: dal patto per l’Islam, all’antiterrorismo fino al «modello» di gestione dei flussi migratori dal Nord Africa. Ne parla mentre sullo schermo del computer scorrono le agenzie che raccontano della scelta dei nuovi capigruppo del Pd. L’occhio ci cade, ma la bocca resta sigillata.
Sembrava che l’allarme terrorismo stesse scemando, ce ne eravamo quasi dimenticati. E invece in pochi giorni prima l’attentato a Carcassonne, poi la caccia all’uomo a Roma, infine scopriamo che a Foggia un imam insegnava in italiano ai bambini come «sgozzare» gli infedeli. Non è finita dunque?
«Nessuno ha mai detto che fosse finita. Il quadro della minaccia di Isis rimane radicalmente immutato. Anzi, la caduta di Raqqa e Mosul, se da una parte fa venir meno l’elemento “territoriale” del Califfato, dall’altro aumenta la pericolosità dell’altra componente, quella terroristica».
Possibile?
«Sì, perché lo Stato islamico è stato capace di arruolare 25-30 mila foreign fighters da circa 100 Paesi diversi. La più importante legione straniera che la storia moderna ricordi. Molti sono morti, ma i sopravvissuti stanno cercando rifugio altrove. Anche qui in Europa».
Teme che ci siano altre «Al Dawa» in Italia come quella di Foggia?
«La cosa importante oggi è soffermarci su questa indagine esemplare, che ha dimostrato con prove solari uno scenario assolutamente agghiacciante. Una cosa che non ha eguali in Occidente. L’unica cosa che si può associare alla “scuola” di Foggia sono le immagini che provenivano dal profondo dell’Iraq e della Siria, quelle di bambini addestrati a usare la pistola o utilizzati per esecuzioni capitali».
«Occorre rompere i crani dei miscredenti e bere il loro sangue», diceva l’Imam. Come recuperare dei bambini - e anche forse dei genitori - a cui è stato fatto questo lavaggio del cervello?
«Certamente gli educatori e gli psicologi dovranno lavorare molto. Ma l’importante è che, grazie a un’indagine svolta da personale super-specializzato, siamo stati capaci di penetrare un “cuore di tenebra”. Lì veniva utilizzato il vocabolario tipico dell’Isis e di Al Adnani, il ministro della propaganda del Califfato. L’elemento di novità assoluta è che tutto questo avviene qui, non a Dacca o nei territori dell’Isis. Nel cuore dell’Europa».
Il patto che lei ha siglato con l’Islam non ha funzionato?
«Al contrario, questa inchiesta rende evidente quanto ci fosse bisogno di quel patto e richiama lo stesso Islam italiano a una responsabilità ancora più forte. Il primo punto del patto era fare delle moschee dei luoghi pubblici, dove ci fosse una conoscenza pubblica degli imam. E i sermoni in italiano».
Ma questo imam di Foggia parlava in italiano. Questo non gli impediva di predicare odio.
«L’italiano non protegge dal reato, rende però tutti quelli che ascoltano immediatamente consapevoli. Non hai bisogno di aspettare la traduzione di un’intercettazione ambientale per sapere se si sta commettendo un reato».
Oltre al patto per l’Islam, qual è lo strumento più importante di prevenzione del terrorismo religioso che lei lascia a chi verrà?
«Il rimpatrio per ragioni di sicurezza nazionale. Lo scorso anno abbiamo fatto 132 rimpatri, quest’anno già 29. Riportare questi soggetti nei Paesi di origine consente di intervenire all’inizio di una radicalizzazione prima che diventi un progetto terroristico. Questo ci pone all’avanguardia rispetto ad altre situazioni europee che purtroppo abbiamo sotto gli occhi in questi giorni».
Con il cambio di governo cosa si dovrebbe fare per non disperdere queste capacità? Ha dei consigli per il suo successore?
«L’Italia è l’unico Paese ad aver sconfitto prima un terrorismo politico, poi un terrorismo mafioso, senza mai ricorrere a uno stato d’eccezione. Questo è uno straordinario patrimonio del sistema Paese. Quell’idea, quel modo di mettere in campo le forze, è oggi importantissimo sia per la magistratura che per le forze di polizia. È questo che ha fatto la differenza, non Minniti».
La politica non c’entra nulla?
«C’entra molto. L’altro elemento di forza nella lotta al terrorismo è stata l’unità delle forze politiche. Pensiamo a forze contrapposte e diversissime come il Pci e la Dc. Possono cambiare i governi, come è giusto che sia, ma l’Italia non dovrà mai disperdere questo patrimonio della democrazia».
Le viene riconosciuto anche dagli avversari di aver fatto calare gli sbarchi di clandestini. Dal primo gennaio di quest’anno siamo a -72 per cento. Ma, dicono, adesso ricomincia la bella stagione e il mare ridiventa calmo.
«Non c’entra niente il mare calmo, è infantile dirlo. Siamo al nono mese consecutivo di riduzione degli sbarchi, che c’entra il meteo? È il frutto di un lavoro che non può essere banalizzato».
La criticano anche per questo, per come operano i libici.
«Due settimane fa la procura generale di Tripoli, in cooperazione con la Direzione antimafia e antiterrorismo italiana, ha emesso 200 mandati di cattura per trafficanti di essere umani. L’anno scorso nessuno ci avrebbe creduto. Qualcuno in Italia l’ha raccontato?».
Si parla invece, e molto, della condizione dei migranti in Libia. L’Italia cosa sta facendo?
«Con Oim e Unhcr si è potuto stabilire, in Libia, chi ha diritto alla protezione internazionale. E questi rifugiati sono arrivati in Italia attraverso corridoi umanitari gestiti dal governo italiano. Chi scappa dalla guerra non lo devono portare qui gli scafisti, ce ne occupiamo noi. L’Oim ha fatto più di 22500 rimpatri volontari assistiti dalla Libia ai Paesi d’origine. L’Italia è stato il primo Paese ad aver organizzato un corridoio umanitario da Tripoli direttamente in Europa. Controllo dei confini, aiuti umanitari, intervento per gestire i rimpatri volontari, aiuto a chi ha diritto alla protezione internazionale. Può diventare un modello, che tiene insieme umanità e sicurezza. Forse l’unico possibile».
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