Egitto al voto verso la riconferma di al Sisi Commento di Francesca Paci
Testata: La Stampa Data: 26 marzo 2018 Pagina: 16 Autore: Francesca Paci Titolo: «Tra repressione e disincanto Egitto senza alternative ad al Sisi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/03/2018, a pag.14, con il titolo "Tra repressione e disincanto Egitto senza alternative ad al Sisi" il commento di Francesca Paci.
Francesca Paci
«Noi votiamo al Sisi e fatelo anche voi» è scritto a pennarello sulla vetrina di una piccola pasticceria di Zamalek, l’isola dell’alta borghesia nel cuore del Cairo. Raccomandandosi l’anonimato, il proprietario spiega che i manifesti ufficiali in sostegno della riconferma del presidente in carica costano fino a 800 pound (35 euro) e lui, dopo aver più volte ignorato la pressione della polizia per acquistarne uno da esporre, ha optato per una soluzione alternativa. L’Egitto ha tre giorni di tempo, a partire da stamattina, per consegnare alle urne il nome del nuovo Capo di Stato. Circa 60 milioni di abitanti del più popoloso Paese arabo sono registrati per votare da oggi a mercoledì. Nessuno dubita che a essere riconfermato alla guida dell’Egitto sarà Abdel Fatah al Sisi, sfidato pro forma solo dal suo ex sostenitore Mousa Mostafa al-Mousa. Ma quando giovedì il neoeletto presidente riceverà quello che in base alla Costituzione del 2014 dovrebbe essere il suo ultimo mandato, si troverà in mano un Paese assai più problematico e riottoso di quello compatto e felicemente in marcia verso l’avvenire raccontato dai manifesti onnipresenti in cui sorride in mezzo alla gente o promuove i cantieri aperti nei suoi primi quatto anni.
Le ambizioni e la realtà La situazione economica è migliorata e le riforme fiscali avviate urgevano da almeno vent’anni, ammettono perfino oppositori del regime come Mohamed Anwar el Sadat, forzato a ritirarsi dalla corsa per la poltrona che fu dello storico zio al pari di altri candidati, tra cui il generalissimo Sami Anan, il mubarakiano Ahmed Shafiq e l’attivista di Tahrir Khaled Ali. Ma al netto degli autobus a due piani che hanno iniziato a circolare a new Cairo, una ventina di nuove strade, la guerra contro il terrorismo in Sinai e al confine con la Libia, il braccio di ferro con l’Etiopia per difendere l’acqua di cui l’Egitto necessita e gli investimenti nel gas che oltre ad aprire il mercato dovrebbero assicurare riserve energetiche interne per dieci anni, gli egiziani non sono contenti e ad ascoltare le paure degli analisti finanziari hanno più di una ragione. «Da un anno mangiamo carne una volta al mese» lamenta l’insegnante Ashraf, comprandone un pezzo ribassato al banco-camion governativo fermo in piazza Tahrir, sotto il maxi schermo con i discorsi di al Sisi. Parla poi si pente, si guarda alle spalle, giura che va tutto bene e maledetti i cospiratori contro l’Egitto. Il tassista che si ferma in soccorso è gentile ma come i colleghi manca del tassametro comparso un anno fa in tutte le auto e oggi messo fuori uso per arrotondare. Per quanto il futuro abbia ambizioni faraoniche, il presente arranca. Ci sono il taglio dei sussidi imposto dal prestito del Fondo monetario internazionale, l’inflazione, la svalutazione del pound cambiato in banca a mazzetti alti tre centimetri, c’è una popolazione analfabeta al 50 per cento per cui le schede elettorali sono corredate dalla stella per al Sisi e l’aereo per Mousa.
La repressione Ci sono la paura e la paranoia capillari seguite a una repressione senza precedenti, iniziata nell’inverno del 2013 dopo la rimozione dell’ex presidente Morsi e la messa al bando della Fratellanza Musulmana e culminate nelle voci del silenzio che oggi, dalle tante nuove prigioni all’emigrazione della meglio gioventù del 2011, lacerano la società egiziana. «La democrazia, la libertà, i diritti umani invocati sette anni fa sono stati archiviati dal governo, ma non sono più un tema popolare se non per pochi come me. A pensarci bene, già in piazza Tahrir la maggior parte dei giovani sognava migliori condizioni economiche per mettere su famiglia», ragiona passeggiando per Downtown Yasmine el Rashidi, autrice del bel romanzo «Cronaca di un’ultima estate» pubblicato da Bollati Boringhieri. Quelli come lei non dimenticano la ambizioni di ieri e ripetono «Kulluna Giulio Regeni», ««Siamo tutti Giulio Regeni». Ma sono pochi in questo Egitto del 2017, depressi, storditi. Il resto è tanta rabbia cieca.
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