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Informazione Corretta Rassegna Stampa
24.03.2018 Madornali errori nelle politiche sulla sicurezza
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 24 marzo 2018
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Madornali errori nelle politiche sulla sicurezza»

Madornali errori nelle politiche sulla sicurezza
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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 È fondamentale che Israele sostituisca i segnali che invia ai nemici che mettono in pericolo lo Stato ebraico. Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da graduali ma chiare tensioni sulla sicurezza nelle aree adiacenti ai confini israeliani, in contrapposizione con l’ ulteriore minaccia proveniente dall’ Iran, geograficamente più lontano.
Le tre aree in questione sono:
1. Gaza e i tunnel dei terroristi
2. Giudea e Samaria, oltre ai problemi legati al territorio, le aggressioni con coltelli e pugnali
3. Libano e Siria, con gli sviluppi che coinvolgono Hezbollah, Iran e Russia.

Di fronte a questa evidente escalation della tensione nelle tre zone, è necessario che Israele aumenti il livello di azione difnsiva, perché la risposta degli ultimi anni non scoraggia i Paesi confinanti né è in grado di ripristinare tranquillità e sicurezza per la propria popolazione.
L’industria dei tunnel a Gaza.
Domenica 18 marzo, gli israeliani si sono svegliati sentendo il portavoce dell’IDF annunciare che Israele aveva distrutto altri due tunnel costruiti dai terroristi di Hamas che miravano a penetrare nel territorio israeliano.
Israele li ha distrutti, dopo l'esplosione, avvenuta una settimana prima, di quattro bombe collocate da Hamas lungo la strada vicino alla rete di confine. A prima vista poteva sembrare un altro caso di ingegnosità israeliana e di rischio calcolato. Hamas nasconde le bombe e Israele fa esplodere i tunnel come una risposta legittima all'aggressione, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei tunnel, per non aumentare il livello di violenza nell'area.
Questo modus operandi è stato scelto dopo la distruzione del tunnel della Jihad islamica effettuata da Israele nell'ottobre 2017, in cui erano stati uccisi 15 jihadisti,  alcuni nel tunnel mentre altri cercavano di salvare quelli intrappolati all'interno.
Da allora, l'esercito israeliano e i vertici politici sono molto cauti onde evitare atti di rappresaglia da parte di Hamas, per non offrire alle organizzazioni terroristiche una scusa per incendiare la regione già così instabile; hanno scelto di evitare di ferire gli scavatori, specialmente se il tunnel non ha ancora raggiunto il territorio israeliano.

Presumo che la decisione sia stata presa anche per le pressioni degli onnipresenti esperti legali dell'IDF. Con tutto il dovuto rispetto per coloro che prendono le decisioni nell'IDF, per i loro superiori e l’alto numero dei loro consulenti legali, questo tipo di comportamento è totalmente sbagliato perché invia un messaggio molto ambiguo alle organizzazioni terroristiche di Gaza.
Questi assassini sono infatti ben consapevoli dei timori che frenano Israele dall’ intensificare le risposte alle organizzazioni che scavano i tunnel. Sono diventati esperti nello sfruttare la cautela israeliana.
A mio avviso, Israele dovrebbe comportarsi in modo diametralmente opposto.
Dichiarare che tutti i tunnel, anche quelli che non sono ancora penetrati in Israele, devono essere considerati come veri e propri attacchi. Ciò significa che Israele ha il diritto e il dovere di distruggerli in qualsiasi momento nel quadro di un’azione difensiva.
E’ come quando Israele colpisce Hezbollah e gli obiettivi iraniani in Siria senza aspettare provocazioni: le situazioni sono, in effetti, esattamente le stesse.

Israele deve annunciare con toni chiari e inequivocabili che l'atto stesso di scavare un tunnel all'interno della Striscia di Gaza, è da considerarsi un’aggressione che giustifica l' attacco, anche se elimina gli scavatori o coloro che si trovano comunque all'interno del tunnel.
Israele deve creare una situazione in cui chiunque scenda in un tunnel a Gaza, Rafah o Khan Younis, a scavare o a effettuare rifornimenti, rischia la propria vita, come chiunque entri nel tunnel nel tentativo di salvare altri terroristi.
Potrebbe non rivelarsi un deterrente per tutti i terroristi, ma almeno aumenterà considerevolmente gli stipendi richiesti dalle organizzazioni che prendono parte alla costruzione dei tunnel, e potrebbe ritardare o addirittura bloccare la loro creazione.

Giudea e Samaria, dove coltelli e auto sono strumenti di morte
Ultimamente i terroristi, sempre più di frequente, accoltellano o investono persone con l’auto. Non richiede infrastrutture tecniche o organizzative, le armi del delitto - un'auto o un coltello - sono legalmente a portata di mano di un qualsiasi terrorista , per cui una prevenzione efficace di entrambi questi tipi di attacco è assai limitata.
Il terrorista riceve onori e lodi da eroe nel suo contesto sociale, e anche se Israele distrugge la sua casa, questa sarà sicuramente ricostruita con l’aiuto delle istituzioni islamiche. Nel frattempo, il suo nucleo famigliare riceverà un generoso sostegno finanziario ufficiale dall'AP, se l’assassino è stato ucciso o se è stato arrestato e imprigionato dalle forze di sicurezza israeliane.
I benefici economici e sociali ottenuti dai famigliari dei terroristi, conferiscono loro automaticamente lo status di collaboratori, indipendentemente dal fatto che i membri della famiglia abbiano contribuito o meno alla pianificazione dell'attacco.
L'aumento del numero di accoltellamenti e investimenti con l’auto, costringe Israele ad aumentare il rigore della punizione che include la famiglia del terrorista.

Una delle sanzioni da prendere in considerazione potrebbe essere esiliare a Gaza i più stretti parenti del terrorista o almeno i genitori. Sradicare la famiglia dal suo ambiente naturale sarebbe una punizione proporzionata e non estrema, ma può indurre un potenziale terrorista a riflettere prima di mettere in atto i suoi piani.
Allo stesso tempo, Israele deve programmare una soluzione permanente, cioè un piano che porti a una specie di emirato palestinese per le città della Giudea e della Samaria, basato sulle famiglie/tribù locali anziché sull'Autorità Palestinese, che deve essere sciolta prima che si trasformi in uno Stato terrorista sotto la protezione del mondo e delle Nazioni Unite.

L'avvicinarsi della scomparsa dalla scena politica di Mahmoud Abbas  è un'opportunità di cui Israele deve approfittare, per stabilizzare l'unica soluzione possibile che funzioni.  Emirati locali.
Siria e Libano - Iran e Hezbollah In contrasto con le altre due aree in cui Israele ha a che fare con i residenti arabi israeliani, Siria e Libano, sono una questione internazionale che coinvolge almeno quattro nazioni: Siria, Libano, Iran e Russia.
In qualsiasi modo decida di agire, Israele deve tenere in conto delle reazioni che potrebbero giungere da ognuno di questi protagonisti.
Gli Stati Uniti sono un altro Paese coinvolto in quello che sta accadendo in Siria. 
Israele deve coordinare ogni sua mossa con l'America. L'area Siria-Libano è molto dinamica e la situazione sul campo cambia continuamente.
Anche Hezbollah e la presenza dell'Iran in territori che Israele vede come una minaccia alla propria sicurezza, sono in continuo movimento. Ciò significa che una situazione con cui Israele ha imparato a convivere, da un giorno all'altro può trasformarsi in qualcosa di inaccettabile.
Sullo sfondo c'è il timore che l'intero fronte settentrionale possa esplodere, portando a una guerra di ampio raggio contro Hezbollah e Iran.

Questa preoccupazione è diventata realtà lo scorso sabato 10 febbraio, il giorno in cui un drone iraniano è stato intercettato, bersagli iraniani e siriani sono stati bombardati e un F-16 israeliano abbattuto. Una battaglia di questa natura si sarebbe potuta facilmente deteriorare in una guerra regionale e, considerata l'atmosfera tesa che regna tra Israele, Hezbollah e Iran, potrebbe effettivamente causare l'esplosione di una guerra su larga scala.
Israele può ripetere continuamente che sta facendo di tutto per prevenire la guerra, che sta eseguendo "precise operazioni chirurgiche" per non dare ad Assad, Nasrallah e Khamenei un motivo per entrare in una guerra vera e propria.
E'il tipo di messaggio sbagliato da inviare perché riflette la paura di confrontarsi con Iran e Hezbollah. L’indecisione accresce le possibilità di guerra, perché i nostri vicini del Nord credono che se Israele non vuole affrontare una guerra, significa che teme di perderla, che è spaventato dall’alto prezzo di sangue e di distruzione che dovrebbe pagare.
La paura israeliana serve solo a incoraggiare Hezbollah e Iran a continuare le provocazioni volte a trascinare Israele in una guerra che sono sicuri di vincere.

Per Israele è fondamentale cambiare quel messaggio e le operazioni che lo accompagnano. Deve dichiarare che ciò che sta accadendo in Siria e in Libano, cioè la maggiore presenza iraniana e l’acquisizione di armi avanzate da parte di Hezbollah, è considerata  una aggressione, che è pronto a combattere una guerra difensiva, che la sta già pianificando e che la inizierà nel momento che riterrà opportuno.
Una dichiarazione di questo tipo attirerà l'attenzione del mondo che non ha preso sul serio la forza crescente dell'Iran in Siria e di Hezbollah in Libano.

Una dichiarazione israeliana dei propri piani per una guerra preventiva in Siria e in Libano migliorerebbe la sua sicurezza? Penso di sì, perché con il passare del tempo, l’Iran sta guadagnando una posizione sempre più forte in Siria mentre gli Hezbollah accumulano sempre più armi oltre che costruire fabbriche che le producono.
Ne consegue che più a lungo la guerra nel Nord verrà rimandata, peggio sarà e più alto sarà il prezzo che Israele dovrà pagare, in vite umane e distruzioni.
È quindi nell'interesse di Israele intraprendere presto una guerra preventiva, nel momento più favorevole. Rinviare la guerra porterà solo a un fronte libanese e iraniano schierato contro lo Stato ebraico, più forte e meglio armato, più organizzato e pericoloso.
Guerra simultanea su tre fronti
Israele deve tener conto che la guerra nel Nord porterà all'escalation a Gaza, a causa dell'influenza iraniana su Hamas e sulla Jihad islamica. Bisogna aspettarsi anche maggiori attacchi terroristici in Giudea e Samaria. La prossima guerra sarà un test complesso e tutt'altro che semplice per i sistemi militari, civili e politici israeliani, ma ogni israeliano deve tenere conto della situazione critica regionale in cui lo Stato si sforza di conservare la propria stessa vita in una regione in cui i deboli trovano difficoltà a sopravvivere.
Solo un Paese che sia militarmente ed economicamente forte, basato su una società coesa che crede nella giustezza della propria causa, può affrontare le sfide del Medio Oriente, sfide i cui risultati tragici vediamo in Siria, Iraq, Yemen e Libia.
Solo una nazione che rappresenti una chiara minaccia per i suoi nemici resiste in questa regione, mentre debolezza e paura incoraggiano i nemici a far sì che quelle angosce potranno davvero realizzarsi.
In Medio Oriente, l'autocontrollo è visto come una debolezza, anche se tra noi ci sono alcune persone ingenue e pacifiste, che credono sia vero il contrario. Le grossolane politiche sulla sicurezza sono dovute ad uno stato psicologico in cui una parte, quella incosciente, che agisce in accordo con la propria struttura culturale e logica, ignorando quella del nemico.

Purtroppo, i responsabili delle decisioni in Israele hanno adottato misure che si adattano perfettamente alla nostra cultura, ai nostri concetti e alla nostra visione del mondo, ignorando il fatto che i nostri vicini si comportano in base a considerazioni totalmente diverse e quasi sempre completamente opposte. Il prezzo elevato delle pessime politiche di sicurezza lo stanno pagando quelle sfortunate persone vittime di attentati.
È tempo che i nostri decision-makers inizino ad affrontare il Medio Oriente secondo le regole che gli sono abituali.




Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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