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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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Panorama Rassegna Stampa
22.03.2018 Muhammad bin Salman, un nuovo protagonista in Medio Oriente
Analisi di Ely Karmon

Testata: Panorama
Data: 22 marzo 2018
Pagina: 48
Autore: Ely Karmon
Titolo: «La primavera araba del trentenne pigliatutto»

Riprendiamo da PANORAMA di oggi, 22/03/2018, a pag. 48, con il titolo "La primavera araba del trentenne pigliatutto", l'analisi di Ely Karmon, Senior Research Scholar presso l'Istituto di Antiterrorismo (ICT) dell'Università di Herzliya.

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Ely Karmon

Quella del principe Muhammad bin Salman è una vera rivoluzione. Sia all'interno dell'Arabia Saudita sia all'esterno. Ed è già un grande successo per un leader di soli 32 anni. L'erede al trono saudita ha preso in mano le redini del regno da appena tre anni, ma è già stato capace di aperture prima impensabili, come quelle in favore dei diritti delle donne. Lo stesso bin Salman ha spiegato di voler invertire una rotta cominciata 40 anni fa, quando l'Arabia Saudita è stata investita da un'onda conservatrice guidata dagli imam, dagli sceicchi, e dalla loro visione wahabita conservatrice. Due eventi avevano fatto virare in tal senso il regno: l'attacco nel 1979 alla Grande Moschea della Mecca da parte di dissidenti islamici e, lo stesso anno, la rivoluzione degli Ayathollah in Iran. Da allora il controllo dei religiosi sulla società e sulla vita quotidiana è stato quasi totale. Ma adesso il principe, con le sue riforme, li sfida apertamente. Hanno riaperto i cinema, le donne si sono messe al volante e possono anche andare negli stadi. Questo perché Muhammad bin Salman (Mbs) ha una personalità molto forte, decisa, si fida di pochi consiglieri, è autorevole, accentratore, ma nello stesso tempo liberale. Al centro del progetto c'è il suo piano strategico, Vision 2030. Fino al 2013, la politica economica saudita era basata sul petrolio.

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Muhammad bin Salman

La rendita dal greggio serviva a fornire servizi di fatto gratuiti alla popolazione e ai religiosi. Ma con il crollo del prezzo del petrolio, a metà 2014, tale politica non è stata più sostenibile. Bin Salman è stato il primo a capirlo e ha lanciato un ambizioso piano di riforme per sganciare il Paese dalla dipendenza dal greggio. Il principe pub osare questa rivoluzione (che pure crea malcontento in taluni settori) perché è giovane e in sintonia con quel 65 per cento della popolazione con meno di 30 anni. Le riforme della Vision 2030 hanno però necessità di forti investimenti. Per questo un tassello fondamentale è la vendita del 5 per cento delle azioni di Aramco, la compagnia petrolifera saudita di Stato (la Cina ha fatto diverse offerte di acquisto). La privatizzazione di Aramco serve a raccogliere risorse per sviluppare altre branche dell'economia, come l'industria militare. Riad ne ha bisogno perché impegnata in una dispendiosa guerra nello Yemen: il 10 per cento del budget dello Stato è dedicato alle armi, quasi tutte importate dall'estero. Un'industria militare locale servirà anche a rilanciare l'economia e a investire in infrastrutture. Ma in attesa degli introiti dalla vendita di Aramco, rimandati al 2019, per rimpinguare le casse dello Stato il principe ha escogitato un'altra strada poco ortodossa. Lo scorso novembre centinaia di ricchi businessman e principi della famiglia reale sono stati arrestati e rinchiusi nel lussuoso Ritz Carlton di Riad. La «lotta alla corruzione» gli avrebbe fruttato almeno 100 miliardi di dollari: tanti sono i fondi versati dai detenuti allo Stato. Metodo che tuttavia potrebbe frenare gli investimenti da Stati Uniti ed Europa, ma anche dalla Russia e dalla Cina. E i sauditi sono interessati a che queste potenze investano in Arabia Saudita. Un'inchiesta del New York Times ha denunciato le torture che sarebbero avvenute nel Ritz Carlton. Forse una ricostruzione esagerata, perché queste persone sono state imprigionate in un hotel con tutte le comodità, non in una vera prigione. E la pressione psicologica è bastata a convincerli a versare parte del loro patrimonio allo Stato. Ma è anche vero che in questo tipo di regimi fatti del genere possono accadere. Dietro questa lotta «alla corruzione» non ci sono solo motivi economici, ma anche politici. Certo è che in questo modo il principe ha anche voluto neutralizzare i suoi pose sibili rivali alla successione, primo fra tutti Muhammad bin Nayef. Adesso tra le due correnti in competizione nella famiglia reale per la successione è in vantaggio quella che appoggia bin Salman. Ma il principe non ha ancora la certezza di salire al trono perché la successione è influenzata da ben 5 mila principi. In questa battaglia si inseriscono le voci su un presunto sequestro della madre da parte del principe, che cerca di impedirle di vedere re Salman e influire su di lui. Ma il vero problema di Mbs è la politica estera. Il duello con l'Iran è sempre più acceso, con due nuovi fronti aperti proprio dal principe: la guerra nello Yemen iniziata nel 2015 e lo scontro con il Qatar. Nonostante l'appoggio di Emirati ed Egitto, la minaccia degli houthi, alleati dell'Iran, è molto pericolosa. E il blocco del Qatar è fallito perché la Turchia, con l'Iran, appoggia l'emiro. Un altro fonte aperto in politica estera è quello del Libano. Con il suo stile diretto, il principe ha convinto il premier libanese Saad Hariri a distanziarsi da Hezbollah. Il 4 novembre Hariri ha dato le sue dimissioni in diretta televisiva da Riad. Non è chiaro se Hariri sia stato agli arresti in Arabia Saudita e se siano state fatte pressioni su di lui. Poi comunque è ritornato in Libano, ha ripreso il suo posto e la sua politica non è proprio allineata con quella dell'Arabia Saudita. In Libano Hezbollah resta molto forte, perché ha una forte milizia e il presidente Michel Aoun è uno dei suoi alleati. ll 6 maggio si vota: con la nuova legge elettorale potrebbe esserci una grande vittoria di Hezbollah, che potrebbe arrivare a controllare il 70 per cento dei seggi in Parlamento. In questo momento, quindi, la politica estera saudita è in difficoltà: nello Yemen, nel Qatar, nel Libano e persino nei rapporti con la Tùrchia. Il principe e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan però hanno avuto alcuni incontri, uno dei quali a febbraio 2017. atti questi fronti sono parte della sfida con l'Iran. Il duello in corso nel Medio Oriente ha spinto bin Salman verso un'altra decisione strategica: quella di volersi dotare del nudeare. Un progetto che per ora riguarda solo reattori per scopi civili, ma Riad vuole essere pronta a rispondere all'Iran se gli Ayatollah *** si doteranno di armi nucleari. È un'azione che dipende dal destino dell'accordo sul nucleare con gli Stati Uniti. In ogni caso, l'Arabia Saudita avrà bisogno di tempo per costruire l'atomica perché al momento non possiede le infrastrutture industriali necessarie. L'accelerazione sul nucleare dipende però anche dal peggioramento dei rapporti con il Pakistan. Riad contava su Islamabad, potenza atomica, che in caso di necessità avrebbe fornito ai sauditi armi nucleari. Ma il Pakistan si è lentamente allontanato dall'Arabia Saudita. Riad è delusa dal Pakistan per il mancato aiuto nella guerra nello Yemen: perciò vuole diventare indipendente sul nucleare. Ma la corsa all'atomica rischia di coinvolgere tutto il Medio oriente. L'Egitto si è rivolto alla Russia. Israele è molto preoccupata. Il premier Benyamin Netanyahu ha un'insurrezione, anche perché gli sciiti in Arabia Saudita vivono nei territori dove si trovano i pozzi di petrolio. Per Riad gli houthi e Hezbollah sono la longa manus dell'Iran in Yemen, Libano e Siria. La sindrome dell'assedio da parte iraniana ha spinto bin Salman a un altro passo prima impensabile: l'alleanza strategica con Israele. Ci sono stati incontri diplomatici tra i rappresentanti dei due Stati anche alla Casa Bianca. E un incontro nel 2016 in Giordania tra Mbs e Netanyahu. Israele, Arabia Saudita e Stati Uniti stanno lavorando fianco a fianco per risolvere il conflitto israelo-palestinese. La Lega araba ha proposto un suo piano. E lo Stato ebraico potrebbe decidere di trovare un compromesso, anche se molto difficile perché l'Autorità nazionale palestinese non all'Iran sta perdendo consensi tra i sunniti, la fetta più grossa del mondo islamico. Invece Arabia Saudita, Egitto, Sudan e Libano vogliono migliorare le loro relazioni e la cooperazione militare con la Russia. Ciò perché lo stesso campo sunnita è spaccato. ll blocco del Qatar ha messo in luce lo scontro tra Arabia Saudita e Fratelli musulmani. Il piccolo emirato ha solo 2 milioni di abitanti ma molto soft power, soprattutto attraverso l'emittente Al Jazeera, tv che di fatto è controllata dai Fratelli musulmani. I:Arabia Saudita ha tentato di neutralizzare il legame tra la casa regnante qatarina e la Fratellanza e anche con i gruppi jihadisti, come Jabhat al Nusra in Siria. Gli Stati Uniti non sono contenti di questi legami, tanto più perché hanno importanti basi in Qatar. Ma in soccorso all'emirato è arrivata la Turchia, che ha inaugurato di recente una sua base. Quando re Salman ha preso il potere nel 2015, ha subito invitato il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi e il leader turco Recep Tayyp Erdogan a Riad per provare a mediare tra le loro posizioni. Ma l,I sua linea politica non ha avuto successo. Così Mbs ha cambiato rotta, scatenando un'offensiva a tutto campo contro i Fratelli musulmani e cementando l'alleanza con al Sisi nella sua visita al Cairo del 4 marzo. La sua nuova politica estera, decisamente anti-iraniana, è stata favorita dalla vittoria di Trump, che bin Salman ha incontrato il 20 marzo alla Casa Bianca. L'amministrazione Obama era invece lontana dalle posizioni saudite. Non voleva punire il regime di Assad per l'uso delle armi chimiche e in generale intervenire poco in Medio Oriente. La Vision 2030 di MBS apre il suo Paese al mondo, liberalizza una società finora conservatrice e la avvia alla modernizzazione. Anche per essere meglio accettata, in particolare dall'Occidente e dagli Stati Uniti.

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