'Figlio di cane'
Commento di Michelle Mazel
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Abu Mazen
Il Signor Abu Mazen vuole essere franco e non usa mezzi termini. Il 15 gennaio, al Presidente degli Stati Uniti che, con il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele, aveva annunciato l'imminente trasferimento della sua ambasciata, aveva scagliato un furioso "Ihrav Beitak" – “che la vostra casa sia distrutta”. Questo è un insulto che tra gli arabi, come è noto molto suscettibili sulle questioni d'onore, deve essere lavato nel sangue, cosa che i media occidentali probabilmente ignorano- o fanno finta di ignorare. Bisognava vedere come i quotidiani francesi erano ansiosi di spiegare che non si doveva prendere questa espressione alla lettera; che non c’era nulla di personale e che non era certamente diretta a Donald Trump. No, ripetevano i commentatori all'unisono, il Presidente palestinese aveva usato una comune e banale formula per esprimere quanto ne avesse fin sopra i capelli. Nulla di più naturale per questi esperti commentatori, vista la scandalosa decisione di Trump. Stufo, indubbiamente incoraggiato dalla tiepida, per non dire inesistente reazione occidentale, Abu Mazen è recidivo. Ha dato del “figlio di cane” a David Friedman, l’Ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. Scusate se è poco. Anche in questo caso, per molto meno, nel mondo arabo sono scoppiate delle guerre. Eppure la notizia non compare sulla prima pagina dei giornali occidentali, che non s’indignano più di tanto a questo insulto. Dopotutto, David Friedman, l'Ambasciatore in questione, non solo è ebreo, ma a detta di Abu Mazen, è ancora un colono - sebbene risieda a Herzliyya, l'elegante sobborgo di Tel Aviv. E’ evidente. Certo, la locandina diffusa quello stesso giorno da Fatah, avrebbe potuto suscitare qualche imbarazzo se fosse stata pubblicata sulla stampa occidentale.
Questo è un ritratto poco lusinghiero del diplomatico americano con la scritta "Colonialista ... colono e figlio di cane: David Friedman, Ambasciatore degli Stati Uniti presso l'Occupazione ". Fatah del Signor Abu Mazen preferisce, come sappiamo bene, usare il termine “Occupazione” per designare Israele. Siamo certi che la stampa eviterà di offendere la sensibilità dei suoi lettori pubblicando tale locandina. Il venerabile leader ottantatreenne, il cui mandato presidenziale è scaduto da quasi un decennio, ha sempre goduto di una solidale simpatia in Occidente. È stato perdonato per la sua tesi di fine studi all'Università Patrice Lumumba di Mosca, "Il rapporto segreto tra Nazismo e Sionismo", pubblicata con il suo stesso nome nel 1984, e mai sconfessata. I sionisti, secondo Abu Mazen, per indurre gli ebrei a venire in Palestina, volevano che i nazisti ne uccidessero il maggior numero possibile. Ed è rimasto ancora oggi di questa idea, a giudicare dalle osservazioni che ha fatto nel discorso del 15 gennaio citato sopra. “Gli ebrei, ha detto, hanno scelto di rimanere in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, piuttosto che emigrare nella Terra dei loro antenati” . Una frase scandalosa, per non dire spregevole, che non è assolutamente stata commentata dalla stampa occidentale. È vero che quest’ultima non si interessa nemmeno più di tanto ai libri scolastici dell'Autorità Palestinese, che inculcano ai bambini piccoli, fin dalla più tenera età, l'odio per l'ebreo, il quale non ha diritto a neppure un centimetro di terra della Palestina. Tutti sanno che se non c'è una soluzione al conflitto palestinese, è solo per colpa di Israele, che si rifiuta di vedere in Abu Mazen un partner per la pace.
Michelle Mazel, scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron”. I suoi commenti escono su JForum online