Turchia: le mani del regime di Erdogan sui media Commento di Marta Ottaviani
Testata: La Stampa Data: 22 marzo 2018 Pagina: 14 Autore: Marta Ottaviani Titolo: «Turchia, le mani di Erdogan sui media di opposizione»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/03/2018, a pag.14, con il titolo "Turchia, le mani di Erdogan sui media di opposizione" il commento di Marta Ottaviani.
Marta Ottaviani
Era il padrone incontrastato dell’editoria turca e considerato uno degli uomini più pericolosi per il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan. All’età di 81 anni, Aydin Dogan, ha ceduto la sua Dogan Medya, dopo aver operato nel mondo dell’informazione per quasi 40 anni. Una scelta che per molti nel Paese ha il sapore di una vera e propria capitolazione. Nelle tasche dell’editore entreranno circa 1,25 miliardi di dollari ma cederà i suoi gioielli di famiglia a un acquirente non casuale. Ad aggiudicarsi il primo gruppo di informazione del Paese, infatti, è Yildirim Demiroen, che proprio da Dogan, nel 2011, aveva già acquistato i quotidiani Milliyet e Vatan, di orientamento liberale.
Le due testate, dopo il passaggio di proprietà, avevano cambiato linea editoriale e in Turchia questa non era certo una sorpresa. La famiglia Demiroen è da tempo schierata dalla parte di Erdogan. Adesso metterà le mani su Hurriyet, uno dei quotidiani più noti del Paese; su Posta, giornale popolare da 250mila copie, nonché Cnn Turk e Kanal D. L’episodio getta un’ombra ancora più cupa sulla mancanza, sempre più accentuata, di libertà di stampa nel Paese. A partire dalla repressione della rivolta di Gezi Parki, nel 2013, e soprattutto dopo il fallito golpe del luglio 2016, il numero di giornalisti finiti in carcere, al momento circa 140, e di testate chiuse è aumentato, mentre quelle rimaste hanno assunto accenti sempre più filo governativi. Fra il 2014 e il 2016 numerose testate sono state commissariate per poi chiudere.
A Dogan il mettersi di traverso al capo dello Stato è costato caro. Nel 2010, quando Erdogan era ancora premier, gli fu comminata una maxi multa da 2,4 miliardi di dollari. Ufficialmente si trattava di irregolarità fiscali, ma molti credono che fosse un vero e proprio tentativo di censurare le sue testate, ai tempi molto più audaci nella linea editoriale.
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